Alcuni giorni orsono sono stato vittima, mentre correvo, di una caduta catastrofica, con varie fratture e ferite in tutto il corpo. E – tanto per cambiare – ho avvertito con enorme fastidio il peso aggiuntivo della nostra asfissiante burocrazia. Burocrazia che, ovviamente, non poteva non far sentire la sua presenza persino all’interno del pronto soccorso dell’ospedale Santa Maria della Misericordia, il più grande nosocomio umbro. Tant’è che, dopo una estenuante serie di esami e di disguidi – quest’ultimi oramai all’ordine del giorno nel nostro sistema sanitario – sono stato costretto successivamente a tornare nel medesimo pronto soccorso, a causa di un grave errore nella stesura del verbale di dimissione. Infatti, proprio in ossequio al dio della burocrazia, lo stesso verbale corretto non poteva essere mandato via mail e né era possibile farlo ritirare da una persona di fiducia. In qualunque condizione mi fossi trovato, mi sarei dovuto presentare di persona e, attenzione, a effettuare la modifica doveva essere il medico che mi aveva dimesso, anche se non era lo stesso che aveva seguito di fatto il caso ed elaborato la diagnosi.
Ma non basta. Venendo al punto focale di questo breve commento, mi sono successivamente imbattuto in un adempimento che mi viene richiesto spesso, come immagino al resto della popolazione italica, per le pratiche più disparate: “La fotocopia del codice fiscale”. Una richiesta che l’Ente di promozione sportiva con il quale sono tesserato, l’Endas, avanza, insieme ad altre pezze d’appoggio, tra cui il citato referto medico, per poter eventualmente ricevere un indennizzo assicurativo. La medesima richiesta, ad esempio, avendo da molto tempo un contenzioso gestito dall’Arera (l’Autorità di regolazione per l’energia e l’ambiente), mi viene avanzata da quest’ultima ogniqualvolta invio online una nuova comunicazione. In questo caso l’assurdità è ancor più grave, dal momento che per accedere all’area riservata del servizio che si occupa dei contenziosi è necessario accreditarsi con lo Spid (il Sistema pubblico di identità digitale). E dunque non si capisce proprio il motivo, se non ti natura kafkiana, di questo inutile e mortificante passaggio. Non solo, in realtà il codice fiscale non può essere falsificato, dato che viene attribuito a ognuno di noi dalla culla alla tomba, ma proprio per questo esso è sempre deducibile dai nostri dati anagrafici, tant’è che da tempo esistono programmi per verificarne l’esattezza.
Di fatto, ciò che la nostra burocrazia richiede è la fotocopia della tessera sanitaria, in cui per l’appunto compare il medesimo codice fiscale, sebbene tale tessera non rappresenti affatto un documento, non riportando alcuna foto. Quindi, ci si chiede per quale misteriosa ragione, se non quella di inchinarsi al dio onnipotente della burocrazia, nel nostro ingombrante campionario di adempimenti imposti per ogni cosa non si riesce a eliminare almeno questa ridicola scartoffia? A tal proposito, e qui chiudo, dopo aver decantato per anni le sorti certe e progressive della famosa autocertificazione, dobbiamo amaramente convenire che, se quest’ultima non funziona neppure per un dato impossibile da falsificare, sarebbe meglio eliminarne il termine dal nostro vocabolario delle buone intenzioni.
Aggiornato il 26 gennaio 2024 alle ore 09:18