Senza la Deontologia è impossibile saper essere un medico/1

Intervista all’ex presidente dell’Ordine dei medici di Roma e Provincia, professor Giuseppe Lavra

È diffusa la convinzione che la deontologia medica sia stata messa in una sorta di cono d’ombra negli ultimi decenni, ci può lei illustrare quali siano le cause principali di questo fenomeno.

Sono in molti a chiedersi se la divulgazione, l’apprendimento e l’attuazione effettiva dei principi cardine della deontologia medica siano stati smarriti e se tali principi si possano recuperare per sanare l’attuale crisi della Medicina. La deontologia ha sempre avuto la massima attenzione, specie nei padri della Medicina moderna che sono stati maestri di Scuola medica negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. Tra costoro va ricordato per tutti il clinico medico professor Cesare Frugoni (1881-1978), il quale nel 1958 fu anche l’autore del quinto Codice deontologico medico italiano. L’esigenza di recuperare l’attuazione effettiva dei precetti deontologici è oggi invocata a gran voce dalla parte più valida e più attenta dei medici e dagli stessi cittadini. Al fine di chiarire le cause che hanno relegato il Codice deontologico in un cono d’ombra negli ultimi decenni, va detto che la principale responsabilità ricade sugli Ordini professionali dei medici, i quali fin dagli anni Novanta hanno rinunciato a tutelare l’autonomia e le peculiari prerogative professionali del medico. Infatti, la custodia e la cura dell’osservanza del Codice deontologico medico (Cdm) fu affidata, dai legislatori del 1946, all’Ordine professionale dei medici. A tale proposito, vale la pena di ricordare che il valore formale la giurisprudenza lo attribuisce ai precetti del Codice deontologico medico. L’approvazione della legge numero 233 diede un forte impulso anche all’associazionismo della categoria medica.

La stessa legge 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Ssn) seppe cogliere i principi ispiratori di quel processo di ricostruzione. Tuttavia, negli anni successivi, il mondo della rappresentanza della categoria medica, preferì impostare il sistema relazionale col potere politico, assumendo una postura improntata a collateralismo. Purtroppo, tale modalità relazionale impropria fu anche viziata dalla fase di crisi che attraversava il sistema politico del Paese (emblematici il caso Moro del 1978 e il caso Craxi del 1992). Un altro errore del mondo della rappresentanza medica di quel tempo fu quello di fare commistione tra le competenze della rappresentanza sindacale (tutela dei diritti dei singoli rappresentati) e quelle della rappresentanza degli Ordini professionali (preposti alla vigilanza degli interessi della collettività in ordine al corretto esercizio della Professione medica), denaturando in tal modo la specificità di entrambi i ruoli. Tale scelta infelice della rappresentanza medica coincise con un lento e nefasto abbandono anche dell’osservanza delle regole deontologiche. Negli anni successivi al 1978 il Servizio sanitario nazionale subì un progressivo logorio che raggiunse il culmine con la promulgazione del decreto legislativo 502 del ’92 voluto dal ministro Francesco De Lorenzo perfezionato poi dal decreto legislativo 229 del ’99 voluto dal ministro Rosy Bindi. Queste improvvide norme di legge introdussero le imprese a scopo di lucro nella gestione del Servizio sanitario nazionale, favorendo di fatto che entrassero interessi estranei nel mondo della Medicina, alterando così gli scopi stessi dei Servizi sanitari.  Fu inevitabile, di conseguenza, che prendesse piede il “mercantilismo” nel Servizio sanitario nazionale e che si annullassero i principi di solidarietà e di universalità sanciti nella legge 833 e che, nel contempo, la stessa Deontologia medica diventasse “scomoda”. Questi fatti hanno determinato palesi distopie che ci danno conto dell’attuale devastazione del Servizio sanitario nazionale, ulteriormente affossato con la promulgazione della legge in materia di riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del ministro Beatrice Lorenzin (decreto legislativo numero 3 del 2018).

In forza di tale legge è stata violata l’autonomia degli Ordini dei medici ed è stata annientata la stessa Deontologia medica.

Infatti al capo primo, articolo 2, punto 3, lettera l di tale legge si dispone che le commissioni di disciplina “vigilano sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell'illecito, tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti,  derivanti  dalla  normativa nazionale e regionale vigente  e  dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro”.

Tale norma esclude clamorosamente i precetti deontologici in ambito di valutazione disciplinare della condotta del medico. Merita opportuna menzione il fatto che il Consiglio nazionale della Fnomceo, pur avendo contestato all’unanimità, a fine anno 2017, i contenuti del decreto legislativo numero 3, anche deliberando per protesta il ritiro di tutti i propri membri designati dalla Fnomceo presso i tavoli tecnici istituzionali, mantenne il silenzio assoluto quando subito dopo, a gennaio 2018, la stessa legge entrò in vigore immodificata, peraltro provvedendo a ripristinare, in rigoroso silenzio, i membri ai tavoli istituzionali, poco prima revocati.

(*) Fine prime parte

Aggiornato il 06 luglio 2023 alle ore 09:56