Critiche severe della Corte dei conti alla gestione principale dell’Inpgi prima del passaggio, a partire da luglio 2022, all’Inps. L’ultima annualità dell’assicurazione generale obbligatoria dei giornalisti si era chiusa con un rosso di 201 milioni di euro. Risultato disastroso di anni di cattiva gestione che hanno portato alla chiusura dell’Istituto Giovanni Amendola e all’assorbimento nell’Istituto nazionale di previdenza. Nel 2021 i giornalisti professionisti attivi erano 11.540 (688 in meno dell’anno precedente), con 351 praticanti. Le pensioni pagate erano 7.573, più altre 2.409 per i superstiti. Il rapporto quindi attivi-pensionati continuava a peggiorare: nel 2021 per ogni pensionato c’erano solo 1,46 attivi. Le cause che hanno portato l’Istituto di previdenza allo scioglimento sono molteplici. In primo luogo, l’incapacità dei vertici di Via Nizza di riscuotere i crediti vantati nei confronti delle società editrici. I contributi non versati sono saliti a 211 milioni, ai quali aggiungere 39 milioni per sanzioni e interessi.
Alla base della crisi c’è, comunque, il calo dell’occupazione, l’andamento del mercato editoriale (crollo delle vendite in edicola, scarsi abbonamenti), la trasformazione dell’attività giornalistica da lavoro dipendente a prestazioni precarie e saltuarie. Per la Corte dei conti le criticità partono da vertici costosi e numerosi. Ad un anno e mezzo dallo scioglimento della gestione principale (pensioni dei giornalisti dipendenti) l’Inpgi, rimasto a gestire le pensioni dei giornalisti autonomi, non ha ancora uno Statuto. Mancano i nuovi organi di governo, con la conseguenza che la direttrice generale Mimma Iorio è in carica dal 22 aprile 2013, con una retribuzione di 253.223 euro, più 84.785 di oneri previdenziali e assistenziali e altri 20.113 euro per trattamento di fine rapporto. Elevato anche il costo medio del personale. I dipendenti nel 2021 erano 179 (di cui 100 sono stati trasferiti all’Inps) con un costo medio di 80.673 annui. Nonostante questo, il numero delle consulenze esterne ha pesato in totale per 230.621 euro, mentre quasi 2 milioni sono stati spesi per servizi e lavori assegnati a ditte esterne.
Una fotografia impietosa nelle 54 pagine contenute nella relazione annuale della Corte dei conti, firmate dal primo referendario Emanuela Rotolo, in cui viene ribadita la non più procrastinabile necessità di “avviare un nuovo assetto”. In base alla legge che trasferiva l’Inpgi all’Inps, dovevano essere varati il nuovo Statuto e i regolamenti interni entro il 31 gennaio 2023, procedendo alle elezioni per il rinnovo degli organi. I ritardi sono stati causati anche dai contrasti emersi all’interno del Consiglio generale (composto da 62 consiglieri), da sempre gestito dalla maggioranza della corrente sindacale di sinistra. Ora un commissario ad acta ha consegnato il lavoro ai Ministeri del Lavoro e dell’Economia per l’approvazione definitiva. Occorre voltare pagina anche per i costi degli organi. La Corte dei conti osserva che, “pur prendendo atto del miglioramento registrato rispetto al 2020, l’andamento negativo dei costi è stato condizionato dalla complessa articolazione degli organi sociali, che non appare funzionale ad assicurare l’efficienza dell’ente”. Nel 2021 la presidente Marina Macelloni ha percepito 230.118 euro (erano 246.302 nel 2020). I vicepresidenti hanno avuto, in totale, 89.256 (erano quasi 100mila l’anno precedente). In tutto, gli organi di gestione sono costati 863.446 euro (erano 963.667 nel 2020).
Aggiornato il 14 dicembre 2023 alle ore 13:52