L’intollerabile lacuna del “Codice penale stradale”

Fra gli innumerevoli paradossi di cui è popolato il sistema giuridico italiano, uno dovrebbe balzare agli occhi anche dei non esperti di diritto: nel nostro Paese, a fronte delle molte migliaia di reati previsti dalla legge, neppure uno ve n’è che prevenga e punisca la concreta messa in pericolo della vita degli altri utenti della strada mediante una condotta di guida spericolata.

Eppure, gli addetti ai lavori sanno perfettamente che costituiscono illeciti di rilievo penale condotte enormemente meno allarmanti.

Eppure, la strada rappresenta senza dubbio il primo luogo in cui il cittadino si imbatte nelle regole poste a presidio del prossimo, quello spazio, cioè, in cui l’imprinting educativo dello Stato dovrebbe esprimersi al massimo grado, per impartire un messaggio chiave: ossia, che quando si lascia la propria sfera privata e ci si immerge in quella pubblica, occorre prima di tutto adoperare ogni attenzione per salvaguardare i diritti degli altri.

I recenti fatti di cronaca inducono a riflettere.

Ma ancor più drammatica è la conta complessiva, anno dopo anno, delle vittime della strada.

Nel 2022 i morti sono stati 1.489, registrando un aumento dell’11,1 per cento rispetto all’“esercizio” precedente.

Gli incidenti stradali continuano a rappresentare la principale causa di morte dei giovani sotto i 29 anni.

È dunque tollerabile che l’ordinamento giuridico italiano si limiti a reagire soltanto dopo l’evento infausto, con le classiche previsioni, di danno oramai consumato, dell’omicidio e delle lesioni stradali?

Non è la prima volta che gli studiosi di diritto penale lamentano l’assenza di una efficace politica criminale preventiva.

Le fattispecie stradali sono collocate qui e là, senza un disegno ordinato, un po’ nell’omonimo Codice (il Codice della strada, appunto, decreto legislativo 285/1992), un po’ nel Codice penale.

Epperò, né qui né là, è contemplata una norma che punisca chi, con grave (e magari anche plurima) violazione delle regole che disciplinano la circolazione stradale dei veicoli a motore, dunque con una condotta assolutamente spregiudicata, metta in concreto pericolo la vita degli altri.

È tollerabile che si debba attendere che qualcuno perisca o riporti gravi lesioni per intervenire e sanzionare chi, con il suo stile di guida aggressivo, “bullistico”, o fosse anche solo sempre gravemente distratto, metta seriamente a repentaglio l’incolumità altrui?

Sia lecito dubitarne.

Come fattispecie di pericolo stradale, ossia quei reati che puniscono l’autore di condotte di guida pericolose prima e a prescindere dalla causazione di un danno all’altrui integrità fisica, oggi conosciamo soltanto la gara di velocità, e la guida in stato di ebbrezza, o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Tutto qui.

Si tratta di un assetto normativo evidentemente incompleto e profondamente iniquo.

L’incompletezza è appunto data dalla sua assoluta incapacità di prevenire le condotte di guida più sconsiderate, se alle stesse non abbia fatto seguito un danno grave: si interviene, cioè, troppo tardi, quando gli effetti della violazione delle regole sono ormai irreversibili e passibili unicamente di un (mestissimo) ristoro monetario.

Non è da meno l’iniquità: come attentamente rilevato in dottrina, uno Stato si tinge d’arbitrio se – per un verso – può accanirsi con pene draconiane contro chi sia solito rispettare le regole del Codice della strada e tuttavia, in un’unica occasione, abbia cagionato un evento lesivo grave, ma – per altro verso – decide di soprassedere nei confronti di coloro che invece sono soliti infrangere sistematicamente quelle regole, pur non avendo mai prodotto, per pura buona sorte, un esito dannoso simile.

È dunque del tutto evidente che, senza un reato di pericolo generale, non incentrato esclusivamente sul concetto di ebbrezza o di alterazione alla guida, nessuna seria politica di deterrenza stradale potrà essere inaugurata e perseguita.

Né una fattispecie di tal fatta potrebbe essere tacciata di vaghezza.

Se non si vuole stabilire, semplicemente, che è punito “chiunque, alla guida di un veicolo a motore, con una condotta integrante grave e plurima violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale, ponga concretamente in pericolo la vita di un’altra persona”, allora basterebbe ricalcare il nuovo reato sulla falsariga dei modelli di colpa stradale grave descritti al Quinto comma degli articoli 589-bis (omicidio stradale) e 590-bis (lesioni stradali) del Codice penale.

Tale comma, infatti, prevede le seguenti ipotesi:

1) che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, si cagioni per colpa la morte di una persona;

2) che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, si cagioni per colpa la morte di una persona;

3) che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, si cagioni per colpa la morte di una persona.

Sarebbe sufficiente sostituire le parole “la morte di una persona” con le parole “la concreta messa in pericolo della vita o dell’incolumità fisica di un’altra persona”, ricollegandovi poi la giusta pena, per articolare una fattispecie preventiva assolutamente necessaria, ma d’altro canto anche conforme a tutte le sacrosante garanzie del diritto penale liberale.

I casi di applicazione pratica della nuova norma sarebbero quelli in cui, per una mera coincidenza favorevole, nessun evento di danno si verifichi, ad esempio, se un bimbo venga riacciuffato e salvato sulle strisce pedonali dalla madre, che riesca così a schivare per un soffio l’autovettura pirata lanciata a fortissima velocità; se un veicolo contromano determini una collisione che per pura sorte non provochi conseguenze lesive; se un sorpasso azzardato costringa altri utenti della strada a una manovra di emergenza per mettersi in salvo.

Con l’introduzione di una fattispecie di reato simile, chi, in tali circostanze, si ritrovasse – malauguratamente – ad impersonare il ruolo della vittima non dovrebbe più patire anche l’ulteriore smacco di limitarsi a levare le proprie impotenti grida d’improperio all’indirizzo del folle guidatore, ma potrebbe denunciarlo, indicandone la targa alle Autorità preposte, dimodoché, una prossima volta, il pericolo corso da sé non si tramuti in un danno irreparabile subìto da altri.

(*) Magistrato

(**) Tratto dal Centro Studi Rosario Livatino

Aggiornato il 06 luglio 2023 alle ore 11:04