Grazia a Crespi? “Il suo è un caso unico”: intervista al generale Mori

Ha fortemente voluto esserci il sei settembre scorso alla Biennale del Cinema di Venezia, per la presentazione del docufilm Stato di grazia, diretto da Luca Telese, che racconta l’incredibile vicenda giudiziaria del regista Ambrogio Crespi. Lucido e determinato, il generale Mario Mori ha accettato di rilasciare questa intervista esclusiva a L’Opinione. Parlando di Crespi, dice che è un “uomo di grandi valori morali”. E che “la vicenda (di Crespi, ndr) sollecita valutazioni morali e sostanziali tali da farne un caso unico”.

Generale Mario Mori, grazie per aver deciso di concedere questa intervista esclusiva per L’Opinione. Lo scorso 6 settembre è stato presente alla presentazione, durante la Biennale del Cinema di Venezia, del docu-film Stato di grazia dedicato alla vicenda giudiziaria del regista Ambrogio Crespi. Le sue impressioni?

Ho accettato con piacere l’invito rivoltomi per partecipare alla visione del docufilm Stato di grazia, dedicato alle vicende giudiziarie di Ambrogio Crespi, presentato a Venezia nel corso delle giornate dedicate alla Mostra del Cinema. L’opera ha descritto in maniera compiuta e partecipe tutte le fasi del calvario di un uomo di fronte a un fatto improvviso e imprevedibile, che travolge la sua esistenza e quella dei suoi cari.

Oggi si parla di “grazia totale” (dopo la “grazia parziale” già concessa dal Presidente della Repubblica, ndr) per il regista Ambrogio Crespi, cosa che chiederanno i famigliari al Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Lei cosa ne pensa?

Da quello che ho compreso, attraverso la descrizione che mi è stata fatta dagli avvocati, la concessione della “grazia totale” presenta delle difficoltà tecniche di non poco conto. Il fatto però che il Presidente della Repubblica abbia concesso così rapidamente la “grazia parziale”, sta a significare che la vicenda sollecita valutazioni morali e sostanziali, tali da farne un caso unico. Spero e credo che, alla fine, sarà trovata una soluzione che consenta ad Ambrogio di avere un riconoscimento completo della sua estraneità rispetto a qualsiasi tipo di connessione con ambiti e cultura mafiosi.

Ci racconta come è nato il docufilm Generale Mori, un’Italia a testa alta (che ottenne lo share del 7 per cento quando andò in onda, in tarda serata, su Rete 4, ndr). Cosa è riuscito a farle raccontare il regista Ambrogio Crespi?

La stesura del docufilm sulla mia vita è stata un’esperienza singolare, che mi ha consentito di conoscere un aspetto, quella dello sviluppo di un lavoro cinematografico, del tutto nuovo per me. Nella circostanza ho avuto la possibilità di conoscere non solo un professionista di grande valore, ma questo mi era già noto, quanto un uomo in possesso di grandi valori morali.

Oggi, dopo tutte le vicissitudini giudiziarie (da cui ne è uscito totalmente innocente come sancito dalla Cassazione nell’aprile scorso, ndr), lei continua a girare l’Italia, proprio con il regista Ambrogio Crespi, per incontrare sia i giovani che i cittadini che vogliono conoscere la storia della lotta al terrorismo e alla mafia. Il vostro è un legame forte, sancito dall’impegno per la divulgazione della legalità: è una esatta definizione?

Mi sembra doveroso che persone che hanno avuto esperienze difficili, ma positive, con uomini e situazioni connesse alla criminalità mafiosa, debbano impegnarsi, soprattutto verso i giovani, perché il fenomeno sia compreso nella sua drammatica interezza. E siano ben chiari gli strumenti con cui combattere questo tumore della società nazionale.

Lei ha messo alle spalle un lunghissimo iter giudiziario, uscendone completamente scagionato. Che messaggio si sente di lanciare a chi l’ha messo alla gogna?

Nella lunga vicenda di cui, mio malgrado, sono stato protagonista, ho avuto sempre il sostegno di una buona parte della pubblica opinione che mi ha fatto sentire in vari modi la sua solidarietà. A tutti costoro devo un sentito, profondo, ringraziamento. Tra i miei detrattori, non ho nulla da dire a chi si è fatta un’idea sbagliata attraverso la lettura di giornali e documenti a me contrari, peraltro ampiamente diffusi in Italia; non avevano altro modo per giudicare. A quelli che sono gli autori, a vario titolo, del complesso delle accuse che mi sono state rivolte, concedo il beneficio della buonafede se, a processi finalmente definiti, vorranno riconoscere di avere sbagliato. Non penso, però, che la gran parte di questi signori lo farà.

Aggiornato il 25 settembre 2023 alle ore 13:24