L’11 febbraio è stata organizzata dal Baliato di Santa Maria degli Alemanni dell’Ordine Teutonico, dal Circolo Unione di Burgio, dalla Real Compagnia della Beata Maria Cristina di Savoia, dall’Accademia di Sicilia e dalla Fondazione Thule Cultura, la commemorazione di Francesco Virgadamo, guardia di pubblica sicurezza, che il primo maggio 1945 fu catturato dai comunisti jugoslavi a Trieste nella caserma di polizia di via del Bosco, e molto probabilmente gettato, come tanti italiani, nella Foiba di Basovizza in odio alla divisa e alla sua nazionalità.
Alla manifestazione sono intervenuti il generale di divisione, dottor Maurizio Angelo Scardino, comandante militare dell’Esercito in Sicilia, il questore di Agrigento, dottor Tommaso Palumbo, il professor Giuseppe Crapanzano, il professor Domenico Svettini, il professor Antonino Sala, le rappresentanze dell’Arma dei carabinieri, della polizia di Stato, della Guardia di finanza e della Croce rossa, l’Associazione nazionale bersaglieri, l’Associazione nazionale carabinieri, l’Associazione nazionale finanzieri d’Italia, l’Associazione nazionale marinai d’Italia, l’Associazione nazionale della polizia di Stato e il Circolo Buoni Amici di Ribera e i familiari di Francesco Virgadamo. Ha coordinato ed introdotto il cavaliere dottor Santino Rizza presidente del Circolo Unione di Burgio.
In quei giorni a Trieste divenne tristemente nota l’Ozna, il Dipartimento per la Protezione del popolo del servizio segreto jugoslavo, che aveva ricevuto da Tito l’incarico di arrestare i cittadini italiani, non solo fascisti ma anche civili, militari e membri delle forze dell’ordine italiane, tra i quali centinaia di poliziotti e anche tanti partigiani. Molti vennero gettati nelle foibe carsiche, come quella di Basovizza, dalla quale alla fine dell’occupazione jugoslava, il 12 giugno 1945, vennero estratti centinaia di cadaveri. Furono vittime di processi illegittimi e sommari inscenati dai cosiddetti tribunali del popolo. Vennero colpiti anche altri quelli che rifiutavano l’annessione alla Jugoslavia o che potenzialmente, agli occhi del Partito comunista jugoslavo, l’avrebbero fatto. Ufficiali, funzionari e dipendenti pubblici, insegnanti, impiegati bancari, postini, sacerdoti provenienti da tutte le regioni dell’Italia come Francesco Virgadamo, e anche gli autonomisti fiumani seguaci di Riccardo Zanella furono perseguitati. Si registrarono anche alcuni casi di donne e bambini uccisi al posto dei loro parenti ricercati. Proprio per tutto questo l’eccidio delle Foibe fu una tragedia italiana.
Va ricordato tra i tanti il capitano della regia Aeronautica e medaglia al valor militare Carlo Dell’Antonio, componente del Comitato di liberazione Alta Italia al fianco di Enrico Mattei con il nome di battaglia “Luciano Marzi”, appartenente alla frangia cattolica della resistenza nella Brigata “Venezia Giulia”, scomparso per mano delle truppe jugoslave e infoibato nel pozzo della miniera di Basovizza. Lo stesso destino tragico toccò al beato don Francesco Bonifacio, martire “in odium fidei”, come riconosciuto da Sua Santità Benedetto XVI nel 2008. E come dimenticare monsignor Antonio Santin, vescovo di Trieste e Capodistria nel periodo dell’occupazione titina, che Il 19 giugno 1947 durante la festa patronale di San Nazario, a cui avevano intimato di non prendere parte, fu aggredito e rischiò di essere ucciso. Indelebile la sua testimonianza di quel giorno di cui scrisse: “Mi trovarono, mi insultarono, gridando che dovevo andarmene. E mi trascinarono violentemente giù per le scale (del seminario) percuotendomi con pugni e con legni, sulla testa. Arrivai in cortile perdendo mozzetta, rocchetto, croce e scarpe. Ero tutto insanguinato. Mi spinsero e trascinarono, mentre sui muri esterni del cortile la gente arrampicata urlava improperi, e così arrivai nel refettorio davanti alla cucina. Colà vi era altra folla che si dimenava e gridava”.
Fu questo l’analogo destino dei tanti che furono costretti all’esodo o alla prigionia nei campi di concentramento dove in molti poi tra mille stenti e sevizie trovarono la morte. In pochi sopravvissero per raccontare l’orrore e la paura di essere precipitati nella foiba ancora vivi. Ora ci chiediamo, come è possibile che, dopo migliaia di anni e miliardi di uccisioni, l’uomo pensi che l’unico modo per risolvere le questioni politiche sia l’assassino del proprio fratello? Forse Sigmund Freud aveva ragione: l’impulso all’autodistruzione è connaturato alla natura umana. Sin dal suo inizio, l’umanità è stata interconnessa ed interdipendente, avviluppata in un intreccio di relazioni, in cui le grandi nazioni e le piccole realtà stanno in stretto legame, alle volte, purtroppo, anche conflittuale. Ma lo sviluppo della civiltà non sarebbe stato possibile, se non ci fosse stata di base la consapevolezza di appartenere alla grande famiglia umana. Proprio quest’idea ha permesso agli individui di viaggiare presso altri popoli, con la speranza di trovare accoglienza e ascolto presso la casa di un altro fratello.
Risuonano ancora oggi di fondamentale importanza le parole di Giovanni XXIII nella “Pacem in terris”, che altro non è che un appello alla pace, improntato ai valori cristiani della fratellanza e della carità reciproca. Scrive infatti: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili. Ogni essere umano ha il diritto al rispetto della sua persona; alla buona riputazione; alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e dal bene comune; e ha il diritto all’obiettività nella informazione. Scaturisce pure dalla natura umana il diritto di partecipare ai beni della cultura, e quindi il diritto ad un’istruzione di base e ad una formazione tecnico-professionale adeguata al grado di sviluppo della propria comunità politica”.
Con il massacro delle Foibe si è ha tentato di negare che “gli esseri umani abbiano il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato; e quindi il diritto di creare una famiglia, in parità di diritti e di doveri fra uomo e donna; come pure il diritto di seguire la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa”. “I diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti”. Ed è uno di questi ricordare tutti gli esuli, i caduti e i martiri per la libertà grazie ai quali l’Italia è diventata una liberal democrazia. Condividiamo per questo le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del giorno del Ricordo “per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia”. Sta a tutti noi ricostruirla nel segno della pacifica convivenza e della imperitura civiltà italiana.
Nell’ambito della giornata del Ricordo al generale Scardino, al questore Palumbo, al professor Crapanzano è stato consegnato il premio “L’Unione - Pro meritis ad Patriam” come segno di stima e riconoscimento per il loro diuturno impegno in favore della civiltà e della tradizione e storia italiana. A Francesco Virgadamo è stato conferito il premio medesimo “alla Memoria” per il suo estremo sacrificio, che hanno ritirato i suoi più stretti familiari ancora residenti a Burgio, alle associazioni d’Arma presenti “La Stella al Merito” della Real Compagnia della Beata Maria Cristina di Savoia così al Maresciallo Capo dei Carabinieri Angelo Stringara “la Croce al Merito per la Riconquista” classe di Bronzo della Real Compagnia. E infine la benemerenza del Baliato di Sicilia è stata assegnata al capitano della Guardia di finanza, Luca Zecchini.
Aggiornato il 14 febbraio 2024 alle ore 11:08