Per raccontare il caso di Beniamino Zuncheddu, il Tg1 delle 20 ha dedicato un paio di minuti. Bisognava essere bravi nel raccontare questa storia senza citare neppure il Partito Radicale. Giacinto Pinto c’è riuscito. Complimenti. Integrazione che riguarda il Tg2 delle 20,30: non se ne occupa proprio: 32 anni di ingiusta carcerazione sono una storia di “ordinaria ingiustizia”. Talmente ordinaria che non merita di occuparsene. Doppi complimenti.
Il caso di Beniamino Zuncheddu è quello di un inerme pastore sardo accusato di omicidio e condannato sulla base di prove più che evanescenti ma che non gli hanno comunque risparmiato oltre trent’anni di carcere. Che sia frettolosamente e pessimamente trattato dai mezzi di comunicazione piacerebbe si possa giustificare con una sorta di vergogna dei suddetti, per non essersi accorti (non essersi voluti accorgere), di questa vicenda. Probabilmente è invece “semplicemente” indifferenza, incapacità di comprendere. Letterale ignoranza dei fondamentali del giornalismo. Giornalismo e giornalisti non meno colpevoli e responsabili di chi ha creduto di dover amministrare la giustizia come ha amministrato.
Si potrà obiettare che di casi di errori giudiziari in questo Paese ne accadono in quantità, dunque ci si fa il callo. Ma che siano tanti, innumerevoli, i casi Zuncheddu non è certo valida giustificazione. Ad ogni modo il callo solitamente duole. Qui l’unico dolore è quello delle vittime e dei congiunti e degli amici delle vittime. Neppure si giustifica l’espressione “errore giudiziario”. È piuttosto un ennesimo caso di ingiustizia. Quella ingiustizia che, riflette Alessandro Manzoni, “poteva esser veduta da quelli stessi che la commettevano, un trasgredir le regole ammesse anche da loro...”.
Cosicché dal “caso” umano si passa logicamente al dato politico, e che politicamente va risolto: risposte politiche esige, e rapide, urgenti.
Nella prefazione a un libro (“Storie di ordinaria ingiustizia”), Leonardo Sciascia annota: “Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli. E siamo a questo punto...”.
Una prefazione e un libro pubblicati nel 1987: quattro anni dopo iniziava il calvario di Zuncheddu. Potenti e tecnicamente irresponsabili entità da trenta e più anni fanno di tutto perché il dato politico che genera ogni anno centinaia di casi Zuncheddu non sia avviato a soluzione. Perché di quel potere di cui parla Sciascia si vuole continuare a godere, invece che soffrirne.
Sempre nella citata prefazione Sciascia ricorda un caso che – iniziato negli anni Cinquanta del secolo scorso – appartiene ormai alla storia, sopravvive nei libri di dottrina giuridica: le arringhe degli avvocati, le motivazioni delle sentenze dei giudici sono uno dei rari ed eclatanti esempi di errore giudiziario. È il caso Gallo: la condanna per assassinio del fratello di un uomo che con il fratello aveva soltanto violentemente litigato. Da quel momento il fratello era scomparso, andandosene a rifarsi altrove una vita riuscendoci senza bisogno di una identità anagrafica. La morte presunta era, in quel caso, diventata certezza di morte per assassinio; senza peraltro che il cadavere fosse mai stato trovato per la semplice ragione che il morto godeva di ottima salute. Eppure, il processo per omicidio venne istruito, la sentenza emessa, la condanna eseguita… Che questo e altri casi abbiano colpito e segnato il giovane Sciascia aiuta a capire il perché di tanto impegno nell’età più matura, l’impegno in cause che tante polemiche gli hanno procurato: la giustizia vissuta come “ossessione”.
Si può poi citare – a conferma che l’errore giudiziario e l’ingiustizia se ne impipa di confini e nazionalità – il caso di Francesco Arancio, un italo-franco-tunisino accusato lui pure di un delitto da magistrati francesi. A sollevare il caso un giornalista italiano corrispondente da Parigi de Il Giorno: Marco Pannella. Grazie a una serie di articoli pubblicati sul quotidiano milanese e all’intervento di un avvocato abruzzese da Pannella procurato (il senatore comunista Mario Palermo), il caso viene riaperto e riesaminato (chi è interessato trova l’intera vicenda raccontata nel libro “Pannella racconta, Pannella scrive”).
Tre vicende di ordinaria ingiustizia, di clamorosi errori giudiziari. C’è un filo che lega queste tre storie (e altre se ne potrebbero citare); anzi, più d’uno. Chi legge questa nota certamente non faticherà a individuarli.
Aggiornato il 28 novembre 2023 alle ore 16:29