Il numero dei medici di base, più esattamente dei medici di medicina generale, continua a scendere. Una carenza che preoccupa se si guarda alla fotografia scattata dall’Istat, dove emerge un costante trend in diminuzione “con una riduzione media annua dell’1,2 per cento”, che cresce del 1,4 per cento nelle Regioni settentrionali. Il medico di famiglia, figura da sempre chiamata a essere un punto di riferimento per molti nuclei familiari, tramandandosi di generazione in generazione e capace di instaurare un rapporto di fiducia fondamentale nel rapporto medico-paziente, sembra scarseggiare. Eppure, in un passato non troppo passato, il medico di famiglia era il medico per eccellenza: capace di offrire un’assistenza che andava ben oltre a quella squisitamente medica. Il medico, a volte, unico per molte piccole città offriva ogni cura, indirizzava i pazienti nel piano clinico o ancor più semplicemente rassicurava. Un ruolo talmente importante che oggi, come allora, non ha perso la sua centralità.
Tuttavia, a mancare all’appello sono quasi 2.900 medici di base ed entro il 2025 la perdita sarà di oltre 3.400 professionisti. L’entità di tale carenza, o ancor meglio assenza – dai centri urbani a quelli più difficili da raggiungere – appare chiara leggendo l’analisi e le stime della Fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze). Il calo incide inevitabilmente sulla percentuale dei pazienti in carico ai medici di medicina generale e sul valore soglia stabilito dall’Accordo collettivo, fissato a 1.500 assistiti. Un valore che oltre a poter essere incrementato fino a 1.800 pazienti in relazione a particolari situazioni locali, viene molto spesso superato attraverso precise deroghe disposte dagli Accordi integrativi regionali (fino a duemila nella Provincia autonoma di Bolzano) registrando un progressivo e significativo aumento del tetto stabilito dal 15,8 per cento del 2004 al 38,2 per cento del 2020, fino all’attuale 42,1 per cento. Ma perché ai giovani iscritti a medicina non interessa intraprendere tale percorso professionale?
Lo sproporzionale ricambio generazionale e la scarsa attrazione a una professione, meno allettante rispetto alla più remunerata medicina specialistica, sono le principali ragioni della mancata scelta o, a contrario, le principali cause dell’attuale situazione. Una situazione a cui si sta facendo fronte con l’innalzamento degli attuali limiti pensionistici (67 anni d’età). Se gli Accordi collettivi dei medici di medicina generale già prevedono la possibilità di restare in servizio fino a 70 anni di età, con i recenti interni del Governo si è inteso consentire la possibilità di trattenere volontariamente i medici di base fino a 72 anni. Una misura che appare efficace per riempire i danni causati dall’assenza di offerta di personale medico convenzionato e per garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria, rappresentando un cuscinetto in attesa dell’ingresso di nuovi medici desiderosi di contribuire in modo essenziale alla cura dei cittadini e tale da ripristinare una proporzionale presenza dei medici di base sul territorio.
Aggiornato il 16 novembre 2023 alle ore 11:13