#Albait. La morte di Giulia, il patriarcato, la libertà in pericolo

L’omicidio della giovanissima ingegnere biomedico Giulia Cecchettin è l’ennesima storia contemporanea che ha scatenato rabbia, vergogna, e anche un opportuno dibattito. La sorella di Giulia, arrabbiata perché le è stata strappata una parte della sua vita, ha espresso più di un’accusa. Elena ha denunciato il patriarcato. Ha ragione a scagliarsi contro la cultura maschilista. Parlare genericamente di patriarcato è però un errore. Non un errore personale, quanto di paradigma.

Esiste una vena patriarcale nella società contemporanea. Una vena robusta. Del patriarcato possiamo isolare alcuni elementi: sistema sociale, leadership politica maschile, monopolio maschile della morale e della politica, privilegio sociale, controllo della proprietà privata. In famiglia, il patriarcato si sostanzia nel potere del padre sulla donna e i figli, tutti. Sociologicamente non si parla di questi termini con vaghezza. Il potere è di ordine coercitivo e senza alternative. Da questo punto di vista, la figura del padre padrone non c’è più, nel nostro quotidiano di Paese liberale. E nemmeno i modelli culturali spingono verso quella direzione. Non c’è coazione a ripetere possibile.

Giulia è vittima di un residuo pseudo culturale di quella forza fisica che non rappresenta più la nostra civiltà. La brutalità del femminicida è quella di Hamas, delle classi dominanti iraniane, del silenzio calato nella società turca sulla condizione della donna. Queste cose non sono figlie dell’attuale Occidente. Il patriarcato è sorretto da interpretazioni religiose, pseudo culturali e legislative illiberali. Quel patriarcato è nemico della civiltà occidentale. È espressione di controllo su tutta la società che oggi qui respingiamo.

Cara Giulia, siamo colpevoli della tua morte, è vero. Non sappiamo ancora difendere in modo appropriato la nostra civiltà liberale e tu sei l’ennesimo sacrificio sulla strada di questa difesa ancora flebile, contro i nemici della libertà.

In Italia, in Russia, in Turchia, in Iran, le donne possono essere difese dalla lotta ai nemici della modernità, della società aperta, della libertà.

La libertà di ciascuno coincide con la piena capacità delle donne di denunciare chi le minaccia. Lo Stato democratico serio deve agire per tempo. Il codice rosso deve funzionare e non funziona. L’associazionismo è importante, ma non deve trasformarsi in monopolio dell’intervento. Dobbiamo ricostruire le reti dei consultori e della cooperazione sociale.

Non cerchiamo una sintesi sulla tua pelle, Giulia. Cerchiamo giustizia e libertà. Non abbiamo saputo garantirla a te e a migliaia di altre donne. Il tuo diritto a vivere era assoluto. Abbiamo fallito. Ne soffriamo la responsabilità. Dobbiamo migliorare. Per rendere la nostra vita migliore. Per garantire a tutti libertà e i migliori frutti che una società di uguali soltanto sanno garantire.

Una preghiera laica per te. Il senso della sconfitta in ognuno di noi. Un nuovo obiettivo perché non accada mai più, delineato. Con analisi corrette ed azioni serie. Con la libertà piena come obiettivo.

E ora alcune digressioni, per i lettori che hanno più tempo:

Wikipedia: in sociologia, il patriarcato è un sistema sociale in cui gli uomini detengono in via primaria il potere e predominano in ruoli di leadership politica, autorità morale, privilegio sociale e controllo della proprietà privata. In ambito familiare, il padre o la figura paterna esercita la propria autorità sulla donna e i figli.

La storia della questione femminile è costellata di piccoli vagiti, nel corso della storia, che sono diventati voce potente per qualche decennio. La storia del successo delle lotte delle donne coincide con la recente sequenza che ha portato alla concessione del diritto al voto delle donne. Quasi dolcemente lo racconta Paola Cortellesi in C’è ancora domani, per l’Italia.

Alle donne, ancora nel secolo scorso, era contestato persino il diritto alla proprietà. Nel magnifico film Orlando, ispirato dall’omonimo testo di Virginia Woolf (andrebbe letto, in realtà), la situazione femminile, anche nella nobiltà, è plasticamente rappresentata nelle varie epoche.

Il patriarcato resiste nelle culture più religiose del mondo, non solo dell’Islam. Il modello patriarcale è stato rilanciato anche dai russi. Vladimir Putin descrive l’Occidente come area in crisi perché il maschio non sarebbe più tale. Il mito del maschio e il patriarcato sono sinonimi. In Asia e in Africa è stato imposto dall’Islam retrogrado, anche laddove la tradizione era stata matriarcale, come in vaste tribù che vivevano ai margini del Sahara occidentale.

Noi non siamo innestati più in quel filone culturale. Rifiutiamo le istanze del potere brutale della forza. Privilegiamo i diritti civili e intellettuali, la libertà. I femminicidi e le violenze di genere nel cosiddetto mondo occidentale sono una conseguenza della reazione dei maschi deboli intellettualmente e socialmente che cercano riscatto nella forza fisica. Sono un segno che la cattiveria esiste.

Il fidanzato di Giulia chiede che lei non si laurei. Un’evidente confessione di inferiorità. Situazione irrisolvibile per lui. La uccide per cancellare il proprio fallimento. In psicologia la violenza può essere scatenata da tanti fattori. Uno dei più comuni è l’eccesso di pressione che l’individuo sente. Il fallimento è una pressione potente. L’uso della forza è affermazione della propria disperazione a scapito della persona libera e che conduce solo un’esistenza di normale successo. Si tratta di patriarcato? In termini di residui, sì. In termini pratici, no.

Gli elementi patriarcali non hanno più sanzione legislativa né di diritto corrente. Le donne avanzano con orgoglio nell’accademia e nelle imprese. Le donne hanno studiato e faticato di più, per superare il patriarcale privilegio maschile e sociale del passato. L’uomo, erede di quei privilegi, non si è impegnato nello stesso modo. In una logica di dialettica hegeliana, l’analisi prevede il patriarcato come tesi, il femminismo come antitesi, e una sintesi da scrivere, probabilmente asessuata, con le ‘u’ al posto delle terminazioni di genere. Questa è però un’evoluzione conflittuale, di paradigmi che si combattono tra loro e lasciano sul campo morti e feriti, oltre che rendere ineluttabili i termini dialettici.

L’esperienza e la convenienza suggeriscono invece che le soluzioni non vengano dal conflitto aperto, ma dalla progressiva e irresistibile forza dei principi, della legge, delle riforme.

La lunga marcia delle donne ha avuto i primi successi grazie proprio alla rottura degli schemi feudali, che davano al primo maschio il diritto al nome e al patrimonio.

Bentham, padre del liberalismo moderno, professava la piena parità dei sessi. Virginia Woolf, fortemente influenzata da Mary Wollstonecraft fondò un gruppo che praticava l’amore libero e l’intercambiabilità dei ruoli, oltre che produrre il meglio della cultura europea del primo Novecento. Parliamo del Bloomsbury Group, che annovera tra i suoi membri anche un giovanissimo John Maynard Keynes. Quel gruppo oggi sarebbe stato definito “liquido”. Ragazzi e ragazze si scambiavano ruoli sessuali e sociali. Parecchi anni prima, un altro gruppo di artisti liberali, libertari e rivoluzionari, furono la culla del romanticismo e avevano uno dei suoi perni in Mary Shelley, figlia della Wollstonecraft, non a caso. Grazie anche a loro, a distanza di più di un secolo, le cose sono finalmente cambiate.

Le famiglie attuali non hanno più alcuna ragion d’essere, senza un padre e una madre che si scambino in continuazione i ruoli. La fine dei femminicidi non dipende dalla lotta al maschio come portatore di un gamete. I diritti della donna e la fine dei femminicidi dipendono dalla capacità della società liberale, tutta, di garantire l’applicazione universale del diritto civile e penale, senza distinzione di sesso. Grazie a una forza istituzionale che è nemica dell’arbitrio, non solo omicida, di chi vorrebbe imporre la propria volontà personale a chiunque abbia attorno.

Aggiornato il 24 novembre 2023 alle ore 12:32