Fuori c’è quell’aria tipica che entra nella pelle dopo ore di pioggia. Dentro, invece, brilla la luce emanata dagli occhi di un detenuto romano, 36 anni, che da qualche mese è impiegato come elettricista in Vaticano. Il suo datore di lavoro è Fabbrica di San Pietro, ente preposto per le opere di manutenzione, appunto, della Basilica di San Pietro. Il racconto di questa esperienza, che si protrarrà ancora (il contratto è rinnovato fino al fine pena, ovvero sino agli inizi del prossimo anno), avviene all’interno della III casa circondariale di Rebibbia, nella Capitale.
L’orario di lavoro è 7-13, dal lunedì al venerdì. A seguire, il rientro in cella. Si muove in autonomia con i mezzi pubblici. Esce alle 5,30. Prima sale sulla metro della linea B. Giunto alla Stazione Termini si sposta sul convoglio della linea A. Scende alla fermata Ottaviano. Infine, la passeggiata fino agli incarichi del giorno: quadri elettrici, rete internet e tutto quello che c’è da fare. Sa che deve seguire un determinato protocollo; sa che è sopra un treno da cui non vuole scendere (“ho lavorato tanto su me stesso per arrivare a questo punto”); sa che deve evitare gli assembramenti. Ma è entusiasta. E trasmette ciò che ha dentro con tutta l’energia possibile: “Il primo giorno di lavoro ho pensato subito a una cosa: non voglio arrivare in ritardo”. Senza dimenticare quella strana, particolare sensazione in metropolitana: “Ero in mezzo a tantissime persone, ero un numero. Nessun giudizio, nessun sospetto”.
Un passaggio con il mondo in dissolvenza, verso uno spiraglio che fa guardare al domani con un’altra testa.
Con i colleghi il rapporto è ottimo: “Simpaticamente mi chiamano Elettro-Rebibbia. Io ci rido sopra, perché so che adesso faccio parte di un gruppo. E per me è molto importante. All’inizio ero più diffidente io nei loro confronti che l’inverso, la detenzione porta anche a questo”. Però arrivare a tale punto non è facile, c’è un percorso che parte da lontano: “La mia forza – racconta – è essere rimasto vivo di testa. Ho fatto il capo-spesino (ovvero colui che raccoglie la spesa per i detenuti), ho seguito corsi di teatro e di sartoria, ho studiato. Sono sempre stato uno sportivo, ho continuato ad allenarmi. Non mi sono arreso. So che ho compiuto un errore. E l’ho pagato. Grazie alla mia forza d’animo, insieme al supporto della psicologa, della responsabile del settore educativo, della direttrice, dell’ispettrice caporeparto del G8, sono arrivato dove sono. Ho avuto di modo di riflettere – prosegue – ho potuto pensare a quanto sia importante la libertà, soprattutto quando ti manca. Il lavoro in Vaticano, in uno dei luoghi più belli del mondo, è un sogno. Che non intendo abbandonare”.
Insomma, non c’è l’intenzione di buttare al vento questa seconda chance. E Seconda Chance, peraltro, è l’associazione no-profit – fondata dalla giornalista de La7, Flavia Filippi – che in sostanza procura lavoro a chi ha un ottimo comportamento in carcere ed è vicino al fine pena, facendo ponte con aziende e imprese. E che il 36enne ringrazia: “Sapevo che stavano facendo dei colloqui. È andata bene. Perché ho avuto questa opportunità”. La stessa Filippi, contattata dall’Opinione, commenta: “Questo ragazzo l’ho aspettato il primo giorno di lavoro, già alle 6,30 di mattina, in piazza San Pietro. L’ho visto che correva, con lo zainetto sulle spalle. Ci siamo abbracciati. Quando l’ho portato sul luogo che l’avrebbe visto impegnato, non connetteva dalla felicità. Adesso gli hanno rinnovato il contratto, ha ricominciato pian piano la sua vita: è bravissimo. Grazie a lui – confessa – il Vaticano mi ha richiesto altre due persone: una arriverà a inizio aprile. È un elettricista, in detenzione domiciliare a Latina. L’altro è un ragazzo, calabrese, che è ai domiciliari e che comincerà a lavorare a metà di aprile, al bar della terrazza sotto al Cupolone. Seconda Chance – prosegue – intende strutturarsi con almeno una persona in ogni regione ed essere un tramite, tra le carceri e le aziende. Finora sono oltre 270 le offerte di impiego procurate. I detenuti di Seconda Chance lavorano in più punti: ristoranti di Agrigento, Conad Nord-Ovest, McDonald’s, Terna, Nespresso a Monza, Istituto Superiore di Sanità, Acqua Vera. Alla nostra mail ci contattano da tutta Italia: detenuti, direttori delle carceri, agenti di polizia penitenziaria, educatori”.
Jonathan Franzen in uno dei suoi capolavori, scrive: “Usa bene la tua libertà”. Il 36enne romano, elettricista in Vaticano, lo sa. E si tiene stretto questo nuovo capitolo della sua vita. Anche perché di là, ad aspettarlo, c’è un ometto, che adesso è un bambino e che un domani sarà grande. “Un giorno, quando sarà il momento, racconterò tutto a mio figlio. È la mia ragione di vita. Seppur distante non l’ho mai abbandonato. Mi sono perso troppe cose: il dentino caduto, le recite, le attività sportive, l’attesa davanti alla scuola. Devo recuperare il tempo perduto. Voglio accompagnarlo, passo dopo passo. Sperando che un giorno dica: papà, sono fiero di te. Per me significherebbe tanto”.
Aggiornato il 10 aprile 2024 alle ore 17:56