Chissà perché alcune persone ci tengano tanto a ribadire che la loro parlata non sia un dialetto ma una lingua, fino talvolta ad arrabbiarsi? Secondo me, con questa concezione si intende sostenere la superiorità delle lingue sui dialetti, tema che mi lascia del tutto indifferente. Certe espressioni, modi di dire, singole parole, sono intraducibili in una lingua strutturata, che è anche una costruzione formale e, come tale estremamente utile e insostituibile in moltissimi contesti.
Tuttavia, i dialetti esprimono la parte più intima di ciascuno di noi, ci accompagnano fin dalla nascita, si parlano volentieri con gli amici, in famiglia, nella convivialità; spesso possiedono una forza e un’intensità che le lingue, nel nostro caso l’italiano, non riescono a rendere. E in effetti non è raro che concetti espressi in vernacolo, una volta tradotti in italiano, perdano gran parte del loro vigore.
Non dimentichiamo, inoltre, che la nostra bella lingua nasce come meravigliosa sintesi dei principali “volgari” diffusi nel nostro Paese durante il Medioevo per opera del sommo Dante. Va ancora aggiunto che certi termini dialettali, spesso, passano spontaneamente nella lingua formale e viceversa, in un processo di travaso lungo e complesso. Per rendersi conto della bellezza dei dialetti riporto, per esigenze di spazio, solo alcuni scritti che a me sono piaciuti tanto.
“Iu cu tia vulissi partiri
nta na barca pì nun turnari cchiù
e vasariti tra celu e mari
picchi’ l’unicu benissimu sì tu”
(poesia siciliana)
“No gh’e’ sabet senza so’l, no gh’e’
donna senza amore, no gh’e’ Pra
senz’ erba e non gh’e’ Camisa
senza merda”
(detto lombardo)
“L’istruzian l’e’ quall ch’avanza quan as
e’ dscurde’ tott quall ch’as’
e’ impare’ Italian”
(detto emiliano)
Aggiornato il 11 aprile 2024 alle ore 11:13