Cinquant’anni – a novembre – e non sentirli. Tra il lavoro nel presente e le sfide per il futuro. Casagit Salute nasce nel 1974 come fondo sanitario contrattuale dei giornalisti. Poi diviene una società di mutuo soccorso, quindi aperta ai cittadini che sono alla ricerca di una copertura sussidiaria della sanità pubblica e, comunque, nel rispetto dei principi del mondo no profit. Al momento assiste oltre 55mila soci, oltre a essere iscritta all’Anagrafe dei fondi istituita dal Ministero della Salute. Tra l’altro, è componente dell’Osservatorio nazionale permanente dei Fondi sanitari integrativi istituito dallo stesso Ministero. Di questo, e di altro, ne parla – in un’intervista all’Opinione – il presidente Gianfranco Giuliani (nel curriculum la scrivania di caposervizio in cronaca alla Prealpina di Varese) e dal 2021 a capo dell’Ente.
Che cinquant’anni sono stati per Casagit?
Sicuramente è stato un mezzo secolo importante, per i giornalisti e non solo. Nell’articolo 1 dello statuto del 1974 i fondatori indicavano che si trattava di uno strumento di protezione sociale per i giornalisti, a garanzia di una informazione indipendente. Per farla breve, uno strumento di tutela: parliamo di un patrimonio della categoria. Poi c’è stato un cambio di passo: abbiamo accompagnato lo sviluppo-clinico sanitario e l’evoluzione della professione giornalistica. Da qui la mission di mantenere l’identità, modificando l’approccio. Il che ha significato passare da un fondo chiuso a una società di mutuo soccorso, aperta al mercato. La convinzione è che ci sia una nicchia dove il mutuo soccorso possa rappresentare la strada giusta per il welfare. In una recente campagna pubblicitaria abbiamo sottolineato proprio questo: l’apertura a un mercato più ampio e ad altre categorie. Ovvero professionisti, società, piccole e medie imprese, semplici cittadini. Creando, allo stesso tempo, piani sanitari destinati al mercato. Anche se voglio ribadire una cosa: la governance è pur sempre in mano alla categoria dei giornalisti.
Casagit, peraltro, ha avviato un’indagine sullo stress da lavoro “maturato” nelle redazioni…
Come detto prima, abbiamo camminato in parallelo con l’evoluzione della professione. E, in termini di stress, il lavoro è mutato per i ritmi. Un discorso, questo, che è legato anche al fatto della possibilità – e del dovere – di operare su più piattaforme. Le redazioni sono sempre meno numerose e c’è una contrazione dei compiti. Allora ci siamo chiesti: come possiamo essere uno strumento per venire incontro a determinate esigenze? Perché, sia chiaro, non basta dire nelle redazioni si vive peggio oppure è difficile oggi conciliare la vita lavorativa con la sfera familiare. Da qui la ricerca, progettata in collaborazione con il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi e un istituto dell’Università di Bologna. Si tratta di sondaggio che ha un impianto scientifico: in pratica, vogliamo offrire la fotografia di come si vive nelle redazioni, analizzando nel contempo delle possibili soluzioni, insieme ai professionisti e alla parte editoriale. Un esempio: abbiamo raddoppiato per un anno il supporto psicologico per venire incontro ai colleghi che vivono sui fronti di guerra o che operano nelle aree complesse dello scacchiere internazionale.
Ma come è cambiata la professione giornalistica?
A mio avviso, non esiste un ambito del giornalista che possa prescindere dalla velocità e dalla qualità. Per quanto concerne la velocità, è inutile girarci intorno: bisogna prenderne atto. Tutti, d’altro canto, dobbiamo imparare a coniugare quest’aspetto con la qualità. È un’impresa difficile, lo so. È un processo culturale prolungato nel tempo. Ma sia chiaro: non esistono formulette. La vera sfida è, appunto, la qualità, che è la cosa che può – e deve – contraddistinguerci. Anche gli editori si stanno interrogando su cosa possa favorire un prodotto. Perciò, non è un problema di piattaforma: la qualità è trasversale, va dalla breve all’articolo di approfondimento. Insisto su tali aspetti sulla scorta della mia esperienza: pur non essendo proprio un sopravvissuto all’era dei dinosauri, ho iniziato questo mestiere con davanti una Olivetti meccanica…
Di recente l’incontro con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella…
Quello di marzo è stato un incontro importante. Per diversi motivi. Uno su tutti, perché abbiamo voluto parlare al Paese al fianco del Capo dello Stato. Diciamo che ci siamo concessi una sorta di palco di visibilità. In secondo luogo, abbiamo incontrato la disponibilità di Mattarella: c’è stato uno scambio di giudizi importanti. Il Presidente della Repubblica, infatti, ha collocato Casagit nell’alveo della sussidiarietà, che opera nell’interesse della collettività, sottolineandone la capacità di trasformazione che è avvenuta nel corso del tempo. Riferendosi a Casagit, ha detto che rappresenta una importante esperienza di welfare, in parallelo con quanto è evidenziato nella Carta costituzionale. Ha pure accettato di diventare socio onorario. In più, ha confidato di un suo tentativo – da giovane – di abbracciare l’esperienza giornalistica. Anche se poi, come è noto, ha intrapreso un altro percorso.
In conclusione: quali sono le sfide per il futuro e dove vi vedete tra 50 anni?
Stiamo lavorando sul terreno della sanità, nel rapporto tra sanità pubblica, privata e soggetti no profit. Tra 50 anni dove saremo? Potremmo essere una forma di sostegno e garanzia, per una popolazione che – osservando i dati – sarà sempre più anziana. E a cui noi dovremo fornire tutta una serie di servizi per vivere meglio. Sarà una società caratterizzata da nuclei mono-individuali, quindi con un bisogno di un sostegno per le difficoltà che vivranno. Alcune ipotesi? La telemedicina, il telemonitoraggio, per dare risposte alle prese in carico di quelle che potrebbero essere le debolezze o gli aspetti di cronicità. A tal proposito, verrebbe da chiedere al Servizio sanitario nazionale: il modello italiano che garanzie darà? Per quello che ci riguarda, la scommessa è esserci ancora tra 50 anni.
Aggiornato il 15 aprile 2024 alle ore 13:33