Michele Sarno, avvocato penalista e cassazionista, è presidente emerito della Camera penale di Salerno e lo scorso 30 novembre 2022 è stato insignito del premio Callas Tribute Prize a New York per l’impegno civile quale avvocato dell’anno per la difesa delle donne (e quest’anno ad ottobre è stato premiato al Columbus Day con il premio Caruso quale avvocato dell’anno).
Affrontiamo con lui il discorso della violenza contro le donne, sulla scia dell’onda emotiva scatenata dalla brutale uccisione di Giulia Cecchettin per mano del proprio fidanzato.
Avvocato, proviamo ad inquadrare la problematica della violenza di genere a livello giurisprudenziale. In questi giorni hanno proposto un inasprimento delle pene ed una rimodulazione del “Codice Rosso”.
Credo che sia fondamentale fare una riflessione molto attenta e accorta rispetto ad un tema che sta diventando sempre più deflagrante: alcuni uomini non sono in grado di accettare la fine della relazione con la propria compagna e si arrogano un diritto che non hanno: mettere fine alla vita di queste donne, a causa dell’incapacità di accettare la loro autonomia decisionale.
Ritengo che procedendo in maniera istintiva, rispondendo alla pancia del Paese, si rischia di creare maggiori danni invece che proporre soluzioni: non credo che inasprire le pene (peraltro già previste dal nostro ordinamento) sia la soluzione auspicabile. Sono sempre stato un convinto sostenitore del fatto che bisogna tentare di porre in essere tutte quelle attività che vanno nella direzione della prevenzione. Non possiamo celebrare i fatti dopo che sono accaduti. Dovremmo cercare di formare un “sistema Paese” per il quale si determinino le condizioni per cui certi fatti drammatici non accadano più, o comunque accadano in misura ridotta. Per fare questo, per prevenire, bisogna intervenire su due elementi fondamentali: una rinnovata formazione civica, a partire dalle scuole elementari; e la creazione di un sistema di controllo attento a tutti i livelli a quei profili di soggetti che necessitano di interventi sanitari e medici in quanto hanno già dimostrato deficit psicologici.
Avvocato, lei sta parlando di educazione civica: che ne pensa della proposta fatta questi giorni di introdurre corsi all’emotività?
Sulla scia dell’onda emotiva di questi giorni sto ascoltando tante idee. Le mie considerazioni partono da un presupposto: fino a che, nella vulgata comune, ci sarà un’idea della donna che non è improntata al rispetto della stessa, non riusciremo a risolvere il problema. Troppo spesso sentiamo nei discorsi tra uomini che parlano delle donne battute “da caserma”, superficiali, gratuite e che esprimono una svalutazione della figura femminile. Per questo ritengo che i corsi all’emotività non siano la soluzione. Bisogna partecipare agli uomini un’idea: la donna deve potersi realizzare allo stesso modo in cui si realizza un uomo. In questo senso parlo di educazione civica.
Quindi ritiene che le accuse al patriarcato, sempre in voga questi giorni, abbiano una loro veridicità?
Assolutamente no, questa è un’affermazione gratuita. Non si può giudicare con i parametri di oggi la società di ieri. Il patriarcato, come il matriarcato, non ha in sé un’accezione né positiva né negativa. E la storia ed il passato non si possono capire con le lenti dell’attualità. Individuare il patriarcato quale fonte del problema vuol dire appigliarsi ad una formula vuota per non dover affrontare la complessità della questione. Il problema è sempre lo stesso: il rispetto reciproco tra uomini e donne, nell’ambito di una convivenza civile. Gli uomini devono capire che il confronto con le donne non può essere improntato in nessun modo alla sopraffazione. Il vero problema in questa società è che c’è stata una evoluzione della figura femminile – che a pieno titolo raggiunge i propri traguardi – che non è stata accompagnata ad una crescita altrettanto importante da parte degli uomini. Oggi l’uomo troppo spesso rivela la sua incapacità di confronto con la donna e reagisce usando la violenza per zittirla e far valere le proprie ragioni.
Non solo il tragico episodio di Giulia, ma anche tutti i casi di cronaca di gruppi di ragazzini che stuprano la compagna di turno, rappresentano esattamente la mancanza di rispetto. La nostra società e il suo modello educativo devono ripartire mettendo al centro del dibattito la figura della donna ed il rispetto che le spetta.
Per ricollegarmi a quello che dicevo prima, non c’è bisogno di una legge più dura, ma solo che i cittadini comprendano davvero il valore ed il disvalore dei propri comportamenti.
Dovremmo imparare un nuovo approccio culturale. Per fare questo, avvocato, non diventa quasi controproducente parlare di violenza contro le donne senza citare mai quella contro gli uomini? E aggiungo, citando un’altra polemica degli ultimi giorni, nell’ottica di un vero rispetto - fermo restando che un solo caso è comunque uno di troppo - non diventa controproducente accorpare i numeri delle donne vittime di violenza non solo maschile? Rimane il dato numerico oggettivo che, per fortuna, l’Italia è tra i Paesi con la media più bassa di femminicidi: ingigantire i numeri non è controproducente per affrontare seriamente una questione delicatissima?
Premesso che le statistiche non mi appassionano perché anche un solo caso dovrebbe far tenere alta la soglia della nostra attenzione, ritengo che voler ricondurre questa battaglia esclusivamente ad un genere sia un errore madornale. Non è una battaglia di genere: non ci sono le donne in contrapposizione con gli uomini. Che si chiami femminicidio o omicidio, questa è una battaglia da portare avanti nell’interesse delle vittime dei reati. Una battaglia contro chi si scaglia con violenza contro un altro essere umano, arrivando a sopprimerlo. Una battaglia non di un genere ma dell’intero genere umano.
Questi temi vanno affrontati con forza: quello che è successo a Giulia è terribile. Ma deve dare la forza per ispirare un ragionamento attento alla situazione attuale. Ci vuole grande serietà ed attenzione. Non possiamo più andare nella direzione di individuare sempre un elemento giustificativo per il reo. Rispetto a certe condotte bisogna assumere una posizione dura ed inequivocabile. Garanzia dei diritti non vuol dire deresponsabilizzazione del colpevole. Più volte ho sentito, ingiustamente, produrre invettive ed accuse nei confronti dei rappresentanti delle forze dell’ordine, invece che nei confronti dei rei confessi.
Tutto questo può generare confusione in quanto la ricerca affannosa di responsabilità ulteriori molto spesso può portare al paradosso di ritenere tutti un po’ responsabili e di riflesso meno responsabile l’autore reale del reato.
Avvocato, pochi giorni fa è stato il 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Il 25 novembre è un simbolo, ma la battaglia per il rispetto delle donne dovrebbe essere celebrata tutti i giorni. Dovremmo ragionare senza il condizionamento ideologico. Questi dovrebbero essere valori condivisi e non essere prerogativa di una parte politica. Su questo dobbiamo essere tutti uniti, evitando che una tale questione diventi un tema attrattivo utilizzato ai fini del consenso politico. Anche da questo punto di vista serve un cambiamento culturale.
Sono, comunque, molto fiducioso, e tanto perché avere un Presidente del Consiglio donna è una grande fortuna ed una grande opportunità di evoluzione sociale, nella misura in cui si propone un modello di donna che primeggia per le sue qualità e capacità. Da questo bisogna partire per ricostruire la nostra idea di donna e di comunità, al di là degli steccati ideologici. Di passi avanti, come Paese, ne abbiamo fatti molti, ma dobbiamo continuare, strenuamente, senza arretrare di un millimetro perché dobbiamo continuare a migliorare. Nessuno ha diritto di uccidere un altro essere umano.
Dobbiamo creare le condizioni anche per far sì che le donne denuncino in sicurezza. Oggi, per come è applicato, il Codice Rosso determina nei confronti della vittima un’ulteriore mortificazione: quante donne vittime di violenza sono state costrette a stare in un ambiente cosiddetto protetto, vedendo limitata la propria libertà, mentre il proprio aggressore era invece libero? Queste storture vanno corrette.
Quale dovrebbe essere il ruolo degli uomini in questo processo di cambiamento culturale?
C’è molto da fare, non è facile. Ma bisogna iniziare a fare il primo passo, altrimenti il traguardo non lo raggiungeremo mai. Dopo quest’ultimo barbaro episodio di Giulia, vorrei dire e rivendicare con orgoglio che gli uomini veri sono quelli che rispettano e stimano le donne. Noi Uomini, con la U maiuscola, davanti a questi episodi dobbiamo rivendicare orgogliosamente un dato di fatto: noi non siamo Filippo. Altrimenti si rischia la colpevolizzazione di tutti che equivale a non dare la colpa a nessuno.
Aggiornato il 01 dicembre 2023 alle ore 13:17