Le informazioni dai fronti di guerra sono diventate centrali per il giornalismo negli ultimi anni. Sollecitano verità e tempi rapidi di comunicazione. Il mestiere di giornalista è diventato più difficile, dovendosi districare tra notizie false messe in giro dalle varie fonti interessate a far giungere all’opinione pubblica una propria versione dei fatti. L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin e il riacutizzarsi del drammatico conflitto tra palestinesi e israeliani, con migliaia di morti in entrambe le parti, hanno riproposto il contrasto tra manipolazione e realtà, tra prove e smentite, tra video e foto vere e quelle senza contesto. I lettori e i telespettatori sono “bombardati” da una valanga di dichiarazioni, articoli senza pari sui due conflitti, anche per l’esplosione della tecnologia che va dagli smartphone ai siti social ai clip di videogiochi. In questo contesto, i primi a reagire sono stati gli americani di NewsGuard che hanno lanciato un vasto monitoraggio sui due conflitti per documentare le notizie false e le “subdole” modalità di diffusione online. Un team internazionale è stato ingaggiato dall’imprenditore e giornalista Steven Brill e dall’ex publisher del Wall Street Journal Gordon Crovitz, inventori di NewsGuard, con l’obiettivo di fornire ai lettori e alle istituzioni strumenti utili a districarsi nei meandri della disinformazione.
L’aspetto più interessante di questa operazione è che sono state identificate 15 affermazioni false o totalmente prive di fondamento soprattutto sull’attacco di Hamas e sulla reazione di Israele. Il fenomeno è di vaste proporzioni: sono state circa 22 milioni le visualizzazioni lette su X, l’ex social Twitter di Elon Musk, sul cinese TikTok e su Instagram. Il problema, secondo gli esperti, è che l’Intelligenza artificiale generativa ha moltiplicato le possibilità di espansione delle disinformazioni, per cui il sistema della comunicazione e della corretta informazione corre il rischio di peggiorare rapidamente. I primi casi macroscopici sono stati quelli relativi alla diffusione di falsi filmati di combattimenti a terra nei territori ucraini, fino a quando non sono stati registrati i missili che si abbattevano sulle città e sugli edifici civili e non militari. Alcuni utenti, per lo più giovani, hanno diffuso clip ricavate da videogiochi, facendole passare per video autentici, altri hanno messo in rete immagini di guerre passate o di altri eventi non riferibili ai conflitti in Ucraina e in Palestina. L’episodio che ha suscitato più discussioni è stato quello del massacro di civili perpetrato da Hamas nel kibbutz di Kfar Aza, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, reso noto per primo dalla corrispondente di I24News Nicole Zedek che avrebbe avuto il documento dai primi soccorritori e militari giunti nella zona.
Tutti i media hanno rilanciato il dettaglio del ritrovamento di alcuni corpi di “bambini decapitati”. Molti quotidiani e canali tivù hanno titolato il 10 ottobre: “Orrore a Kfar Aza: Hamas uccide 40 bambini e neonati: alcuni decapitati”. Esplode l’orrore e l’indignazione. Mancava però la prova incontrovertibile dei corpi mutilati. Tre giorni dopo l’attacco palestinese, l’esercito israeliano ha permesso ai giornalisti di alcuni media internazionali di visitare il kibbutz. La ricognizione ha mostrato evidenti tracce di una carneficina ma nessuno ha visto, in prima persona, i corpi dei bambini decapitati. A questo punto arriva la smentita di Hamas che parla di calunnie e assenza di prove. Il quotidiano The Jerusalem Post ha fatto sapere il 12 ottobre di aver visionato “foto verificate” che sono state mostrate dal premier Benjamin Netanyahu al segretario di Stato Usa Antony Blinken giunto a Tel Aviv. Al di là dell’orrore immaginabile per l’uccisione di bambini, resta il dramma delle scelte terribili che i giornalisti sono costretti a fare nell’informare correttamente i lettori e l’opinione pubblica.
Aggiornato il 19 ottobre 2023 alle ore 12:31