Di patriarcato e rieducazioni

L’odio di sé di quest’Occidente morente si contrasta con un senso di orgoglio e una consapevolezza di sé, possibilmente per i giusti motivi. Quanto sarebbero di aiuto ai ragazzi l’educazione alla bellezza, grandezza, ampiezza e profondità di orizzonti, al posto delle solite ore di pistolotti moralistici? Ci pensi, ministro Valditara!

Si ripete ancora una volta il copione che vediamo andare in scena da tempo: succede un fatto grave, una vera tragedia, come l’omicidio di George Floyd per mano di alcuni poliziotti, o l’omicidio di una donna ad opera dell’ex fidanzato o del marito, e per una serie di eventi concatenati, di reazioni emotive, di innesti ideologici, di agende politiche che cavalcano le notizie di cronaca, ci si ritrova immersi in un flusso di comunicazione tutto giocato sul filo dell’emotività, in cui una serie di cortocircuiti logici e parole d’ordine ripetute cercano di plasmare il reale, fino a chiedere (e spesso ottenere) nuove leggi, corsi scolastici, riscritture di libri, revisioni del linguaggio e complessivamente un tributo di conformismo e pensiero unico che fa rabbrividire. Oggi è il momento del termine “patriarcato”, che nessuno usa ovviamente nel suo senso preciso e circoscritto, ricordato anche dalla sociologa Anna Bono in un suo articolo recente. “Patriarcato” diventa un maxi contenitore, che spiega tutto, dalle botte alle mogli al male che alberga nel fondo di ogni cuore umano.

Per contro, in un copione anche questo già visto, chi parte per spiegare che gli uomini non sono tutti violenti e che spesso hanno avuto un ruolo di protezione nei confronti dei più deboli, finisce spesso per entrare in una specularità comunicativa che lo porta a dimenticare che sì, ci sono stati e ci sono, nel tempo e nello spazio, numerosi contesti in cui alle donne è stato attribuito un ruolo svilente, umiliante, fino al punto di renderle delle vere e proprie vittime di violenze fisiche e psicologiche. Non è così lontana nel tempo l’epoca in cui alle ragazze veniva impedito di studiare e ai ragazzi veniva quasi imposto, non appena la famiglia avesse i mezzi per sostenerli. Il matrimonio riparatore, il delitto d’onore sono istituti che i meno giovani ricordano dalla propria giovinezza, senza doverli leggere nei libri di scuola.

Ma prima di ogni ulteriore considerazione, vorrei ricordare alcuni fatti. L’uomo ha più testosterone delle donne, che si traduce in un comportamento più reattivo, a volte più aggressivo. E sì, l’uomo ha anche una struttura muscolare più potente. Sono due caratteristiche che permettono all’uomo primitivo di proteggere il clan, di reagire automaticamente ed efficacemente alle minacce ambientali. I piccoli, i malati, i più deboli dipendono dalla sua capacità di difenderli. Come di ogni cosa, si può fare di queste caratteristiche un buono o un cattivo uso, ma cercare di ignorarle o addirittura di negarle, modificarle, colpevolizzarle, come fa la società contemporanea, mi pare foriero di danni maggiori dei benefici sperati. Se ai giovani maschi si insegna che le caratteristiche maschili sono sbagliate sempre, se a scuola ad esempio li si riempie di prediche per ogni gesto di esuberanza o di irrequietezza, se tutto diventa bullismo, dal confronto un po’ ruvido alle vere umiliazioni dei più deboli, mi pare che si ottengano due risultati: una parte di ragazzi completamente de-mascolinizzati, pronti a girarsi dall’altra parte quando vedranno delle minacce ai più deboli, perché loro fanno ormai parte di questa stessa categoria, e una parte talmente arrabbiata da cercare vie di sfogo, modi per non sentirsi sbagliati, a costo di diventare incontrollabili, violenti, o ancora di anestetizzarsi in vario modo con sostanze o attività alienanti. Entrambe le categorie sono segno di fragilità, una fragilità che porta guai.

In Europa abbiamo il più basso numero di “femminicidi” (chiamiamoli così per capirci, la definizione è debole e ideologica) al mondo, e in Italia e in Grecia il più basso numero all’interno dell’Europa. Sul fatto che in Europa siamo messi meglio del resto del mondo, mi pare chiaro che i resti della cultura cristiana un tempo prevalente nel nostro continente siano determinanti: è dall’epoca degli antichi romani che il diritto di famiglia davvero patriarcale (quello per cui donne e bambini sono proprietà del pater familias) è costantemente sfidato dall’antropologia cristiana, per cui ogni persona ha un valore in sé, una vocazione e una dignità data dal fatto che a ciascuno di noi è valso il sacrificio in croce del figlio di Dio. La condizione delle donne è stata altalenante in Europa nell’epoca dopo Cristo, con passi avanti e indietro, ma sempre migliore di quella di gran parte del resto del mondo. E anche se oggi il cristianesimo sembra diventato irrilevante, evidentemente ha lasciato tracce nei modi di pensare. Sul perché invece Italia e Grecia abbiano numeri migliori dei civilissimi e super-paritari Paesi del nord Europa, non vorrei saltare alle conclusioni, bisognerebbe fare degli studi più approfonditi (può avere in qualche modo a che fare con un sistema politico e giudiziario che non sa sciogliere il conflitto di valori tra multiculturalismo e parità tra uomini e donne?). Mi viene però da pensare che la retorica della parità, i corsi di affettività e la liberazione sessuale non abbiano dato gran prova di sé, non dico che siano la causa dei maggiori “femminicidi” nei Paesi del nord, ma certo non sono stati neppure una cura.

Esiste un ambito su cui si può agire più facilmente, ed è la difesa di chi è in pericolo, senza aspettare che diventi vittima di un atto di violenza per poter intervenire. Saranno parziali, in parte ideologici, però i commenti a questo post della polizia di Stato sono anche molto rivelatori: esistono da parte delle forze dell’ordine e anche nella legislazione che queste devono applicare dei limiti di riconoscimento delle situazioni di pericolo ambientale e potenziale. È un ambito delicatissimo, in cui il rischio è la criminalizzazione generalizzata di tutti i conflitti tra persone di sesso diverso, ma almeno un corso per insegnare ai poliziotti a non pronunciare mai frasi come “ma tu come eri vestita” o “cosa ci facevi in giro a quell’ora”, questo sì, si potrebbe fare.

La società è spappolata, qualcuno vorrebbe separare le cause dagli effetti, credere che una società in cui già alla scuola primaria gran parte dei bambini hanno genitori separati, in cui l’accesso a contenuti di sesso e violenza sono sempre più precoci, in cui un narcisismo diffuso porta alla ricerca continua di piaceri e alla sempre minore sopportazione dei limiti e della fatica, sia negli adulti sia nei più giovani, in cui l’accesso ad alcol, droghe, psicofarmaci, è sempre più diffuso e precoce, in cui padri e madri sono collettivamente impegnati nel tentativo di non invecchiare, di rimanere eterni Peter Pan, distratti dalla propria “realizzazione” personale, dai propri cambi di partner, dal proprio “cercare sé stessi” ad oltranza, la personalità dei bambini si formi serenamente e in maniera equilibrata. Basta parlare con qualche insegnante un po’ sensibile, o con uno psicologo infantile, per scoprire che abbiamo a che fare con nuove generazioni fragilissime, infestate da fantasmi nel profondo, spesso con pulsioni di autolesionismo e pensieri di morte.

Proprio perché la società è spappolata, i paladini del “mia mamma usava la ciabatta e guarda come sono venuto su bene” o del “se sono delinquenti è tutta colpa dei genitori”, sono a loro volta degli incapaci a capire: posto che il cuore umano è ferito dal peccato originale e la pulsione al male alberga in ciascuno di noi, un tempo forse era più facile mettere in correlazione diretta la riuscita nella vita di una persona con l’educazione che aveva ricevuto. In generale, si avevano idee condivise su cosa fosse bene e cosa male, e anche chi faceva il male era in qualche modo consapevole di sbagliare. Oggi, indipendentemente dal fatto che abbiano delle brave persone o degli sciagurati come genitori, la società insegna a tutti i ragazzi che non esiste bene e male, che tutto è relativo, che l’importante è “come ci si sente”, che si può essere tutto ciò che si vuole, senza limite non solo nei genitori, ma neppure nella biologia. Al limite ci dice che il male è inquinare, ma si vede quanto ciò sia distante dalle necessità e dalle pulsioni più profonde di persone che stanno formando la propria personalità.

Qualcuno ovviamente resiste, vede l’inganno, qualcuno soccombe, altri diventano soldatini al servizio delle ideologie, altri implodono e basta. Quando diciamo che “per crescere un bambino ci vuole un villaggio”, o sottolineiamo l’importanza degli ambienti, diciamo proprio questo: la forza ideologica devastante del nostro tempo non può essere contrastata dal singolo, e neppure da singole famiglie isolate, è troppo forte, troppo penetrante, ci colpisce in punti troppo delicati del nostro essere, specie quando si tratta di giovani in età evolutiva. E colpisce anche gli adulti: sempre più isolati, fragili, privi di una rete sociale e famigliare di sostegno. Se a problemi così profondi e complessi si risponde solamente con ulteriori corsi di conformismo sociale (dopo i corsi anti-bullismo, quelli sull’educazione ambientale, quelli sull’inclusività, quelli sulla parità di genere) avremo come esito nella migliore delle ipotesi l’aver generato un’ulteriore ondata di noia e inefficacia o, nella peggiore, arriveremo finalmente a uniformarci ai numeri dei civilissimi Paesi del nord Europa.

Ciò che più dispiace, è che proprio nel retaggio culturale europeo, quello che si vorrebbe responsabile di ogni efferatezza, ci sarebbero già molti anticorpi alla situazione attuale: la capacità di ragionamento logico della filosofia, le riflessioni sul cuore umano di autori come Dante e Shakespeare, la possibilità di conoscere il mondo attraverso il pensiero scientifico, la delicatezza di sentimenti di Jane, gli abissi dell’anima in Dostoevskij, cioè, in ultima analisi, la consapevolezza che la verità esiste e va ricercata e che il bene esiste e va perseguito. Che formazione per il cuore dei giovani! L’odio di sé di quest’Occidente morente e le sue pulsioni di morte si contrastano con un senso di orgoglio e una consapevolezza di sé, possibilmente per i giusti motivi. Quanto sarebbero di aiuto ai ragazzi l’educazione alla bellezza, grandezza, ampiezza e profondità di orizzonti, al posto delle solite ore di pistolotti moralistici? Ci pensi, ministro Valditara!

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 01 dicembre 2023 alle ore 11:04