Mettiamo che una coppia di amici, un giorno, ci proponga un fine-settimana in una città d’arte. Grande albergo a prezzi scontatissimi, a patto di ascoltare una promozione che durerà un’ora e mezza. Mettiamo poi che ci accolga un ragazzo con un sorriso più grande di lui, ma siamo già un po’ prevenuti perché durante il viaggio avevamo letto una postilla che avverte: se anche solo uno dei due invitati non partecipa alla presentazione, lo sconto sulla stanza sarà annullato. La minaccia fa dubitare che questi siano raffinati comunicatori, ma ormai un treno ci sta portando a destinazione.
Ora immaginiamo che gli amici siano stati arruolati dall’immenso tour operator al quale ci vendono in cambio di ricchi premi e cotillon. O anche qualcosa di meno. E poi, magari, al momento della presentazione, i due evaporino, mentre noi iniziamo a prevedere il peggio. Si presenta il sorrisone, ci conduce in una saletta minuscola, che non contiene assolutamente le trenta, quaranta persone che ci si aspettava: non potremo dunque appollaiarci in fondo alla sala per giocare con lo smartphone.
Il super-micro venditore esordisce proponendo una membership contornata da una spruzzata di anglicismi, giusto per mettere in soggezione gli interlocutori abbandonati al loro destino dai finti amici. Anzi, dagli amici finti. La membership dura una cinquantina d’anni che, sommati alla nostra età, suonano come una prospettiva di vita eterna, o quasi. Cominciamo a dubitare che questa tessera di fedeltà sia gratuita, cerchiamo di venire al dunque e dopo premesse alle premesse arriva la rivelazione a quattro zeri.
Ma pagare è il meno, bisogna prima rispondere al maestrino. Domande planetarie, tipo qual è il vostro Continente preferito, vi piace l’idea di possedere virtualmente immensi villoni disseminati nell’universo? Naturalmente, la costosissima iscrizione prevede pure una ricca quota annuale che garantisce punti, con cui si accede a camere d’albergo e a resort da sogno: peccato che abbiano commesso un grave errore. La camera che ci ospita, e dovrebbe attrarci irresistibilmente, è rimasta agli anni Settanta: piccola, triste, bagno d’epoca.
Alla velocità della luce il sorrisone ci affoga in spiegazioni eteree, fra conteggi di punti pesanti, punti leggeri, variabilità variabili e aria frittissima. Non andiamo in estasi, e il ragazzo ci lascia soli per un quarto d’ora, alla ricerca di una dirigente in grado di fronteggiarci. La trova, parlotta con lei e con gli amici che ci hanno presentato come polli da spennare. Poi sorrisone e sorrisona entrano con facce da tutto risolto. Lei si presenta, e, subito dopo, il gatto chiede alla volpe se, solo e unicamente per noi, si può applicare uno sconticino. Lei sussurra un cinquanta per cento, e scatta un “wow!”. La mia responsabile vi fa una concessione incredibile, ancora “wow!”.
Il maxi-sconto trasforma in certezza il dubbio che questi ci prendano per stupidi. Ma dopo il né per cinque, né per quattro arriva la seconda sorpresona: la dirigente concede addirittura, siore e siori, un gran numero di punti in regalo. Peccato che i punti siano un numero fisso, mentre camere e villette hanno prezzi variabilissimi e disponibilità limitata, per cui non c’è modo di calcolare quanti giorni e in quali strutture si potrà ottenere quello che è già stato pagato, perché il manico del coltello passa di mano subito dopo la firma. Senza contare che le vacanze dovranno essere scelte di qui all’eternità in base alla loro carta geografica e al saliscendi dei prezzi.
La voce del ragazzo wow si fa improvvisamente grave: dopo tutti questi regali non ci possono concedere altro tempo per pronunciare il fatidico e obbligatorio sì. Ma il tempo, invece, serve, perché imbonitori come questi giocano sull’effetto-ubriacatura di parole, e puntano sulla firma immediata perché poi passa la sbornia e la gente comincia a ragionare. E con le ore, ma anche con i minuti, la perplessità aumenta fino a trasformarsi in repulsione. E questo sarebbe il marketing wow?
Aggiornato il 19 marzo 2024 alle ore 09:28