In una società in cui la tecnologia si sviluppa con una celerità sconcertante e che detta i tempi, condizionando i comportamenti sociali, sempre con maggiore invadenza, l’uomo, in quanto essere, perde le sue connotazioni filantropiche e cognitive per accingersi a trasformarsi in una sorta di automa. La ricezione sempre maggiore di dati che l’uomo assorbe dall’esterno lo portano a tralasciare la sua dimensione di animale razionale, ossia quella di “essere riflessivo”, per divenire un ricettore di informazioni da eseguire. La cultura sempre più penetrante nel nostro sistema educativo ed istruttivo è ormai quella della robotica e dell’Intelligenza artificiale. Questi fenomeni evoluti sono figli della tecnologia digitale che ha soppiantato la “primitiva” cultura analogica, portando l’essere umano a dimenticare la sua capacità manuale, come quella dello scrivere che a sua volta rappresentava un processo formativo di notevole importanza per lo sviluppo cognitivo dell’uomo. Il primo passo degli antenati primitivi dell’uomo, che gli permisero di sviluppare e distinguersi dalle scimmie, fu proprio l’evoluzione dell’uso delle mani e quindi delle dita, nello specifico l’uso del pollice (così detto opponibile), che gli consentì di afferrare meglio gli oggetti e sviluppare una progettualità concreta della sua esistenza tramite l’esperienza.
L’evoluzione antropologica è strettamente connessa alla capacità di riflettere dell’uomo, che sperimentando e sbagliando ha potuto correggersi ed elaborare sempre migliori principi e acquisire processi cognitivi progressivamente più evoluti, ovviamente sempre tramite l’esperienza. Tutto questo non sarebbe accaduto se l’uomo avesse da subito avuto modo di delegare ad una macchina la sua capacità cognitiva. In un’epoca in cui il virtuale sta offuscando il reale, in cui con l’intelligenza artificiale sarà possibile sostituire l’uomo in modo assoluto, con nuove generazioni umane che progressivamente perdono la loro capacità di concentrazione e quindi di apprendimento, delegando il loro essere a dei computer, sarà inevitabile una regressione evolutiva dell’umanità. L’involuzione cognitiva umana è direttamente proporzionale allo sviluppo delle nuove frontiere tecnologiche, i costumi, le regole, i valori e la stessa morale si modificano celermente, influenzate e condizionate dai tempi sempre più veloci dell’evoluzione tecnologica.
La succitata regressione sta portando l’uomo verso una fase di degenerazione che in termini viciani potremmo definire “età degli dei”, la quale per Giambattista Vico è caratterizzata dai “bestioni” o uomini primitivi privi di capacità riflessiva, nella concezione di “storia ideale eterna” del filosofo napoletano. Pertanto, in questa deriva primitiva trionfa la superficialità, il nozionismo conformistico senza alcun fondamento o approfondimento, che alimentano l’impero sempre più esteso dell’ignoranza. Invero, a causa della suddetta ignoranza non vige più la necessità della preparazione, dello studio, dell’esperienza e della competenza, perché ormai tutti sanno tutto, i soloni incontrastati della sapienza by Internet possono disquisire su qualsia questione e spiegarti come risolvere ogni problema, al punto che i nuovi filosofi si chiamano influencer. Per questo, l’esigenza di declinare il proprio ego nella concreta realtà, con la consapevolezza che per essere bisogna prima di tutto esserci e non immaginarlo, non ha più ragione di esistere, perché ormai l’essere viene coniugato con l’apparire, peraltro a un livello ormai così patologico che la realtà dell’uomo si sublima nella virtualità, ossia in una dimensione inconsistente, come un ideogramma.
Per meglio chiarire quanto finora ho cercato di enucleare riporto di seguito una profonda e arguta riflessione filosofica di Martin Heidegger. “Al calcolo, alla celerità, a ciò che è di massa, si accompagna un ulteriore elemento: la denudazione, pubblicizzazione, generalizzazione di qualsiasi stato d’animo. Alla desertificazione in tal modo prodotta corrisponde la crescente falsità di ogni atteggiamento e, a ciò strettamente connessa, l’esautorazione della parola. La parola, ormai, è soltanto il suono e la chiassosa esortazione con la quale non si può più avere di mira un “senso”, perché tutto il raccoglimento di ogni possibile meditazione è tolto e la meditazione come tale è disprezzata come qualcosa di estraneo ed esangue. La conseguenza della denudazione degli stati d’animo, che è allo stesso tempo mascheramento del vuoto crescente, si manifesta per lo più nell’incapacità di esperire quello che è l’autentico accadere”. Al postutto, la salvezza dell’uomo consiste nella sua presa di coscienza che la tecnologia deve essere uno strumento e non il fine, perché l’unico obiettivo che l’uomo dovrebbe porsi per evitare il suo grottesco exitus è la declinazione concreta del suo essere nella realtà tramite l’esperienza fattuale.
“Felix qui potuit rerum cognoscere causas” (Georgiche di Virgilio)
Aggiornato il 22 gennaio 2024 alle ore 15:26