L’ambientalismo ideologico? Il peggior nemico dell’ambiente

L’ambientalismo ideologico, presente in diverse forze politiche e nel mondo associativo, ha portato il nostro Paese in una condizione di estrema vulnerabilità energetica, economica e ambientale. Una malattia che ci trasciniamo da molto tempo e che non riusciamo a curare.

Il Bel paese è stato capace di distruggere il patrimonio tecnologico e scientifico legato all’energia nucleare. Una fonte pulita, sicura e abbondante in grado di contribuire concretamente alla decarbonizzazione dell’economia e al relativo raggiungimento dell’obiettivo globale “zero emissioni Co2”. A casa nostra facciamo affidamento unicamente alle fonti rinnovabili intermittenti e stagionali come il fotovoltaico e l’eolico (che non riuscirebbero a garantire equilibrio nel sistema elettrico) e riceviamo “ipocritamente” a caro prezzo circa il 4 per cento dell’elettricità grazie alle vicine centrali nucleari francesi e slovene. Va tutto bene se la importiamo, ma dalle nostre parti i reattori non li accettiamo.

La gestione dei rifiuti urbani e industriali va a macchia di leopardo. Da Roma in giù milioni di tonnellate di rifiuti non vengono riciclati e valorizzati per produrre energia “pulita” vicino casa, ma devono essere trasportati a caro prezzo (fino a 300 euro a tonnellata) nei Paesi europei o nelle regioni del Nord Italia facendo ottenere alle loro comunità notevoli vantaggi ambientali, economici e sociali. In particolare, ci sono capitali europee che trasformano i termovalorizzatori in centri di attrazione turistica tra poli tecnologici, piste da sci e altri percorsi di intrattenimento: un perfetto esempio di città intelligente tra energia e rigenerazione urbana per rendere il territorio più sostenibile e sicuro. A Roma, invece, mancano tutte le tecnologie innovative indispensabili per la chiusura corretta del ciclo dei rifiuti quali i biodigestori, gli impianti di selezione e di riciclo di plastica, carta e vetro e i termovalorizzatori. A rimetterci sono i cittadini (a volte corresponsabili per il rifiuto di accettare gli impianti in casa propria) che subiscono tasse sempre più salate a fronte di disservizi continui tra mancata raccolta dei rifiuti e scarsa manutenzione dei relativi mezzi. Insomma, siamo ancora lontani dall’attuazione dei principi sacrosanti dell’economia circolare e dal raggiungimento degli obiettivi Ue della transizione ecologica.

Rispetto ai gasdotti, in Puglia la Tap non ha avuto vita facile. Per diversi anni le forze populiste e i movimenti locali hanno duramente contestato il progetto per l’impatto ambientale e per la presunta scarsa utilità strategica alla luce del declino della domanda di gas in Europa. Una volta salito al potere, il Movimento 5 Stelle ha rimesso in gioco il progetto fino alla sua completa realizzazione. Con la crisi energetica prima, e la guerra in Ucraina poi, anche i grillini sono stati costretti a riconoscere la validità dell’opera. E potremmo continuare con altri esempi tristi di infrastrutture bloccate in Italia.

Come possiamo allora sconfiggere gli egoismi localistici e i pregiudizi di un certo ambientalismo ideologico e catastrofista? Quando riusciremo ad avere un ecologismo responsabile e del buon senso che sappia coniugare le esigenze della natura con quelle dell’uomo? La risposta è molto semplice. Quando creeremo una nuova e diversa cultura ambientale (basata sull’informazione “scientifica” e chiara) rivolta a tutti i cittadini per creare un contesto sociale favorevole all’attuazione strategica del processo di diversificazione del mix energetico, quale chiave di sviluppo sostenibile e di sicurezza nazionale, e una buona scuola per le nuove generazioni sempre più sensibili e attente al futuro del nostro Pianeta.

(*) Presidente di Ripensiamo Roma

Aggiornato il 29 giugno 2023 alle ore 09:07