Scrive lo Zingarelli 2020: “Il buonsenso è la capacità di comportarsi con saggezza e senso della misura, attenendosi a criteri di opportunità generalmente condivisi”. Secondo l’Accademia della Crusca, il successo del buonsenso esplode nel XVIII secolo, quando si presenta come una variante familiare della ragione illuminata. È allora che ha inizio il suo scivolamento verso il senso comune, oggi inteso sempre più spesso come generico “sentire, opinione della maggioranza”: una deriva semanticamente e culturalmente pericolosa, che rischia di smarrire una differenza importante, perché il buonsenso inteso come uso moderato, equilibrato della ragione non coincide, purtroppo, col senso comune, come ci ricorda Alessandro Manzoni nel XXXII capitolo dei Promessi sposi: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”. Ho voluto distinguere il termine buonsenso da senso comune perché nel bombardamento di informazioni a cui siamo esposti da parte dei media e dei social, alcune definizioni della realtà, che avvengono mediante la parola, generano confusione e condizionamento. Le parole hanno un senso, senza le parole la nostra civiltà non si sarebbe mai sviluppata, ancor prima della scoperta della scrittura, ovviamente fondamentale, il senso delle parole definisce la nostra realtà, il nostro mondo conoscibile, da non dimenticare che sono le parole che formano una lingua essendo esse un codice di regole condivise, a sua volta definiscono la cornice su cui si fonda una cultura che poi forgia un popolo.
Assistiamo oggi a una deriva linguistica, e, di conseguenza ad una deriva di comprensione della realtà stessa e dei valori che noi diamo alla realtà, non solo dovuta a una pressante inglesizzazione della nostra lingua, ma a una presunta rivoluzione del linguaggio nella ridefinizione dei generi maschile e femminile che ipotizza il superamento delle discriminazioni tra uomo e donna mediante la sostituzioni delle vocali finali ai nomi delle cose, alle specificazioni delle professioni (sindaco-sindaca, avvocato-avvocata, mamma-mammo) all’uso di parole neutre con la e capovolta o con l’asterisco * con l’intento di non specificare l’aspetto sessuale del termine. Tutto ciò ci viene raccontato e fatto a fin di bene per non discriminare coloro che si percepiscono diversi e per combattere la violenza maschile anche nel linguaggio. Il buon senso dovrebbe essere utile per comprendere che questa presunta rivoluzione nasconde una lucida follia, perché si utilizza in modo insensato il termine discriminazione, non cogliendo le evoluzioni reali dei costumi e si rende utile al potere come grande operazione di distrazione di massa al servizio delle vere discriminazioni e disuguaglianze sociali che si sono acuite. I media giocano molto su questo terreno del genere, essendo un dibattito polarizzante e divisivo con l’obiettivo di trasformarlo nel sentire comune delle persone, per trasformarlo in senso comune del comportamento umano. Karl Marx parlerebbe di sovrastrutture utili al potere non per far avanzare i diritti civili, ma per sbandierare dei presunti diritti civili come clava, al fine di realizzare una macelleria sociale di cui non si parla, e pertanto “non esiste”. Molti Paesi, tra cui l’Italia, giustamente hanno legiferato sul tema dei diritti tra gli appartenenti allo stesso sesso, dando, mediante le unioni civili gli stessi diritti del matrimonio. Ma non è un matrimonio.
In questo caso, si vuole usare il senso comune dicendo: “Che differenza c’è se hanno lo stesso diritto a chiamarlo matrimonio?”. Proprio perché le parole hanno un senso il matrimonio definisce non tanto un rapporto di coppia, ma la responsabilità della coppia nei confronti di quello che è l’istinto primario di tutta la natura, la tutela dei figli. Noi, come tutti i mammiferi, viviamo per procreare la nostra specie, e il matrimonio prima di tutti gli altri significati che gli sono stati attribuiti (cognome, eredità) è la responsabilità legale nel crescere un bambino. Se è vero che anche molte coppie eterosessuali rinunciano al matrimonio per evitare complicanze legali, per i figli c’è il riconoscimento sia se si tratta di unione civile che di convivenza. Questo perché il senso della nostra esistenza primordiale è il mantenimento della specie. Mi rendo conto che ciò che dico non è poetico, ma un’immersione nella realtà è fondamentale per riannodare il significato del buonsenso. Questo non esclude che nella nostra società del consumo e di un certo benessere devono essere rispettate e tutelate le esigenze sessuali diverse dalla procreazione.
In una società liberale ogni individuo è libero di vivere la propria vita sessuale come gli aggrada nel consenso del o dei partner, escludendo ovviamente un rapporto tra adulti e minori, perché in quei casi potrebbe esserci della manipolazione. Ma i sessi biologici sono due, per cui tutto il discorso della fluidità di genere va affrontato nel massimo rispetto della persona umana e delle sue libere scelte all’interno di una cornice che è data dalla natura umana. Il concetto di fluidità è ambiguo e potenzialmente disastroso, cosa sarebbe uno Stato fluido? Una legge fluida? Una casa fluida è una casa senza fondamenti? Sarebbe un sistema anarchico dove prevale la legge del più forte o del più furbo. La civiltà umana si è potuta affermare grazie a delle regole che ne hanno codificato la modalità della convivenza. Regole che nei secoli si sono modificate, fino ad arrivare al sistema democratico, che consente una sua evoluzione in modo costante con il consenso. Per non discriminare i generi, le etnie, i disabili, la prima cosa da fare è educare al rispetto della persona in quanto tale, al di là delle sue inclinazioni sessuali, del colore della sua pelle o di patologie fisiche. La società perfetta, per nostra fortuna, non esiste, ma lavorare per migliorarla è un nostro dovere, senza scambiare i legittimi desideri per diritti.
Aggiornato il 01 agosto 2023 alle ore 12:08