Carne colturale: perché no?

Se sul mangiare insetti la reazione degli italiani è il disgusto (ci sarà magari qualcuno che in Indocina ha gradito i menu locali), sulla carne di coltura in vitro il Governo Meloni sbaglia nel procedere con i divieti. Non si tratta di carne “sintetica” intanto. Inoltre, non danneggia affatto la imbattibile tradizione culinaria italiana. Chiariamo: la carne colturale è composta da cellule animali fatte moltiplicare in appositi contenitori (bioreattori), un procedimento simile a ciò che avviene in natura col lievito del pane, con la trasformazione di cellule di latte in yogurt o kefir. Insisto: ci sono altri due elementi decisivi a favore della carne colturale. Ovvero: quello economico e quello legato al futuro, ossia la risposta alla domanda “come faremo a sfamare tutto il mondo?”.

Preciso i termini della questione. Riguardo l’economia, perché l’Italia dovrebbe rinunciare a un mercato che può accrescere e non sminuire la leadership mondiale del nostro cibo? Perché non produrre, oltre ai componenti di un risotto allo zafferano, anche carne prodotta in laboratori, prelevando vere cellule animali e facendole replicare? Perché, infine, rinunciare a una fetta di ricerca tecnologica utile ad altre questioncelle (penso al replicare cellule sane del proprio corpo per uso medicinale), che potenzialmente può regalarci un doppio canale di export agroalimentare? Quanti posti di lavoro e punti di Pil rischiamo di perdere? E quanto know how?

Poi c’è la necessità di sfamare una parte del mondo. Darci una sicurezza in più contro la fame e le carestie è cosa giusta e buona, ministro Francesco Lollobrigida! Anche la Fao spinge verso lo sviluppo di questa tecnica di produzione di cibo (basti vedere questo documentario).

Nel mondo il settore cresce impetuosamente, a partire dalla ricerca. I vantaggi sono notevoli, soprattutto quando migliorerà il rapporto tra costi e quantità prodotta. Gli allevamenti intensivi di bovini in Brasile potranno continuare e migliorare la loro qualità, ma l’Amazzonia – e non è poco – non verrà più fatta a pezzetti e divorata dalle fiamme per far posto a nuovi pascoli. Poi la carne colturale è priva di antibiotici, ormoni e altri farmaci, ed è priva di virus e batteri patogeni.

A Singapore e altrove si realizza anche carne di pesce e crostacei coltivata in vitro. Tutti sappiamo quanto i mari del pianeta siano ormai agli sgoccioli, soprattutto per alcune specie soggette a pesca intensiva. Nel Mediterraneo i pesci che vivono sotto costa, così come i mitili, molluschi, spariscono non solo per la pesca intensiva ma soprattutto per colpa del versamento continuo in mare di migliaia di tonnellate di acque ricche di varechina, prodotti per il water, saponi e altri prodotti che acidificano l’acqua. Una parte del problema potrebbe essere risolta con la pescicoltura biologica, dato che gli allevamenti tradizionali di pesci sono come l’allevamento intensivo di animali terrestri: dannosi perché fanno largo uso di medicinali e cibo di scarsa qualità. Si sta cercando di arrivare all’itticoltura biologica, ma il problema è dato dalla grande quantità di feci rilasciate sotto le gabbie dove i pesci vengono allevati.

Gaia Foods e altre aziende simili in Israele sono passate dalla fase di startup sulle cellule staminali a quella della preparazione e commercio delle carni. Il team dell’azienda di Singapore è impressionante: sono tutti sino-singaporiani che possono mettere a frutto i loro studi molto meglio dei nostri neolaureati ingegneri nucleari. Nell’Italia drogata e istupidita dal turismo alla Attila su cui puntano tutti i denari (dei loro cittadini) i sindaci dal naso rosso, per i giovani laureati c’è solo un posto stagionale in un bar a fare il caffè. Mentre col turismo, nella mia città costiera campa (alquanto bene) sì e no il 3,5 per cento dei residenti, alla faccia del neoliberismo di cui sparlano i sindaci dal naso rosso e dal baffo trichechesco.

Poi c’è chi punta a sviluppare meglio le tecnologie colturali con proteine vegetali come quelle della soia. C’è da dire che il ministro Lollobrigida ha vietato la produzione (chissà come sarà contenta Brunocell Srl di Trento, quasi l’unica azienda italiana decollata in questo amaro e non dolce Stil Novo del cibo) ma non l’import. Scopriamo qui un altro errore economico: perché importare cibo coltivato in vitro quando potremmo esportarlo? Sembra qualcosa di neosovietico. Detto di passaggio: mi sto accorgendo che la mummia di Lenin nella Piazza Rossa di Mosca è risorta in Italia… Non usa gulag e strangolamenti ma parole woke e le tecniche della Ferragni & Fedez company. E la gente ancora abbocca come un vitello al latte.

Tra l’altro, qualora la Efsa – l’autorità Ue per la sicurezza alimentare – approvi l’uso di carne di coltura negli Stati membri, l’Italia non potrebbe opporsi alla loro distribuzione. Perché è sbagliato sbattere la porta in faccia al cibo sintetico (che è cosa diversa dal mangiare scarafaggi)? La risposta è quindi questa: dovremmo essere leader anche nella ricerca e nella realizzazione di cibo sintetico. McDonald’s non ha fatto sparire la pizza dai mercati del food internazionale, anzi!

Ciò deve spingere il nostro Governo a imparare dall’antropologia una regola fondamentale: le invenzioni respinte producono un rapido crollo di una civiltà. Vedi in “Armi, acciaio e malattie” di Jared Diamond (Einaudi), dove si ricordano le ragioni per cui l’Europa e l’Occidente sono stati il fulcro delle invenzioni. Per esempio, a Roma l’abbondanza di schiavi (e di “lavoratori immigrati”?) bloccò lo sviluppo di tecnologia. Perché le tribù maori della Nuova Zelanda che erano sempre in guerra con altre tribù sono sparite, tranne quelle che hanno capito l’importanza dell’utilizzo dei fucili portati dagli invasori bianchi?

Israele, che è la nazione di geni più aperta al miglioramento dello stato presente, quella che ha coltivato rose e zucchine nel deserto di Gaza (dove, grazie ad Hamas, le serre lasciate dagli israeliani sono andate in rovina) la carne coltivata è già in vendita in alcuni ristoranti col supporto della Aleph Farm di Rehovot.

A breve partirà il progetto dell’Efsa “Cultured meat and cultured seafood – state of play and future prospects in the Eu”, uno studio sull’impatto ambientale e sulla sicurezza alimentare della carne coltivata in vitro. A Singapore la prima commercializzazione è del 2020: gli investimenti privati a livello mondiale sono di circa due miliardi. La stessa Ue ha investito nel settore col programma React-EU.

Aggiornato il 10 maggio 2023 alle ore 15:44