Un sogno diventato realtà. Un racconto, un’avventura, che prende corpo per costruire un mondo più inclusivo e solidale. Nico Acampora è il fondatore di PizzAut, ristorante gestito da ragazzi autistici (dalla preparazione al servizio ai tavoli). Due gli esercizi presenti (a Cassina de’ Pecchi, in provincia di Milano e a Monza) e un nuovo obiettivo, il PizzAutoBus, una flotta di food truck targati PizzAut che gireranno per lo Stivale (un progetto donato e curato da Pwc Italia). In questi anni non sono mancate le difficoltà, certo, ma la perseveranza ha portato anche tanti riconoscimenti, dall’incontro con Papa Francesco alla visita del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E, di recente, pure un libro, “Vietato calpestare i sogni. La straordinaria storia di PizzAut e dei suoi ragazzi” (Solferino, prefazione di Elio, leader del gruppo musicale Elio e Le storie tese) scritto insieme a Elisabetta Soglio, che ha ideato e dirige “Buone notizie – L’impresa del bene” per il Corriere della Sera. Intervistato dall’Opinione, Acampora ha parlato dei risultati ottenuti e non solo. Come ha scritto nella sua storia: “Sono sempre e soprattutto un papà con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti”.
Nico Acampora, è tra i vincitori del Premio Guido Carli (la cerimonia si terrà il 10 maggio a Roma, Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, ndr) per l’Impegno nel sociale e nell’inclusione attraverso il lavoro. Non c’è male…
Sono emozionato, sì. È un premio importante: siamo sorpresi e contenti. Andrò a ritirarlo con i ragazzi: camerieri e pizzaioli. Dopotutto, è il loro progetto.
Intanto, proprio il primo maggio ha annunciato due nuove assunzioni. E poi PizzAutoBus scalda i motori…
Già, due assunzioni a tempo pieno e indeterminato. Un messaggio importante. Anche perché, se vogliamo vedere, trasformiamo i nostri ragazzi in contribuenti. E poi sì, ecco PizzAutoBus, progetto sostenuto da Pcw Italia, curato sia sul piano di impresa che di sostenibilità rispetto alla costruzione di costi e posti di lavoro. L’idea, fondamentalmente, è quella di avere dei food truck che possano inizialmente coprire le province della Lombardia. Saranno 12 entro il 2025. Ma, a lungo raggio, vorremmo arrivare in 10 anni a oltre 100, in modo da coprire gli altri territori dello Stivale, per poter dare lavoro ad almeno 500 ragazzi autistici.
“Vietato calpestare i sogni”: è più di un titolo di un libro?
È il claim presente su tutti i grembiuli e sulle pareti dei ristoranti. Quando sono partito con questa idea, inutile negarlo, non ci credeva nessuno. Avevo un sogno. Quel sogno è diventato un progetto. Quel progetto è stato messo a terra, diventando un’impresa. Trascorro molto tempo con i ragazzi. Ciò mi permette di seguire la formazione, la customizzazione del ruolo. Esistono molte farine. E con ognuna di loro, come con i ragazzi, bisogna avere un determinato comportamento.
Da una vicenda personale (il secondogenito, Leo, affetto dallo spettro autistico) all’impegno concreto. In Italia, da questo punto di vista, pensa che ci sia ancora molto da fare in tema di inclusività? Quella sua apparizione in tivù (Tú sí que vales) quanto ha contribuito, nel suo caso, a smuovere le coscienze?
Sull’inclusività c’è molto da fare, inutile negarlo. In Italia ci sono 600mila autistici, ma pochi sono quelli assunti. Dobbiamo fare ancora molto. Un candidato alle Europee parla di classi speciali... quando poi la realtà è fatta di famiglie che contraggono debiti per le cure dei propri figli. Se mi guardo indietro, sì, ne è stata fatta di strada. Abbiamo dato seguito a un lavoro enorme. Per noi è stato importante dare un impiego a questi ragazzi. Per citare una situazione, abbiamo consegnato la pizza ai medici impegnati negli ospedali Covid. Certo, l’apparizione in tivù ci ha dato una grossa mano. Anche se, come dicevo, ho dovuto fare i conti anche con la cattiveria della gente. E, in questo, ciò che non capisco è il malessere negli adulti. Le faccio un esempio: una volta un gruppo di adolescenti, dall’esterno, prendeva in giro i miei ragazzi. Dicevano cose del tipo “gne-gne”, per capirci. Io, di contro, li ho invitati a cena. Di questi giovani, ha accettato solo una ragazzina. Che poi è ritornata con la famiglia, ma senza mai fare accenno a quell’episodio. In quel caso, io ho avuto atteggiamento educativo, probabilmente quei ragazzini si sono comportati in quel modo perché volevano interagire con me. Ma con gli adulti faccio fatica, veramente.
Molte famiglie, come ben sa, hanno difficoltà a gestire situazioni, quando ci sono casi di autismo o disabilità in generale. Lei che si sente dire? C’è qualcosa che, più che aggrapparsi, serve per ripartire o per non affogare?
Bisogna aggrapparsi all’amore verso il proprio figlio. Esiste la bellezza nelle conquiste. Allo stesso tempo, non bisogna stare in silenzio. È necessario far sentire la propria voce, non ci devono essere cittadini di serie A o serie B. È necessario che lo Stato investa sulla scuola e sugli insegnanti di sostegno, che devono pagarsi da soli la specializzazione, che costa quasi 4mila euro. È assurdo. Per quello che mi riguarda, con mia moglie ci siamo subito detti che dovevamo occuparci del presente, tenendo sempre un occhio aperto al futuro. Se non avessi avuto un figlio autistico, non ci sarebbe stato PizzAut. E quindi avrei perso l’occasione di stare con questi ragazzi, che nel frattempo hanno cambiato le loro vite. Rischiavano, che so, di finire in un istituto. Invece sono dei lavoratori, che pagano le tasse. E fanno risparmiare allo Stato diversi soldi.
La chiacchierata è finita qui. Chi scrive, consiglia la lettura di “Vietato calpestare i sogni”. E anche di assaggiare una Normaloide o una Aut-UnnoAut. Perché dietro ci sono fatiche, frustrazioni. Ma, soprattutto, “sorprese, gioie”, amicizia e amore.
Aggiornato il 04 maggio 2024 alle ore 11:27