Agli Stati generali della natalità Papa Francesco ha affermato che all’origine della crisi demografica vi sarebbero anche gli eccessi del libero mercato lasciato a se stesso, ossia privo di un’adeguata regolamentazione. Qualche giorno prima, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, aveva indicato la soluzione a questo annoso problema in un sistema di welfare capace di incentivare la natalità e offrire maggiori sicurezze a chi decide di mettere su famiglia. C’è poi quella fazione di cattolicesimo “tradizionalista” che, invece, punta il dito contro la libertà morale e sessuale, nonché contro l’individualismo, a dir loro responsabili della crisi di valori e conseguentemente del crollo vertiginoso delle nascite che tutto l’Occidente sta sperimentando.
A ben vedere, le tre spiegazioni sopracitate indicano uno stesso presunto responsabile del calo della natalità: il mercato, ovvero l’individualismo nelle sue varie forme. Per il Pontefice ce ne è troppo: quindi i giovani, intenti a sopravvivere nella “giungla economica” creata dai liberisti, rinunciano a progetti di lungo periodo come il matrimonio e la famiglia. Per Lollobrigida, se non ci sono abbastanza tutele rispetto ai meccanismi di mercato, i giovani non sono sufficientemente motivati a generare numerosa prole. Per i cattolici “tradizionalisti”, a risentire dell’eccessivo spazio lasciato all’individuo e all’espressione della sua personalità, è la comunità e quindi la famiglia che ne è la base. Collettivismo, collettivismo e ancora collettivismo.
Al Papa bisognerebbe ricordare che, storicamente, ad applicare politiche di controllo della natalità furono i regimi socialisti per sventare il pericolo che l’eccessiva espansione demografica potesse “intaccare” la redistribuzione pianificata delle risorse e generare squilibri in tal senso. Sempre la storia dimostra che, al contrario, i tassi di natalità non furono mai così positivi come quando l’economia era poco o per nulla regolamentata a livello centrale.
Al ministro Lollobrigida bisognerebbe spiegare che non c’è alcuna correlazione tra l’esistenza di un welfare pro-natalità e il tasso effettivo delle nascite. Il Lussemburgo, ma anche le democrazie scandinave, hanno i sistemi di welfare più “baby-friendly” del mondo: ciononostante, sono anche tra le realtà maggiormente afflitte dal problema. Senza contare che il ragionamento in base al quale dovrebbe essere la fiscalità generale a sostenere la natalità è il primo passo verso la “collettivizzazione dei figli”.
Infine, ai cattolici “tradizionalisti” (che qualche pretesto per incolpare donne emancipate e gay di tutti i mali del mondo devono sempre trovarlo, a costo di scadere nel ridicolo) va rammentato che quelle società che hanno riscoperto i “valori tradizionali” e dove la loro osservanza è stata imposta per legge alle persone, come la Russia o la Bielorussia, non sono affatto esenti dal problema, né danno alcun segnale di svolta in tal senso. Ci sarebbe da dire, inoltre, che il “bene comune” non può prescindere dal perseguimento dell’interesse e della felicità da parte dell’individuo: il bene comune è il prodotto spontaneo dell’interazione tra individui che agiscono in vista del bene individuale.
Ci sono ovviamente delle ragioni economiche e culturali alla base del fenomeno in questione, ma sono l’opposto di quelle che comunemente e semplicisticamente (più sulla base del sentito dire che della logica o dei dati) vengono addotte. Il welfare è un fattore di deresponsabilizzazione all’interno di una società, perché porta gli individui a disinteressarsi delle proprie scelte, nella certezza che, qualunque cosa facciano e quali che siano le conseguenze delle loro azioni, avranno sempre le spalle coperte da una rete di protezione sociale che sopperirà ai loro bisogni. Proprio quel senso di irresponsabilità che ha dato vita ad almeno due generazioni di eterni adolescenti, di professionisti dell’edonismo, ha portato a vedere nelle unioni stabili e nella famiglia delle gabbie dalle quali rifuggire in quanto foriere di impegno. Perché bisognerebbe impegnarsi nel costruire una propria rete di protezione privata (il cui cuore è proprio la famiglia) se quella rete esiste già e non richiede alcun impegno particolare all'individuo, a parte pagare le imposte?
In regime di libero mercato – quello vero, quello dove lo Stato è ridotto al lumicino, al ruolo di “guardiano notturno” – dare luogo a delle formazioni sociali stabili e pianificare il proprio futuro, guardando al lungo periodo, diventa una necessità cui nessuno può sottrarsi: salvo rischiare di ritrovarsi soli e senza alcun appoggio in un contesto sociale che non sarebbe affatto clemente con chi si trova in difficoltà a causa della sua irresponsabilità e dell’imprevidenza. È il mercato – non l’intervento pubblico – che incentiva le condotte virtuose e assennate, perché obbliga l'individuo a provvedere a sé stesso e a pensare al suo futuro.
Secondo Friedrich von Hayek, le crisi economiche si generano a partire da un’espansione del credito non legata a un effettivo aumento del risparmio che, a sua volta, determina l’allocazione non ottimale delle risorse, ossia investimenti in settori scarsamente produttivi. Per la crisi demografica vale un ragionamento analogo: sono date dall’espansione a dismisura del welfare – e con esso della tassazione, della regolamentazione e della burocrazia – che da una parte disincentiva i comportamenti responsabili; dall’altra riduce lo spazio dell’azione individuale e la possibilità, per ciascuno, di realizzare i propri obbiettivi, dando luogo alla tendenza a investire le proprie energie e risorse in ambiti poco produttivi e incentivando la cultura del breve periodo.
Nessuna ricetta, quindi, sarà utile a rilanciare la natalità senza una riforma coraggiosa dell’intero sistema politico-economico. Si dice che l’Occidente stia morendo perché ha abbandonato la sua cultura. In un certo senso è vero, se parliamo di cultura economica, dalla quale deriva l’etica della responsabilità individuale. La riscoperta del mercato – e non lo stato sociale o la pratica religiosa – è l’unica cosa capace di ridare slancio alla natalità dopo averlo impresso all’economia. Solo in un sistema dinamico, pieno di opportunità e che premia i più capaci e meritevoli i giovani ricominceranno a pensare al futuro, a fare progetti, a credere nel futuro e a riscoprire l’importanza delle formazioni sociali, che sono le cose che stanno alla base del trend demografico positivo.
Aggiornato il 18 maggio 2023 alle ore 12:54