“La grandezza del pontificato di Benedetto XVI sarà riscoperta grazie al semplice paragone”
Filippo Sorcinelli, classe 1975, orgogliosamente marchigiano (di Mondolfo, in provincia di Pesaro-Urbino), è un personaggio eclettico, poliedrico, colto. Dalla grande passione per la musica sacra – è un apprezzato organista – e dal culto estetico e storico per la liturgia, ha assorbito quanto più possibile per costruire quello che oggi potremmo definire un “piccolo impero”. Alla creazione di vesti liturgiche tra le più apprezzate al mondo ha da qualche anno affiancato un laboratorio esclusivo di fragranze di nicchia ricercatissime. Facendo leva soprattutto sulle sensazioni, i ricordi, le emozioni che la Chiesa, l’Arte e la Musica racchiudono e donano ai sensi umani, oggi Sorcinelli crea profumi di grande raffinatezza. Tre negozi: a Roma, Milano e Mondolfo, più l’atelier romano di vesti e paramenti sacri che lo hanno reso famoso a livello planetario come “il sarto dei Papi”. E proprio a lui, profondo conoscitore di uomini e cose vaticane, a un anno dalla morte di Benedetto XVI abbiamo voluto chiedere che aria tira oltre il Portone di Bronzo.
Filippo Sorcinelli, lei è conosciuto – anche al grande pubblico per le sue numerose apparizioni televisive – come “il sarto dei Papi”, per aver confezionato numerose vesti liturgiche sia per Benedetto XVI che per Francesco. Il suo atelier Lavs è effettivamente un punto di riferimento non solo per cardinali e vescovi di tutto il mondo, ma anche per semplici sacerdoti, anche molto giovani. Cosa ne pensa di quello che certi critici del pontificato di Bergoglio definiscono “pauperismo liturgico” imposto dal Papa argentino?
Sono convinto che si tratti semplicemente di scelte personali, tuttavia queste scelte, a mio avviso, hanno poco a che vedere con il linguaggio vero della Chiesa. Ognuno è ovviamente diverso nel modo di approcciarsi: l’attuale pontefice viene dall’Argentina, ha sicuramente una cultura differente da quella storica del cattolicesimo romano. Bergoglio porta con sé un bagaglio culturale che ha voluto riproporre anche da Papa, e forse questo è l’errore più grande che potesse commettere. Imporre la propria cultura e non essere coscienti di essere “al servizio” provoca di rimando quello che vediamo tutti i giorni, che spesso lascia perplessi. Ad ogni buon conto, ultimamente e grazie anche ai collaboratori del Papa, a cominciare dall’ufficio delle celebrazioni liturgiche, certe scelte mi sembrano siano maggiormente ponderate e non più imposte dall’alto.
Secondo lei perché la bellezza, anche estetica, della liturgia come della musica sacra – altra sua grande passione – sono messe in secondo piano da una certa Chiesa che s’ispira a Papa Francesco?
Perché sono cose pericolose. Perché sono cose che hanno bisogno di profonda cultura e preparazione e molto spesso gli uomini di Chiesa non ce l’hanno, specialmente in questo ultimo periodo. Nei seminari un tempo si studiava musica, storia dell’arte, perché i sacerdoti molto spesso non sono solo custodi del culto, ma anche di monumenti e tradizioni perpetrate nei secoli. Oggi non c’è più quella preparazione ed è per questo che dico che rischiano di avere tra le mani cose per loro “pericolose”, perché oggi giorno ci sono molto spesso dei laici molto più preparati di tanti preti, vescovi, cardinali e perché no, dei pontefici. Di conseguenza questi laici sono molto mal visti dalle nuove generazioni di prelati. Viceversa, con quei pochi della “vecchia guardia” ancora vivi, cioè coloro che preservano la cultura in un tempo, è più facile impostare un giusto clima di collaborazione e condivisione. Ricordo ancora – giusto per fare un esempio – le lotte interne, già sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, tra un certo cerimoniere allora a capo dell’ufficio delle celebrazioni liturgiche pontificie che proponeva un certo “nuovo stile” ed il compianto monsignor Bartolucci (poi creato cardinale alla soglia dei 90 anni da Benedetto XVI, ndr), mio insegnante e grande custode della musica sacra e della liturgia tradizionale. Un uomo che aveva iniziato i suoi primi passi nel coro della Cappella Sistina agli albori del pontificato di Pio XII e che ha servito diligentemente cinque Papi!
È vero, o è solo un pettegolezzo malevolo messo in giro dai detrattori di Bergoglio, che molti alti prelati di fronte al Papa vestono semplicemente ma quotidianamente continuano come e più di prima ad apprezzare paramenti liturgici raffinati e, per così dire, “ricchissimi”?
Devo essere sincero, giusto? Certo che è vero ed è giusto anche dirlo! Questo è decisamente un attestato di incoerenza dal mio punto di vista, perché il Papa non guarda o, meglio, non dovrebbe guardare solo questo, ma l’interno delle persone e soprattutto la coerenza delle persone stesse. Se uno pensa solo alla poltrona per non mettersi in cattiva luce invece di rispettare il messaggio che quei paramenti, quelle vesti, quelle croci e quegli anelli rappresentano, allora siamo all’apice dell’incoerenza, come dicevo poco fa. Mi è capitato di vedere con i miei occhi vescovi e cardinali che prima di essere ricevuti in udienza da Papa Francesco tiravano fuori dal taschino la croce pettorale di ferro o d’argento e riponevano quella d’oro. Al di là dell’errore intrinseco del gesto, secondo me è una grande offesa nei confronti della loro missione.
Che ne pensa di certe prese di posizione dell’attuale Pontefice contro la Chiesa statunitense, a suo dire “sua nemica” e troppo conservatrice? Sono recentissime le defenestrazioni del vescovo texano Strickland e del cardinale Burke, quest’ultimo addirittura privato del “piatto cardinalizio”, ovvero lo stipendio, e dell’appartamento romano di servizio, ritenuti entrambi troppi vicini alla destra americana.
Io credo che anche in questo caso, come in altri, il Papa abbia avuto dei cattivi consiglieri, perché come sappiamo le decisioni molto spesso non sono solo personali. L’errore più grave, secondo me, è che un Pontefice cada nella trappola di quel filone ecclesiastico che potremmo definire anti-misericordioso; ancor più per colui che vuol essere ricordato come il “Papa della Misericordia”. Sono brutti messaggi questi, perché innanzitutto il Pontefice non dovrebbe fare politica, e poi perché dovrebbe essere sincero con i suoi collaboratori, soprattutto con i cardinali, che sono proprio i principali collaboratori e consiglieri del Papa. Ecco perché personalmente non ho mai condiviso l’idea di Bergoglio di creare un Consiglio di nove cardinali, il cosiddetto “C9”, che lo affianchi nella gestione ordinaria della Chiesa. È un concetto sbagliato e fuorviante, perché tutti i membri del Sacro Collegio hanno questo ruolo e con essi, anche singolarmente, egli deve dialogare e da loro farsi consigliare, pur nella differenza di vedute.
Come ritiene dovrebbe tornare ad essere la Chiesa post-bergogliana, soprattutto dal punto di vista liturgico? Il Papa fortunatamente sta meglio, ma ha pur sempre 87 anni e due interventi chirurgici alle spalle, oltre ad altri acciacchi dovuti dall’età, è del tutto evidente che la parte restante del pontificato sarà certamente più breve di quella che abbiamo alle spalle.
Fortunatamente, per il mio lavoro di creativo nell’ambito dell’abbigliamento liturgico ecclesiastico e per il fatto che, come sapete, sono anche un organista, vedo brillare tantissime luci, non solo in Italia ma in tutto il mondo, legate alla tradizione liturgica. Questo mi fa pensare che non dobbiamo attenderci – quando sarà – un nuovo Rinascimento o un cambio di rotta, ma la ripresa e il proseguimento di un percorso nel solco della grande tradizione della Chiesa. Quello che molti sacerdoti negli ultimi anni non hanno capito è che l’arte, le tradizioni, la storia avvicinano la gente, non l’allontanano. Viceversa, certe novità un po' confusionarie stordiscono, lasciano perplessi e, purtroppo, spesso allontanano le persone dalla Chiesa.
Tra un anno esatto inizierà il Giubileo 2025, lei crede che anche in quest’occasione mancherà la bellezza della liturgia sacra che storicamente caratterizza questo evento che la Chiesa celebra ogni 25 anni?
È fuor di dubbio che i presupposti ci siano tutti. I segnali che ci sono stati negli ultimi anni, sedimentati nell’esperienza fallimentare del Sinodo – e bisogna essere onesti nel definirlo così e dire anche che, fortunatamente, nessuno ne parla più – tra i cui obiettivi c’era anche un certo snaturamento generale della Liturgia, fanno ritenere che campanelli d’allarme in tal senso ce ne siano in abbondanza, però io confido sempre nel buon senso di alcuni collaboratori che fortunatamente spesso riescono ad imporsi. In questo senso sono convinto che il Giubileo potrà essere un nuovo punto di partenza.
Tra pochi giorni, il 31 dicembre, ricorrerà il primo anniversario della morte di Benedetto XVI eppure il ricordo, e per molti il rimpianto, è ancora vivo. Lei che lo ha conosciuto personalmente, che ricordo ha di Lui?
Certe esperienze personali, come la conoscenza con il grande pontefice Benedetto XVI, solitamente preferisco non condividerle con il pubblico; amo mantenerle nel mio cuore e nei miei ricordi. Posso dire però che quella bellissima aria che si respirava in quel pontificato, solo apparentemente nascosto perché complesso e difficile – siamo purtroppo ormai abituati a valutare solo la superficie delle cose – la riscopriremo e l’avremo ben chiara tra qualche anno, non certo oggi. Tornando alla domanda, la conoscenza personale ed umana con Papa Ratzinger mi ha soprattutto edificato come cristiano e senza dubbio anche come professionista. Io devo tutto al pontificato di Benedetto: la mia crescita umana, innanzitutto, ma anche la consapevolezza che la mia missione professionale non è legata soltanto ad un lavoro ma è un servizio ed un vero e proprio ministero. Anche come musicista posso dire la stessa cosa, perché da un lato ha concretizzato la mia preparazione, dall’altro mi ha portato a credere fermamente che senza queste cellule di bellezza la liturgia e la Chiesa stessa falliscono.
Come mai, a suo modo di vedere, la figura di Benedetto XVI è stata scoperta ed apprezzata più dopo la sua rinuncia, ed ora dopo la sua morte, che durante i 7 anni e mezzo di pontificato?
Perché, ripeto, la gente solitamente non è abituata ad approfondire le cose. Papa Benedetto ha messo dei punti fermi nel suo pontificato che erano in qualche modo un prolungamento nel solco dei pontificati precedenti e li ha approfonditi. La gente, i giornalisti in primis, hanno voluto rappresentare una visione delle cose molto superficiale: erano più attenti a notare e descrivere le scarpe rosse indossate dal Pontefice piuttosto che analizzare i suoi scritti perché questo richiede preparazione e competenza. In un mondo convinto di aver bisogno di velocità, l’approfondimento delle cose risulta spesso essere un freno, se non addirittura una marcia indietro. Sono convintissimo che ai giorni nostri, e soprattutto in futuro, si riscoprirà questo grande Pontificato solo di fronte ai paragoni.
Aggiornato il 18 dicembre 2023 alle ore 11:52