Guerra o bisogni

L’uomo è un animale condizionante e condizionato. Gli animali non modificano l’ambiente, si adattano, con piccole modificazioni. Gli animali non hanno strumenti, mezzi per trasformarlo né macchine, né l’automazione. Le macchine hanno “superato” i mezzi, l’automazione “supera” le macchine. Dopo un impulso umano, fino a oggi, forse verrà “superato” anche l’impulso umano. Ho esposto la concezione di Karl Marx, il famigerato Materialismo storico, evidente come il sole e criticatissimo con argomenti evanescenti. Oltretutto, il Materialismo storico non è una concezione di parte, rileva esclusivamente la connessione tra mezzi di produzione e i loro effetti negli assetti sociali e produttivi. Se cambiano gli strumenti di produzione cambiano gli assetti sociali, le classi, i rapporti tra le classi, tra le nazioni. Il male sta in questa incomprensione o non comprensione deliberata. Non stabilire una relazione tra mutamento degli strumenti di produzione e assetti sociali suscita catastrofi, guerre, impossibilità di governare gli eventi. Siamo nel pieno di tanta complicazione anche per non volere regolare la “società del mondo” secondo gli sviluppi degli strumenti di produzione.

È il 140° anniversario della fine corporea di Karl Marx (5 maggio 1818-14 marzo 1883). Anche se molti si interessarono a Marx, in Italia, credo soltanto Antonio Labriola lo intese sufficientemente. Giovanni Gentile lo criticò dal punto di vista idealistico. Sarebbero il pensiero, lo spirito che pongono la realtà e la sormontano continuamente, non condizionati dall’oggettività, dalla “materia”, dalla natura, dall’oggettività. Benedetto Croce ritenne il Materialismo storico una possibile metodologia dell’interpretazione storica, il che sarebbe moltissimo se fosse la realistica maniera per intendere la storia, che all’opposto Croce giudica come libera affermazione dello spirito, al modo idealistico. Antonio Gramsci si occupò di Materialismo storico ma non vide gli sviluppi che erano presenti in Marx. Il resto degli analisti non è da considerare come valutatori innovativi.

La concezione di Marx è storica, riguarda i tempi di svolgimento del capitalismo, il quale potenzierà a tale livello i mezzi di produzione e l’automazione in particolare e la concentrazione delle imprese e lo sfruttamento di ogni pertugio del mondo, e la propagazione universale del capitalismo (o della modernità) suscitando complicazioni, conflitti, e soprattutto non poter domare le antitesi, tra le quali: come smerciare e a chi se tutti producono e insorge la disoccupazione da tecnologia automatizzata? A tale grado di contraddizioni i sistemi produttivi e chi li regge impazziscono, cercano rimedi assoluti per avere mercati, profitto, concorrenziale i concorrenti. Coloro i quali osano avere posto nel mercato mondiale devono (dovrebbero) essere stroncati. Addirittura, necessariamente si perviene alla guerra come ultima, estrema soluzione, e come ultima, estrema fonte sorgiva di profitto. L’accrescimento dell’economia militare è il segnale, gli occidentali di problemi in altre fonti di profitto. Ma le armi esigono la guerra. Il che non disturba, tutt’altro. La guerra esige ancora armi, ed è distruttiva. Ma la distruzione necessita di ricostruzione. Per dire, la devastazione dell’Ucraina costituirà una sorgiva di profitti nella ricostruzione. Inoltre, le guerre eliminano (ipotizzano) i rivali nei mercati, al dunque eliminano, sperano, tentano di eliminare, attualizzando, Cina e Russia dal mercato europeo e tendenzialmente mondiale.

Possiamo, dobbiamo comprendere l’angoscia occidentale, il rischio di sconfitta esiste, popoli di numero innumerabile, salari minimi consentono un plusvalore reinvestito che giganteggia quei Paesi, specie orientali, Cina, India o Paesi con materie prime portentose (Russia, Iran, Arabia Saudita), ma intendono essere della scena anche Brasile, Sudafrica e quant’altri, ormai siamo nel formicolio planetario, tutti o molti accomunati in un obiettivo, sciogliersi dal dominio americano, il loro svolgimento è possibile, ritengono, se liberati dagli ordini statunitensi. Il comportamento dell’Arabia Saudita è manualistico, in tal senso. Dall’altra parte, l’Occidente, in sostanza gli Stati Uniti, temono appunto che sia nelle merci, sia nelle materie prime potrebbero soccombere. In quanto alle merci l’Occidente ha costi maggiori, in quanto a materie. La gara è ardua e, dicevo, con esito non necessariamente favorevole per l’Occidente. Non resta che indebolire, escludere, eliminare: sanzioni e guerra. Lo facciamo. Con effetti stravaganti. A molti Paesi non interessa neanche al minimo livello di ipotesi che noi combattiamo per difendere democrazia e libertà, concepiscono esclusivamente che pretendiamo di inficiarli, togliere mercati e concorrenza, impicciarci nei loro territori. Ereditiamo il sospetto colonialista.

La nostra convinzione di proporre la legalità viene capovolta.  E la “nostra” legalità, la ritengono un colpo alla loro sovranità. Otteniamo un risultato contrario alle determinazioni, e in ogni aspetto. Mezzo mondo vuole “liberarsi” di noi. Dalla moneta, all’esclusione d’imprese, da accordi tra Paesi, strette commerciali e militari, estranei a noi. Mai l’Occidente ha ricevuto tante disobbedienze. Anzi, maggiore è la decisione d’imporci massima la rivolta e la coniugazione altrui per resistere alla nostra forza. Inutile parolismo ribadire che difendiamo e propaghiamo libertà e democrazia. Esiste anche qualcosa che non valutiamo, la sovranità. Oggi anche il più furtivo paesino erge sovranità, e la democrazia e la libertà se le vuole, eventualmente, installare da sé, non per ingresso occidentale. Del resto, è lo stesso principio che guida l’Occidente: tutelarsi. Il fatto di sentirci superiori in quanto democratici e liberali non inclina all’ossequio di Paesi né democratici né liberali. E considerarci missionari della libertà e della democrazia non giustifica, ritengono, eliminare dal mercato mondiale gli altri Paesi. Certo, possiamo farlo o tentare, ma gli altri si oppongono. E gli altri esistono. Dovrebbe essere compreso che la nostra superiorità, postulata, non cancella il prossimo. Noi possiamo crederci superiori alla Cina e alla Russia. Ma la Cina e la Russia esistono e non sono disposte a soggiacere alla nostra superiorità se non le battiamo. Taluni ritengono che essendo noi liberali e democratici siamo superiori, quindi vincenti.

Confondono idealisticamente, ideologicamente superiorità con superamento. Errore tellurico. Se la Cina prevale commercialmente, la Russia con le materie prime, noi vinciamo nelle frasi e perdiamo nella concorrenza. Stiamo ottenendo l’esatto contrario di quel che vogliamo, ci stiamo scatenando il mondo contro. Come risolvere questa situazione contraddittoria, di essere Paesi democratici e liberali ma di venir intesi come invadenti e dominativi? Di sicuro persiste la memoria colonialista, ripeto, ma disgraziatamente si giudica l’Occidente frenativo dello sviluppo policentrico. Questo è il nodo soffocante. L’Occidente viene considerato frenativo dello sviluppo mondiale multicentrico: L’Occidente è ritenuto unilaterale, etnocentrico, il “luogo” del benessere, della libertà, della democrazia, ma gli altri si contengano, si ritirino, si marginalizzino, stiano nelle caserme. Avviene quanto risultava agli analisti (Rosa Luxemburg e Lenin) del cosiddetto “imperialismo” nei primi anni del XX secolo: il capitalismo è costretto a immettere capitali, appunto, in luoghi sottosviluppati , dai bassi salari, eventualmente con materie prime, favorendone “oggettivamente” una qualche insorgenza ma predandoli, per avere mercato, mano d’opera a basso costo, materie prime. Il tutto con freni duri, per non fare crescere troppo. Appena vi è tale rischio il capitale fugge e ripete la giostra in altri Paesi.

È quanto accade: il capitale occidentale trovò nella Russia materie prime convenienti, nella Cina lavoro a costo residuale. Commerciò, investì, ma si rese vigile che Russia e Cina si gonfiavano ed ebbe, e ha tremore concorrenziale, pertanto si ritrae o cerca di ritrarre capitali e commerci. Ciò accadeva prima della guerra russo-ucraina. Le sanzioni alla Cina e la determinazione a impedire il Nord Stream 2 anticipano la guerra e anche giuridicamente, pare, sono atti di guerra. Niente da obiettare. L’Occidente non vuole rischiare nella lotta commerciale con Russia e Cina. In situazioni simili, nel secolo XX, esplose la guerra, ripetuta negli anni Quaranta dello stesso secolo. Mercati, mari, colonie. Siamo in una condizione simile: la guerra è inevitabile per la disputa di mercati, materie prime, espansione? Consultiamo i massimi teorici dell’economia: Adam Smith e Karl Marx. Smith è lineare: la concorrenza, il libero mercato, l’imprenditorialità, il profitto animeranno il capitalismo in tutto il pianeta, tutti commerceranno, quindi vi sarà la pace, il commercio sostituirà la rivalità bellica, vince il più competitivo non il più aggressivo. Smith non era dialettico, gli illuministi non lo furono, non scorgeva negazione, antitesi in questo svolgimento, non prevedeva un profitto senza occupazione, l’automazione. Celebrava il ceto medio, meno che mai apprezzava monopoli, o avrebbe apprezzato le multinazionali. Né suo giudizio, vi sarebbero state crisi decisive del sistema. Il sistema capitalista era duraturo, l’interesse personale che si trasmuta in vantaggio sociale costituiva il vertice morale e psicologico della concezione di Smith ed è in effetti una concezione tra le più rilevanti, quasi da fondatore di religioni.

Il capitalismo per Smith non è superabile in quanto non è superabile la connessione dell’interesse personale con il vantaggio sociale. Con minor enfasi Aristotele lo aveva dichiarato. Quindi, crisi cicliche ma non “la” crisi dissolutiva. Karl Marx esalta la convinzione di Smith: lo scatenamento dell’interesse personale ha in effetti mostrato a che grado di temperie operativa può giungere l’uomo. Marx esalta questa operatività spingendola alle conseguenze: la capacità imprenditoriale è talmente eccitata nel perpetuo superamento che perverrà a suscitare al suo interno la sua distruzione: concorrenza da bestie nella savana (darwinismo sociale), guerra di mercati, ricerca di materie prime, macchine sostitutive, produzione illimitata, proletariato licenziato, concentrazione, ceto medio imprenditoriale annichilito dai colossi, nessun angolo sottratto allo sfruttamento, sviluppo onnilaterale per l’esigenza di impiegare i capitali. L’economia si rende mondiale, capillare, polipescamente polifemica. Marx rende storica, quindi a termine, l’esperienza capitalista. Essa ha portato a un livello superiore lo sviluppo dei mezzi di produzione e l’universalizzazione della modernità tecnologica. E adesso? La sfrenata produzione dovuta all’incontenibile creatività del capitalista che suscita rinnovate tecnologie efficacissime genera una produzione illimitabile che sbatte con il profitto, che tutti cercano in una rissa pachidermica internazionale. Una massa di disoccupati da tecnologia che non possono comprare, la catastrofe dei ceti medi, la gara moltiplicata concorrenziale. Insomma, guerra di tutti contro tutti, guerra commerciale e guerra militare.

La borghesia ha raggiunto uno scopo prometeico, macchine produttivissime, inondative di merci. Il profitto però costituisce un limite a questa alluvione: sono i bisogni dell’umanità che possono consumare tanta merce (Marx: Critica al Programma di Gotha, 1875: da ciascuno secondo il lavoro, a ciascuno secondo i bisogni). Un lavoro, sia chiaro, minimo, data l’automazione. È disposta la società del mondo a volgersi a tale scuotimento terremotante dei sistemi produttivi o continuerà a cercare predominio soggettivo di mercati con inevitabili conflitti? E chi sarebbe il soggetto trainante di questa modificazione: dal profitto ai bisogni? Interrogativi, ai quali dare seguito. Di sicuro è che l’antitesi tra sviluppo mondiale e dominio unilaterale suscita deflagrazione. La relazione tra merce e lavoro svanisce, ma svanisce anche la possibilità di frenare la produzione per non avvilire con la quantità il profitto. Il sistema produttivo è tanto produttivo che sarà costretto a dare quasi gratuitamente, il robot sociale, dico in taluni saggi. L’antitesi non ha sintesi se vogliamo conservare il principio del profitto, produzione senza o con scarsa occupazione. Quindi, paradosso estremo, non vi sarebbe neanche il profitto, il capitalismo si ammazza da sé. Si è potenziato in forma incontenibile, deve lasciare usufruire le merci secondo i bisogni sociali, produce troppo per non crollare, se volesse limitare la produzione o entrerebbe in guerre perpetue. Con approssimazione questa la “profezia” di Marx.

E non dico “profezia” genericamente. In un incontro con la comunità ebraica di Roma, seduto a cena su un tavolo vi erano pagine della Thora. Lessi e restai di sasso. Se identifichiamo il popolo ebraico con il proletariato, il Faraone che usa il lavoro degli ebrei con il capitalismo, la Terra Promessa con il Comunismo, l’esodo che l’uscita dal capitalismo, tutto collima. Ovviamente Marx è il nuovo Mosè: annuncia la Terra Promessa senza raggiungerla. Proprio in quegli anni scrivevo e pubblicavo la biografia totale, vita e opere: Marx contro Marx (1983) e rilevavo che Marx è contraddittorio. Se vero che l’automazione “nega” il proletariato, come può il proletariato rivendicare di dominare la società se non è il suo lavoro a stabilire il valore della merce e soprattutto se viene escluso dalla fascia produttiva? La borghesia, posto che vulnera se stessa, vulnera anche il proletariato. Marx sostiene che le macchine sono lavoro accumulato. Quindi sono dovute comunque al lavoro del proletariato. Resta il problema: come può il proletariato dirigere il sistema produttivo se viene pressoché estinto? E d’altro canto, come può una società gestire enormi produzioni se vi saranno moltitudini di disoccupati da tecnologia e sottoccupati? Un raccordo tra offerta e domanda sarà indispensabile, e i sistemi odierni svaniranno. Si darà secondo i bisogni, tanta sarà la produzione. Sono processi di lunghi, molto complicati, ma appaiono inevitabili.

Li stiamo vivendo, robot e Intelligenza artificiale hanno questo scopo. Disoccupazione, iperproduzione. Allora, chi volgerebbe a uso sociale i sistemi produttivi svincolandoli dai limiti del profitto, usandone la potenza delle macchine per tutta l’umanità? La guerra, che potrebbe dare al vincitore il mercato mondiale non risolverebbe la modificazione evolutiva. L’automazione elimina il lavoro, i disoccupati non possono acquistare se non c’è una dazione secondo i bisogni! Ritenere l’esposizione avveniristica è un difetto prospettico, e fa credere che la guerra risolverebbe il dominio dei mercati e il profitto. Per niente. L’esuberanza produttiva è consustanziale alla potenza creativa del capitalismo tecnologico. Non si è ancora assorbita la circostanza che il capitalismo (intendo il sistema ipertecnologico) ha trionfato e trionferà. Suscitando il dilemma: come collocare la merce? Credere con la guerra di impossessarsi dei mercati (e sia chiaro, guerra anche tra Paesi capitalisti, evento poco avvertito!) potrebbe annientare il futuro per chiunque, in ogni caso non sciogliere l’antitesi tra iperproduzione.

Anche se possono sembrare discorsi su di un futuro incerto e remoto, non lo sono affatto. Il rischio della guerra come soluzione al dominio dei mercati è attualissimo. Ma la guerra odierna, in un pianeta onnisviluppato e iperproduttivo, non è la soluzione. Se ci convinciamo di questa palese circostanza risolveremo, senza guerra. E “senza guerra” è già la soluzione, il resto verrà dai fenomeni oggettivi. Se cambiano gli strumenti di produzione, cambiano gli assetti sociali. Se si produce stabilmente o la merce si getta o si distribuisce all’umanità. Ma certo, c’è tanto da discutere. Appunto, discutere. Se l’umanità sopravviverà vi sarà lo sviluppo planetario, una produzione iperuranica, una distribuzione da miracolo cristiano. Tertium non datur.

Aggiornato il 16 giugno 2023 alle ore 12:07