Pier Silvio Berlusconi ha portato Mediaset al primo posto nello scenario delle televisioni italiane. Poche volte in passato Canale 5 ha superato in ascolti il Tg1. Se come grida un giorno sì e l’altro pure la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, la Rai è “Telemeloni” gli ultimi dati dell’Autorità per le comunicazioni dimostrano che l’inquilina di Palazzo Chigi non porta fortuna alla televisione pubblica. Giorgia Meloni, vinte le elezioni politiche nel settembre 2022, ha trovato in carica, secondo la riforma renziana del 2015 a 7 membri, un Consiglio di amministrazione con presidente Marinella Soldi proveniente da Discovery e sponsorizzata dal Movimento 5 stelle, con un rappresentante del personale Davide Di Pietro eletto in forza alla Cgil, due consiglieri Francesca Bria espressione del Pd (che dal 2005 ha indicato ben 11 componenti del Cda, beneficiando della lottizzazione), Alessandro di Majo indicato dal M5s e con Igor De Biasio scelto dalla Lega e la cattolica Simona Agnes, figlia di Biagio.
Alle leve di comando l’amministratore delegato, espressione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (99,6 per cento di azioni) era stato nominato l’aziendalista Roberto Sergio e amministratore delegato il presidente di vari teatri musicali Carlo Fuortes. Niente Fratelli d’Italia perché nel luglio del 2021 all’epoca del Governo Draghi Giorgia Meloni era all’opposizione e quindi non riuscì a indicare alcun nome in Cda. In questi giorni sono scaduti i termini per le candidature per il nuovo Cda che sarà rinnovato dopo le elezioni europee e risentirà degli equilibri che scaturiranno dalle urne. Se come presidente c’è in pole position Simona Agnes, sponsorizzata da Antonio Tajani, non sembrano destinati a uscire dal settimo piano Roberto Sergio e l’esperto in comunicazioni televisive Giampaolo Rossi che è subentrato al dimissionario Carlo Fuortes. La Rai sarà allora “Telemeloni” come accusano i partiti della sinistra? Ritengo di no e questa opinione è suffragata da quattro elementi:
1) è la Commissione parlamentare di vigilanza (presidente la pentastellata Barbara Floridia) che fissa gli indirizzi di pluralismo e autonomia dell’azienda pubblica;
2) la maggioranza dei 300 dirigenti dell’azienda aderisce alla storica associazione Adrai (l’Associazione dirigenti gruppo Rai) da sempre feudo e fucina della sinistra;
3) la maggioranza dei 12.700 dipendenti (tecnici, impiegati, operai) vota i partiti della sinistra;
4) la rappresentanza degli oltre 2010 giornalisti è stata sempre appannaggio dell’Usigrai (Unione sindacale giornalisti Rai).
Solo in due circostanze è stato possibile contenere il predominio dei cattocomunisti nonostante l’ostracismo del dg Pier Luigi Celli: la prima nel maggio 1994 con il gruppo dei “Cento” costituito da Paola Angeli, Paolo Cantore, Angela Buttiglione, Gianni Scipione Rossi, Fabio Massimo Rocchi. Alessandro Casarin, Antonio Lupo, Innocenzo Cruciani, Massimo Signoretti e l’appoggio dei dirigenti dell’Asr romana e della Fnsi Arturo Diaconale e Gilberto Evangelisti. La seconda è di poche settimana fa, quando si è costituito il gruppo “Unirai (Liberi giornalisti Rai). Alla Rai è sempre stato attribuito un padrone. Mandate, però, in archivio le tre aree ideologiche (democristiani, comunisti, socialisti) dovrebbero scomparire anche le “casacche” lottizzatorie.
Aggiornato il 02 maggio 2024 alle ore 13:44