Cresce la povertà in Italia

Si acuisce e si estende maggiormente, rispetto al recente passato, la povertà in Italia. Ormai sono in condizioni di povertà assoluta poco più di 2,18 milioni di famiglie italiane. Questo peggioramento è riconducibile in larga misura alla forte accelerazione dell’inflazione. A confermarlo è l’Istat, dopo che già nel luglio scorso l’Ocse, in un suo rapporto su prospettive dell’occupazione del 2023, aveva delineato uno scenario in cui l’aumento dell’inflazione e la debolezza dei salari vedeva l’Italia particolarmente sofferente ed esposta a peggioramenti.

Inoltre, i dati ci dicono che, ormai, oltre 5,6 milioni di persone hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, con il rischio di esporre altri individui a condizioni di povertà. D’altronde, oltre alle tante cause accumulate nel tempo e mai alleggerite, si fanno sentire i disagi economici e sociali provocati dal Covid.

La mano invisibile dell’inflazione ha concorso gravemente a impoverire le famiglie, in conseguenza dell’inasprimento dei costi di tutte le materie prime e dell’energia generato da speculazioni di vario genere. Senza dimenticare, però, che le dinamiche retributive sono rimaste immutate negli ultimi trent’anni, e anzi sono scese (-2 per cento), collocandoci in ultima posizione nella graduatoria dei Paesi Ue: i lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno rispetto ai colleghi europei (oltre 8mila euro in meno rispetto a quelli tedeschi).

Ma come sta reagendo il Paese con la sua classe politica, le realtà sociali, e i mass media? Si limitano a raccontare la povertà, senza porsi alcuna domanda circa le cause che l’hanno originata e senza prospettare soluzioni di medio lungo termine da adottare, come imporrebbe tale incresciosa circostanza. E infatti, oltre ai soliti provvisori bonus e altri pannicelli di emergenza, non si va.

Accade ciò perché sinora la classe dirigente italiana ha preferito non occuparsi del debito, e anzi, facendolo aumentare, non si sono gestite con razionalità le risorse pubbliche, la scuola e la sanità si sono lasciate governare (con una spesa non collocata su determinati standard) prescindendo dalle esigenze che la modernità porrebbe.

Ritardi e disordine hanno prodotto investimenti improduttivi, lontani dall’adeguamento dei fattori decisivi che conducono con l’istruzione e la formazione alla competività. E in questo contesto di impoverimento, a causa dell’incustodia dei fattori principali che portano benessere, si registrano solo risultati negativi.

La povertà, lo possiamo affermare, è un male che andrebbe sempre prevenuto, più che curato. E poi, oltre a combattere la povertà occupandosi di come generare ricchezza nuova, si dovrebbero modificare i criteri di selezione dei soggetti da sostenere. Ad esempio, stabilire la differenza tra coloro che sono poveri momentanei in grado di lavorare, e chi invece per età e malattia non potrà più essere attivo. Per i primi, ogni aiuto non potrà prescindere dal loro impegno lavorativo, per i secondi, l’aiuto dovrà essere stabile e naturalmente decoroso.

Stabilità dei sostegni e aiuti momentanei attraverso il lavoro non solo saranno rispettosi della dignità delle persone, ma saranno anche il riparo dalla “carità pelosa” che spesso nasconde provvedimenti non orientati al bene pubblico ma alla creazione di dipendenze irrispettose per le persone e distorsive per la società.

(*) Presidente di Ripensiamo Roma

Aggiornato il 28 novembre 2023 alle ore 13:15