In Rai è crollato il muro di Berlino

Uno scontro video e verbale senza esclusione di colpi si è registrato lunedì alla Rai. Allo sciopero proclamato dall’Usigrai, sindacato egemone da un trentennio e che ha avuto al vertice esponenti di prima fila del giornalismo progressista e impegnato come Beppe Giulietti (poi presidente Fnsi), Roberto Natale (per 6 anni presidente Fnsi e portavoce di Laura Boldrini alla Camera dei deputato), hanno detto no alcune centinaia di giornalisti, non tutti iscritti alla nuova sigla Unirai nata per portare il pluralismo anche nel gruppo della televisione pubblica, la cui rappresentanza sindacale è stata gestita dal movimento dei giornalisti progressisti per decenni.

Per la prima volta i vertici di Viale Mazzini hanno reagito alle accuse di essere il “megafono del Governo”. Quando sulla fine degli anni Novanta venne costituito il Gruppo dei cento, diventato poi Singrai, la mobilitazione della sinistra ricorse al direttore generale Pier Luigi Celli affinché venisse proibito il versamento automatico delle quote al nuovo sindacato come invece veniva fatto per l’Usigrai. E senza finanziamento Paolo Cantore, Gianni Scipione Rossi, Angela Buttiglione, d’intesa con i due leader dell’Associazione stampa romana Arturo Diaconale e Gilberto Evangelisti, furono costretti a ridimensionare l’opera di proselitismo, trasferendola nel Sindacato 2000.

Il fatto avvenuto lunedì (molti giornalisti per non aderire all’astensione dal lavoro e non esporsi a eventuali ritorsioni sindacali hanno adottato la vecchia strategia di mettersi a riposo) costituisce una novità assoluta. Al videocomunicato del sindacato il Settimo piano di Viale Mazzini ha risposto con una precisazione: “L’Usigrai promuove fake news e rivolge accuse gravissime che puntano a screditare un’intera categoria”.

Toni da padroni delle ferriere? No, rispondono dal Palazzo del cavallo. “Alla base dello sciopero ci sono motivazioni ideologiche e politiche”. I principi di libertà e autonomia, ossia pluralismo, sono garantiti in Rai dalla convenzione Stato-azienda, la cui operatività è controllata dalla Commissione parlamentare di vigilanza sulle radio-teletrasmissioni. Lo sciopero dell’Usigrai a un mese dalle elezioni europee espone il servizio pubblico a strumentalizzazioni politiche, privando i cittadini del fondamentale diritto all’informazione. I vertici del servizio pubblico precisano ancora che “non sono stati messi sull’informazione né censure né bavagli”. L’Usigrai, nel tentativo di avere l’ultima parola, ha comunicato un elenco di contestazioni, fatte proprie da una nota congiunta del presidente della Fnsi Vittorio Di Trapani (ex leader sindacale di Saxa Rubra) e della segretaria Alessandra Costante. Piena solidarietà all’Usigrai è giunta da Sandro Ruotolo, responsabile dell’informazione del Partito democratico ma braccio destro di Michele Santoro a Telekabul.

E la Rai meloniana? Per ora non c’è, se è vero che il 75 per cento dei giornalisti ha scioperato secondo le direttive del sindacato legato alla maggioranza Fnsi. Potrebbe però avanzare: l’Unirai, guidato dal 45enne Francesco Palese, rappresenta una nuova stagione di pluralismo per rilanciare un’azienda ora “infangata, dopo averla lottizzata in maniera abusiva per decenni”. Non è in pericolo, come sottolinea il segretario Usigrai Daniele Macheda, “la libertà”, ma con il 6 maggio 2024, “come nel 1989 è caduto il muro di Berlino, così sta cadendo il monopolio sindacale dentro la Rai”.

Aggiornato il 08 maggio 2024 alle ore 11:39