La generazione smarrita, stregata da cibo e social

È scattato l’allarme salviamo la lingua italiana e i ragazzi prigionieri del cibo e dei social. I motivi principali sono due: nelle scuole medie, superiori e università l’italiano viene spesso superato dall’uso sempre più massiccio dell’inglese e il secondo rischio deriva dalle dipendenze comportamentali dei giovani che passano molte ore della giornata al telefonino e ai videogiochi, principali responsabili delle tendenze all’isolamento. I giovani, se non parlano con gli altri, finiscono anche per non sapere più scrivere. Tanto, dicono, per preparare una traccia, elaborare un tema realizzare un disegno ci pensa un’intelligenza artificiale, un algoritmo. Sono sempre più in voga espressioni come green, food addiction per indicare l’obiettivo di realizzare case, città, benzina verdi o la dipendenza comportamentale da cibo. Ad avere un rapporto difficile con l’alimentazione sono soprattutto le ragazze, mentre è più marcata nei maschi la dipendenza da videogiochi. Non manca runner tirato fuori in tutti i giornali e in tutte le televisioni, a causa della morte del giovane aggredito in Trentino da un’orsa. Secondo un’indagine della Presidenza del Consiglio e dell’Istituto superiore di sanità circa due milioni di giovani sono a rischio dipendenza e una larga fetta della Generazione Z è refrattaria al dialogo con i genitori. Anche in questo caso è scattato un termine straniero, questa volta giapponese, Hikikomori, per indicare i “ritirati sociali”.

C’è, in sostanza, in Italia una parte di Under 18 che ha problematiche da conoscere, intercettare e curare, altrimenti sfociano in ansia e depressione. La mancanza di comunicazione o la scarsa propensione a dialogare con i genitori sta diventando uno dei tratti che più accomuna i ragazzi fragili. L’altro aspetto emerso è quello del consumo da parte di oltre il 22 per cento dei ragazzi di cannabis. Negli adulti sta esplodendo un altro fenomeno: quello delle esternazioni senza freni, soprattutto quando appaiono in televisione, con accuse “per sentito dire”. Sono voci o allusioni che vengono lanciate come messaggi. A volte, diventa un crescendo che assume aspetti offensivi. Si trovano così scritte anche su giornali nazionali illazioni presentate “da fonte attendibile”, senza però citarla. Prove? Niente. Rettifiche? Di scarso rilievo e tardive. La facilità di utilizzare Facebook, Twitter, Instagram causa una generazione smarrita. I ragazzi che stanno ai margini della società e che non studiano, non hanno un lavoro né lo cercano sono circa 2,2 milioni. Sono un quarto della popolazione tra i 15 e i 30 anni e li chiamano con un acronimo Neet, termine usato per la prima volta alla fine degli anni Novanta in Inghilterra, che significa “Not (engaged) in Education, Employment or Training”.

In Italia, i “né, né” sono quelli che non s’integrano, si sentono inadeguati, non credono nella loro crescita e si isolano. Serve, pertanto, una svolta culturale per far fronte alla catastrofe educativa. E, secondo un dossier del Cnr, un ragazzo su quattro è a rischio, con una percentuale superiore alla media europea. Dalla ricerca è emerso che i ragazzi che sono lasciati più soli dai genitori nel corso della giornata sono più fragili e più esposti ad allontanarsi dalla scuola e dagli affetti. L’incapacità poi di distaccarsi dallo schermo o dal telefonino causa compulsività, disturbi del sonno, dell’umore e dell’attenzione. Secondo molti analisti, l’istruzione malata attende una cura profonda perché il futuro sarà scritto, in ogni caso, sui banchi di scuola. Ma ancora oggi l’Italia resta uno dei 12 Paesi Ocse con un alto abbandono del percorso di studio e un basso numero di laureati.

Aggiornato il 20 aprile 2023 alle ore 10:30