La fatina albanese

Giovanni Malagodi, grande liberale, un giorno disse che gli sarebbe piaciuto vedere la Fiat divisa in centinaia di piccole aziende. E forse oggi, dal suo mondo, guarda questa epoca con quel viso pensoso e corrucciato di chi non riesce a capire come riusciamo a vivere da schiavi pagando da benestanti, anche se non lo siamo.

Internet, ad esempio. È come l’aria, come l’acqua, un bene di cui quasi nessuno può fare a meno, ma creare e organizzare le reti non è un’operazione alla portata di piccoli imprenditori, così come non lo è la produzione di altri generi di primissima necessità come jeans griffati e monopattini.

In breve tempo le major dell’etere sociale sono diventate uno Stato forte dentro uno Stato colabrodo: inventano regole, contratti eterei, inviano comunicazioni, ma non recepiscono quelle dei sudditi, e spesso violano la legge rimanendo impunite. Giocano con numeri telefonici indecifrabili, e, per pagare poco i collaboratori, coinvolgono mezza Albania.

Paese che, ai tempi di Enver Hoxha si batteva per essere più comunista dell’Unione Sovietica, poi della Cina, e ora sta diventando la luce dell’Est per gli italiani e non solo. Hoxha e i suoi predecessori diffondevano Radio Tirana in tutte le lingue e, in mezzo a ore di programmi irresistibili sulla temperatura di conservazione dei vari alimenti, continui slogan sul privilegio di vivere nel paradiso albanese.

Ora gli squipetari rinnovano tutto silenziosamente e gli europei, italiani in testa, stanno investendo e invadendo turisticamente l’ultimo Paese con prezzi umani. Sapendo che si tratta di pacchia a termine, come è stato per Grecia, Croazia e dintorni: dunque, tutti a Durazzo, Valona, Sarandë. Dove vivono alcuni uomini e tante donne che lavorano da remoto ai call center low cost e usano nomi italiani per rispondere, con frasi protocollari, alle domande degli utenti telefonici e web. Ma, in sostanza, solo alle faq (frequently asked questions) le sole a cui Fantozzi ha il diritto di ricevere risposta. La loro pronuncia è ormai diventata familiare, l’italiano l’hanno imparato bene dai genitori e dai nonni, i quali costruivano ingegnosamente rozze antenne camuffate per ricevere la Rai, proibita dall’austero e poverissimo regime.

Ma se contrattualizzare centralinisti economici non è reato, lo è, o almeno lo sarebbe, usarli per truffe telefoniche impensabili. Un mastodonte in difficoltà fa chiamare da numeri one way gli abbonati della concorrenza, annunciando che la “scontistica” scadrà fra quattro giorni e pagheranno quasi il doppio per il wi-fi domestico, oltre a questo e a quest’altro. Telefonano, ad esempio, alla fine di agosto, quando molti sono ancora in vacanza e non hanno il tempo per rientrare e metterci una pezza passando alla concorrenza.

Ma ecco che, come per magia, mezz’ora dopo, chi chiama? Proprio la concorrenza, ma che fortuna! Un’albanese identica alla precedente, molto identica, con la stessa pronuncia, ma intonazione da fatina buona, annuncia soluzioni a tutto e poi ci pensa lei, ci libera dai cattivoni e ci ammette nel suo castello scontato, per sempre, dieci, venti, trent’anni.

Peccato che gli aumenti, nella realtà, non vengano mai annunciati da albanesi cattive, ma da comunicazioni nelle bollette, chiamiamole così. Dunque, nessun aumento, era un trucco. Le associazioni dei consumatori vantano di avere risolto il novanta per cento dei soprusi, ma quando ricevono segnalazioni come questa rispondono lo sappiamo, accade spesso, ne abbiamo denunciate tante, ma che ci vuole fare?

Fornire prove delle truffe telefoniche è difficile, e poi, infastidire questi colossi sembra brutto, potrebbero aversene a male. Piuttosto, ufficializziamo il “che ci vuole fare?”, inseriamolo nella bandiera. In fondo è il simbolo di una serena rassegnazione nazional-quotidiana.

Aggiornato il 31 agosto 2023 alle ore 10:21