Emigranti di tutto il mondo: sostituiteci!

Per molti anni ho insegnato alla Scuola di perfezionamento in Sociologia e Ricerca sociale, integrata nella Facoltà di Statistica all’Università La Sapienza di Roma. Ebbi quindi relazioni con la scuola statistica romana, cospicua e valente. Tra i docenti dell’epoca c’era Antonio Golini, che si attivò in incarichi sociali oltre la docenza universitaria.

La Demografia è nella Statistica con riguardo alla popolazione, è una scienza “numerica”, quindi al di là dell’ideologia, la quale, certo, può decidere per un calcolo, un orientamento, ma non può e non dovrebbe ignorare i numeri oggettivi. Tra i numeri oggettivi vi è questo, recentissimo: occupiamo il sestultimo posto nella gerarchia della denatalità, siamo tra i primi come invecchiamento. Stupefacente, Golini me lo attestava, in un dialogo pubblicato nel mio libro: “Lavoratore imprenditore” (Dino Editore, 1999). Alla mia domanda sulla necessità di generare, Golini precisava: “Il fattore demografico è un fattore pachidermico. Si muove pesantemente ma non è notato. È subdolo. Quindi non dà l’idea della sua importanza. Non fosse stato per le pensioni nessuno gli avrebbe dato attenzione. Generare più figli sarebbe positivo? Sì. Come, è un’altra questione” (pagina 111).

Un dialogo del 1999, da leggere al presente. I temi problematici odierni vennero determinati; uno, fondamentale, attualissimo e futuro, lo cito da una mia affermazione: “Possiamo essere sostituiti in casa nostra se non facciamo figli, d’altro canto se non facciamo figli l’immigrazione è inevitabile” (pagina 110). Riprenderò la considerazione. Ma è una considerazione di Golini che vorrei fosse rilevata esponenzialmente, sugli effetti della denatalità, che: “(...) la popolazione italiana sia la più vecchia del mondo, avendo la più alta percentuale di individui oltre i sessanta anni e la più bassa percentuale di bambini” (pagina 110).

Il dialogo andrebbe letto integralmente, ripeto, e la chiusa di Golini è categorica: la trasformazione demografica è invisibile, lenta, ma la troviamo a cose fatte senza accorgimento, ed è impervio rimediare. Ciò detto, nel 1999. Quanto è accaduto, attenzione: accaduto. Noi siamo già nel recinto di quel cambiamento: molti anziani, minimi nati. E invece di considerare questo fenomeno patologico ci affanniamo a scovare buone ragioni per tale assurdità. Giacché non è soltanto il fenomeno insostenibile ma le giustificazioni del fenomeno, massimamente, quasi che non suscitare figli ed invecchiamento della popolazione non avessero nulla di alterativo in una società, mentre costituiscono l’antinatura e l’antisocietà, il trionfo dell’estinzione. Una società che non rigenera se stessa da se stessa è terriccio bruciato. Invece abbiamo degli argomentatori i quali sostengono la vitalità dei cadaveri. Dissertiamo i loro “argomenti”. Ascoltiamoli: le immigrazioni sono esistite da sempre. Siccità, inondazioni, miseria, guerre, esuberanza, scarsità altrui, conquiste, tutte e tante cause di spostamenti di popolazioni. Oggi prevale come presunto motivo giustificativo l’accoglienza, come viene definita, l’umanitarismo verso chi patisce penuria, sofferenza, una immigrazione di fraternità, insomma. Chi ha riserve sull’accoglienza è valutato impietoso, e peggio. È un modo incongruo di risolvere le complessità sociali. Se la bontà costituisse il criterio idoneo a risolvere le problematiche sociali l’uomo non avrebbe problematiche sociali da millenni. Costituire il proprio benessere in soccorso dell’altrui malessere esige strutture, non basta la volontà al bene. Un ordine mondiale a favore del popolo mondiale è la meta o il sogno di molti. Questa finalità spetta alla politica ed esige istituzioni economiche, giuridiche, etica, morale confacenti. Noi invece stiamo discutendo se le immigrazioni risolverebbero miseria e infelicità. No!

Consentire un flusso generale, continuo, a casaccio, accogliere chiunque purché giunga da noi non soltanto non risolve la penuria, la disuguaglianza ma stravolge il mondo e provoca conflitti di convivenza. Perché? Lo spiego, e ne scrivo da decenni. Non si distinguono le modalità immigrative. Esiste una immigrazione integrativa ed una immigrazione sostitutiva. La differenza, se non percepita, suscita terremoti sociali. Antica quanto l’uomo, l’immigrazione integrativa. L’uomo non è un animale dal territorio inchiodato, si adatta, se c’è freddo si veste, non dipende dalla peluria, non da un alimento specifico, la sua evoluzione è a raggio, ha concepito la locomozione eguagliando uccelli e pesci, niente di più umano che spostarsi secondo la convenienza o le circostanze e fare nido in altri territori, si integri o no, comunque fa da minoranza in altri Paesi, Paesi con altri popoli. Questa è l’immigrazione consueta. Da dosare.

L’immigrazione sostitutiva si ha quando un popolo diventa carente morbosamente di soggetti propri, in questo caso non vi è soltanto l’integrazione più o meno riuscita in altri Paesi ma via via addirittura la sostituzione non percepita in quanto diluita, a passo pachidermico, inesorabile, a bocconcini, i nuovi immigrati prendono il posto ma pare siano da non preoccuparsi, pochi, pochissimi, cento oggi, trecento ieri, dodici stanotte, non c’è da preoccuparsi. Invece è il contrario, appunto il gocciolio che non sgomenta si immette senza angoscia nostra, anzi nostra incuria: non è successo niente. Errore bisontesco. Non vi saranno, forse, ondate di milioni improvvisamente ed insieme, ma queste perpetue onde, cento, quattrocento, oggi, domani, notte, giorno, pomeriggio, alba, un continuo granuloso, e la loro prolificità comparata alla nostra infecondità stravolgerà la misurazione, loro si moltiplicheranno, noi ci estingueremo, vecchi nazionali, giovani e bambini stranieri.

Fondamentale mettere in relazione questa diramazione antagonista: noi ingeneranti, loro procreanti. Questo il terremoto della sostituzione, questo andamento a testa in giù. Non percepire che loro crescono e noi decresciamo impedisce la decifrazione avversativa. È la coniugazione opposta a rendere esiziale l’immigrazione sostitutiva. Qualsiasi demografo lo può confermare. Se continua l’andamento differenziato, nel nostro Paese avremo una tale quantità di stranieri da rendere impossibile la sovranità nazionale. Invece di scrivere o parlare fuori testo, bisogna curare i dati, insisto: nessun demografo nega che se siamo sterili e gli immigrati fertili, alcuni decenni, noi diminuiamo, loro crescono, vale a dire: non soltanto immigrazione, anche moltiplicazione degli immigrati e noi in riduzione. È o no da considerare tale vicenda alterativa? E che ci sarebbe, che c’è di più naturale dell’affermazione: se è così, facciamo figli per non soccombere! Sarebbe naturale. Ma di naturale ormai vi sono le stelle, forse.

Dopo la carne artificiale e l’intelligenza artificiale, ossia l’uomo automatizzato esterno, avremo (abbiamo) la popolazione alternativa. Con questo argomento giustificativo: che male c’è a stranierizzarci, siamo tutti umani e adempiamo alla fratellanza soccorrevole! Alcuni argomentatori sono più sociologistici, economistici! Ragionano: ben vengono gli stranieri, se non generiamo, consentono le nostre pensioni, di colmare le scuole, reperire occupazione. Vi è chi ritiene gli stranieri si accultureranno, e a contatto con le nostre società limiteranno le loro nascite, ed alla seconda, terza generazione si riterranno italiani, europei.

Non è questo il modo di trattare la fenomenologia dell’evento. No, non è così che si tratta l’argomento e si individua la soluzione. Infatti: si trascura che noi comunque non generiamo, pertanto, in ogni caso, svaniremo, lentamente, furtivamente, ma svaniremo. Consegniamo il nostro Paese agli altri. Gli altri sono uomini come noi? Certo, ma non siamo noi. Perché? Perché l’uomo non è soltanto natura: due occhi, due mani, due braccia, due gambe, due narici, un cuore, due polmoni, l’uomo è anche civiltà, lingua, tradizione, religione, arte, ed in quanto storia ci distinguiamo, in quanto natura ci equivaliamo. Per renderci interscambiabili è necessario scerpare la storia e ridurre l’uomo a stato naturale, anzi oggi a stato artificiale. Ecco la chiusura del cerchio: un uomo deculturalizzato, destoricizzato, artificiale, uguale dappertutto, interscambiabile. E le civiltà differenziate, individualizzate, la ricchezza delle varietà? Annientate. Lo scopo ultimo delle immigrazioni a getto incontrollato è la negazione delle civiltà differenziate, storiche, sostituite da un impasto generico, indifferenziato, intercambiabile.

Per dire: l’Europa agli africani, e che male c’è? La sparizione o la dissoluzione dell’europeo? E che male c’è? Purché vi siano cittadini del mondo tutto va bene. No, va malissimo. Del resto, se anche mantenessimo le differenze avremmo il paradosso di poter suscitare una società da millenni cattolica, protestante, ortodossa consegnata alla prevalenza di mussulmani. Interrogativo: ma perché edificare questi apparati disarmonici quando potremmo (possiamo) generare da noi e mantenere una immigrazione integrativa ma non sostitutiva? Perché le coppie omosessuali possono esigere la maternità e la paternità esterna e coppie uomo-donna vengono mortificate se intendono generare, quasi che generare fosse una esigenza ostile agli stranieri?

Non credo che nei millenni sia accaduto questo pensamento: che generare da parte di cittadini nazionali bambini dello stesso Paese diventi oltraggio agli stranieri! Ma davvero, accusare chi chiede che gli italiani facciano figli di essere antistraniero è una novità di logica dialettica. Quasi che elogiare Dante fosse spregiare Shakespeare! Ma no, vorremmo che gli italiani facciano figli e gli stranieri non ci sostituiscano, eventualmente si integrino. Solo una interpretazione aberrante può intendere la frase: la sostituzione etnica non è la soluzione pronunciata dal ministro Francesco Lollobrigida come negazione oltraggiosa verso gli stranieri. Per niente, è la corretta valutazione: se fossimo sostituiti non sarebbe la soluzione, ma segno della nostra dissoluzione. Solo chi non esiste viene sostituito! Se poi qualcuno è indifferente o vuole che la sostituzione avvenga o giudica irriguardoso per gli altri popoli che nel nostro Paese un italiano generi italiani, lo proclami e magari concepisca una legge, che è vilipendio degli stranieri il figlio nazionale da nazionali, lo dica a gran voce.

Jonathan Swift, con tragica ironia, scrisse che la soluzione all’eccessiva procreazione era mangiare bambini, noi, per non suscitare dispiacere agli altri popoli, potremmo sterilizzarci in massa e farci, appunto, sostituire, una accoglienza assoluta, tutta per gli stranieri. E noi? Sostituiti. Ci siamo liberati della colpa di esistere. Talvolta sembra che non abbiamo il diritto di esistere, anzi dobbiamo espiare la nostra esistenza scomparendo o dando posto agli altri quanti che siano. Attenzione: i fenomeni demografici sono pachidermici ma, nel tempo, inesorabili. Non ce ne accorgiamo, ma stiamo scomparendo. E scompariamo anche perché non ci accorgiamo di scomparire. Duecento oggi, cinquanta domani. E la goccia scava la pietra.

Aggiornato il 01 maggio 2023 alle ore 14:20