“Che un’emergenza non consenta di superare lo stato di diritto è una opinione, rispettabile, ma pur sempre un’opinione”: così Roberto Burioni scriveva in un tweet il 14 luglio 2021, quando era stata annunciata l’imminente approvazione del Green pass. In questo clima fortemente antigiuridista, che antepone lo scientismo al diritto, l’emergenza alla persona, la politica sanitaria alla giustizia, l’ideologia alla tutela dei diritti fondamentali, occorre riflettere su alcuni profili che da parte di alcuni poco giuridicamente avveduti si cerca di far passare in secondo piano, nonostante essi siano essenziali tanto per la comprensione di ciò che è accaduto durante l’ultimo triennio quanto per il rispetto delle più elementari regole della civile convivenza secondo la cifra della razionalità giuridica.
Numerose critiche palesi, non a caso, sono state proposte nei confronti delle inchieste giornalistiche in corso in Italia e all’estero e nei confronti delle indagini giudiziarie che parallelamente alle prime proseguono inesorabili tanto nel nostro Paese quanto altrove. Se, infatti, il predetto Roberto Burioni ha palesato le proprie perplessità sulla commissione parlamentare che non dovrebbe mettere in discussione i dati scientifici acquisiti, Pierluigi Lopalco, in riferimento al processo di Bergamo, ha dichiarato che l’indagine è pericolosa, mentre Matteo Bassetti ha ritenuto che l’inchiesta costituisce soltanto una vittoria per i cosiddetti No vax, diversamente da Andrea Crisanti il quale, invece, ha reputato utile la commissione parlamentare, se non addirittura necessaria poiché occorre – a suo dire – rispettare il principio di verità che esige l’accertamento delle eventuali responsabilità.
Bisogna precisare, per un più completo quadro della situazione, che le indagini sulla gestione della pandemia sono molteplici e a vari livelli: oltre quella della Procura di Bergamo sulla gestione della primissima fase della tragedia pandemica e sul mancato aggiornamento del piano pandemico, infatti, si devono ricordare anche l’indagine sui costi dei tamponi, quella sui costi dei banchi a rotelle, quella sui reagenti dei tamponi, quella sulle mascherine, quella sulla truffa delle mascherine alla Regione Lazio, e tutte quelle future che sicuramente ancora dovranno essere avviate sui numerosi e problematici aspetti della gestione pandemica.
Alla luce di tutto ciò, si possono e si devono effettuare alcune brevi considerazioni. In primo luogo: con, oltre o perfino senza le suddette inchieste è stato quanto mai evidente, almeno per coloro che non si sono intellettualmente arresi alla narrazione pandemista, che la gestione pandemica è stata caratterizzata da numerosissimi episodi di violazione della legge, dei diritti, dei regolamenti per cui si necessita di un inevitabile accertamento delle singole responsabilità morali, politiche e soprattutto giuridiche.
In uno Stato di diritto, infatti, in tanto vi è garanzia della libertà in quanto vi è garanzia del riconoscimento delle responsabilità. Soltanto nei sistemi giuridici degli Stati totalitari la gestione della cosa pubblica – come, per esempio, la tutela della salute individuale e collettiva – è esente da ogni tipo di responsabilità, poiché la classe politica e la classe dirigente non si sottomettono alla legge – come accade e deve accadere nello Stato di diritto – perché alla legge si reputano superiori.
In secondo luogo: dato che la pandemia ha comportato la spendita di danari pubblici, è impensabile ritenere che non si possano e non si debbano accertare eventuali responsabilità di chi quei pubblici danari ha utilizzato, talvolta perfino per un proprio tornaconto, approfittando dell’emergenza per compiere azioni contrarie alla legge.
Proprio perché lo Stato di diritto non può essere sospeso durante un’emergenza, occorre ricordare a tutti i virologi, a tutti gli immunologi, a tutti gli epidemiologi – nonché agli accoliti di tutti costoro – che la legge non è sospesa o sospendibile durante un’emergenza, così che tutti gli eventuali illeciti civili, penali e amministrativi necessitano di essere accertati senza risparmio di forze ed energie, sia per motivi di giustizia e di razionalità giuridica, sia anche per evitare di rinforzare l’idea che la pandemia sia stata una forma malcelata di vero e proprio “colpo di Stato” con cui il diritto della forza ha messo da parte la forza del diritto.
In terzo luogo: la gestione di un’emergenza sanitaria, per quanto grave e improvvisa, che ha causato decine di migliaia di decessi, non può prescindere dall’accertamento delle eventuali responsabilità di coloro che avrebbero potuto – e magari non hanno saputo – evitare una parte di quei decessi per i più disparati motivi: inazione, incompetenza, errori di metodo, errori di merito, errori di calcolo e così via.
La morte di un essere umano, infatti, non è un semplice numero che affolla una qualunque statistica, ma è la fine di una persona, cioè dell’entità morale intorno alla quale e sulla quale l’intero ordinamento giuridico si fonda e senza la quale o contro la quale l’ordinamento giuridico cessa di essere giuridico e quindi di esistere.
Non soltanto, quindi, è urgente e necessario – pur nella pigra sonnolenza generale che sembra attanagliare le diverse procure italiane – accertare le responsabilità, ma se si intendesse davvero agire nel modo più giuridicamente corretto, sarebbe necessario – anche se fossero necessari diversi anni – passare al vaglio il decesso di ogni singolo essere umano che ha perduto la vita durante la pandemia, dalla grottesca gestione iniziale fino ai crescenti – in quantità e qualità – eventi avversi causati dai vaccini anti-Covid.
La dignità umana lo richiede, la razionalità lo pretende e la giustizia lo esige: tutte le argomentazioni contrarie dei virologi – e dei loro sgangherati adepti – sono pura neve al sole, cioè parole di carta che dovrebbero lasciare indifferenti i cittadini e suscitare il massimo sdegno di ogni giurista che in nome dell’emergenza non abbia dismesso il proprio spirito giuridico.
Finché non si comprenderà e non si compirà tutto ciò, la tanto agognata “pacificazione” – di cui si sproloquia in questi giorni – non potrà essere né reale né effettiva, poiché la pace autentica presuppone la giustizia e questa, a sua volta, impone che si dia a ciascuno il suo, cioè alla vittima, il ristoro che ad essa spetta e al carnefice la pena che merita.
Aggiornato il 10 maggio 2023 alle ore 11:07