La bufera Giletti colpisce l’editoria in crisi

I dati di febbraio 2023 della vendita dei quotidiani presentano rilevanti perdite. Il disastro è evidenziato dalle perdite delle copie in edicola, strumento fortemente in crisi, con chiusure soprattutto pomeridiane. Secondo l’analisi elaborata da Primaonline.it, il giornale che ha perso di più nell’ultimo anno è la Repubblica diretta da Maurizio Molinari, che ha registrato un calo del 17 per cento. In pratica, solo Libero guadagna un 5,2 per cento, mentre tutti gli altri presentano il segno meno. La Verità di Maurizio Belpietro cala del 15,6 per cento, La Stampa guidata da Massimo Giannini scende del 14 per cento, Il Giornale di Augusto Minzolini (ora venduto) segna un meno 11,19 e, sulla stessa cifra, si attestano il Corriere dello sport, La Nazione, il Resto del carlino, Il Messaggero (che però ha chiuso il bilancio in attivo grazie al digitale, consentendo anche il pagamento di una cedola pari allo 0,03 per cento per azione) e La Gazzetta dello sport, diretta da tre anni da Stefano Barigelli, che ha subito un salasso del 10,5 per cento.

Il giornale rosa, tanto caro agli sportivi, ha fatto registrare un balzo a febbraio notevole grazie alla somma tra carta più digitale, raggiungendo 161.417 copie al giorno, diventando il secondo quotidiano più diffuso dopo il Corriere della Sera diretto da Luciano Fontana, due giornali del gruppo Rcs di Urbano Cairo, proprietario anche della società di calcio Torino e della televisione La7, dove operano Enrico Mentana e Lilli Gruber. I dispiaceri vengono proprio da una trasmissione di punta del gruppo: Non è l’Arena di Massimo Giletti è stata sospesa dopo 6 anni di vita giornalistica, spesso travagliata per alcune inchieste scabrose e posizioni anticonformiste. Nella vicenda ci sono molti punti poco chiari che vanno dalla produzione della trasmissione da parte della società inglese Fremantle ai compensi erogati per le interviste al gelataio piemontese Salvatore Baiardo, condannato per aver favorito la latitanza dei fratelli Graviano, e in particolare di Giuseppe, capo del mandamento mafioso del quartiere Brancaccio di Palermo e pluricondannato all’ergastolo.

Massimo Giletti difende il suo modo di fare giornalismo, anche se scomodo. Ma già quando L’Arena era trasmessa dalla Rai le polemiche non sono mai mancate. I problemi che stanno riaffiorando con la chiusura della trasmissione su La7 sono la creazione di uno staff autonomo (35 persone) che non risponde a un direttore di telegiornale, la presenza di boss o altri personaggi che approfittano per lanciare loro messaggi, i compensi pagati agli ospiti per le loro apparizioni (utilizzate per fare audience e non per approfondire temi d’attualità). Ci sarà comunque tempo fino a giugno, quando scadrà il contratto per conoscere le verità di Giletti che approdò a La7 nel 2017, dopo dissapori con la Rai dove aveva lavorato per circa trent’anni. Dopo la rottura si sono rincorse voci di un possibile ritorno di Giletti alla televisione di Viale Mazzini. Per ora si difende attaccando: “L’Italia – detto – non è ancora pronta ad ascoltare certe verità. Fa più comodo tenerle nei cassetti”. Il riferimento è alle sue inchieste sulla mafia per le quali è stato ascoltato dalla procura che indaga sulle stragi del 1993 di Firenze, Milano e Roma. I misteri non mancano. Per il 27 aprile è attesa la sentenza della Cassazione del processo trattativa Stato-mafia, a dieci anni dalla prima udienza in Corte d’Assise di Palermo. Anche giornalisticamente la vicenda continua a dividere e a far discutere.

Aggiornato il 17 aprile 2023 alle ore 10:58