Arance meccaniche: baby gang, politica e cinema

Nel mio Comune una baby gang di ragazzini ha dato fuoco alla sede di un’associazione, “vendicandosi” perché – mentre loro saltavano con le bici sui tavolini in spiaggia e irrompevano nelle cucine dove si prepara una sagra estiva a base di pesce (il “Bagnun”) – erano stati allontanati e rimproverati. Siccome il woke impera, alcuni organi di stampa li hanno definiti “stranieri”. Errore grave, dato che in una cittadina turistica ligure “straniero” equivale a “olandese”, “inglese”, “americano”, “francese”, piuttosto che a “extra-comunitario”.

La mia idea per uscire da queste asinodiburidanate è un’altra. Basterebbe non definirli “stranieri”, il che è una censura che distorce la realtà… Dal punto di vista della comunicazione corretta, o specifichi tutto, oppure è meglio definirli semplicemente “ragazzini”, come sono. Specificare dove sono nati o dove abitano non serve, come non serve fare i farisei con definizioni ipocrite che non dicono nulla. La (in)cultura di questi anni ha prodotto una caterva di adolescenti scervellati e vogliosi di credersi “grandi”, facendo i teppisti o peggio (con le notizie allucinanti di stupri da parte di baby gang!).

È un fenomeno diffuso, che purtroppo ormai ha dilagato anche in una cittadina ligure che era un’isola felice fino a qualche anno fa, ma dove la sicurezza non è stata considerata una priorità, per un errore culturale e politico. Eppure “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick è un film del 1971, non dell’altro ieri. Il romanzo da cui è tratto il film, di Anthony Burgess è addirittura del 1962. Già allora erano descritte quelle derive delle “youth gang” oggi divenute terribilmente attuali, grazie al lungo sonno della politica, dei genitori, della scuola, di tutti.

Detto questo, è interessante studiare le origini di quel titolo strambo ed estraniante “Arancia a orologeria”. “A clockwork orange” è parte di un modo di dire utilizzato nel dialetto “cockney” dell’ex quartiere proletario della East London. Quindi, ecco “As queer as a clockwork orange”, che si può tradurre con “strano come un’arancia a orologeria”, o meglio “molto strano davvero”, che a volte può includere riferimenti sessuali. Inoltre, i giovanissimi criminali guidati dal protagonista Alex, che vivono nell’area popolare della East London, si chiamano “droogs” tradotto in italiano con “drughi” forse per analogia con “drug”. Chi ama il cinema dei fratelli Coen ricorderà che anche il protagonista del bellissimo “Il grande Lebowski” ha Drugo come soprannome. In inglese però non si utilizza “Droog” come nel film di Kubrik, ma Dude, che significa “ragazzo”, “tizio”, “amico”. È una parola molto utilizzata nel gergo anglosassone.

Droog, invece, deriva dalla lingua artificiale Nadsat, immaginata e creata da Anthony Burgess nel romanzo “A clockwork orange”. Il Nadsat include termini di derivazione russa, forse perché Burgess teme che il Sole dell’Avvenire sovietico possa sventolare sul Ponte di Londra. Quindi “droog” deriverebbe dal russo друг che si pronuncia druk, col significato di “amico”. Pertanto, sia Dude sia la pseudo parola Droog hanno lo stesso campo semantico di amico.

Qualcuno ha fatto notare che le somiglianze non finiscono qui. Sia Alex sia Drugo sono due manifestazioni della stessa malattia sociale: i drughi di “A clockwork orange” scaricano il loro nichilismo sugli altri, ma non come gli anarchici terroristi di fine Ottocento, che colpivano i potenti, come Gaetano Bresci con re Umberto I, e nemmeno come i nichilisti islamici della nuova jihad, che colpiscono gente comune. Alex e i suoi amici colpiscono gli indifesi (donne, senzacasa): sono come il musicista russo Aleksandr Scrjabin, che voleva creare una sinfonia in grado di distruggere il Mondo salvandolo dall’umanità. Quando morì – nel 1915 – Skrjabin stava lavorando al Mysterium, equivalente inverso dell’Arca di Noè in cui uccelli, felini, bovini, insetti, uomini si sarebbero auto-immolati radunandosi alle falde dell’Himalaya per un concerto rituale di sette giorni, che avrebbe distrutto l’universo.

Il Drugo de “Il grande Lebowski”, invece, è un nichilista a implosione. È un figlio dei fiori fuori tempo massimo, apparentemente tutto spinelli, acido lisergico, west coast, bowling. In realtà, sfugge da se stesso. Rifiuta il lavoro, ma per autolesionismo. Tanto più, cerca di sfuggire ai guai, e tanto più ci casca dentro. Tanto più invecchia e tanto più ringiovanisce, come un eterno Peter Pan, caduto nella tana del Coniglio bianco come la Alice di Lewis Carroll.

Ma tutto questo gli adolescenti, che hanno bruciato una bella struttura associativa su una spiaggia, non lo sanno. Forse, non se ne fregheranno mai di Drugo Lebowski o di Drugo Alex DeLarge, ma prima o poi dovranno crescere. Terribile, però, nuotare in un mare senza nessun aiuto, neanche un salvagente. Allora, in un mondo in cui tutti parlano di salvare il Mondo (ma non è bastato Mosè, né Buddha, per non parlare di Gesù, e ci vuole provare Mario Tozzi?), non sarà il caso di provarsi almeno a salvare se stessi? Ci vorrebbe un amico.

Aggiornato il 21 aprile 2023 alle ore 16:00