Ritratti. Il tempo delle merendine

“Via della Spiga, hotel Cristallo di Cortina: 2 ore, 54 minuti e 27 secondi… Alboreto is nothing!”. Parole e musica di Guido Nicheli, il Dogui, il celebre Donatone Braghetti di Vacanze di Natale 1983. Ma chi non è stato in prima fila, di prima mattina, con una tazzona di Sprint al cacao e una ciambella della Mister Day. Una pioggia di zuccheri, conservanti e chi più ne ha, più ne metta.

Niente farina di grilli, niente cibo biologico a chilometri zero. Ma solo una ventata di dolciumi della nostra adolescenza che creava con il nostro corpo una certa chimica, che non era quella Fame messa su pellicola da Paolo Vari e Antonio Bocola. No, perché il Tegolino, le Tortorelle, l’Urrà Saiwa, il Ringo Cialdy, la Campanella, le Crostatine al cioccolato, alla marmellata o in qualsiasi gusto possibile e immaginabile, non avevano eguali.

Oasis, Blur, Festivalbar e Anouk che gridava Nobody’s wife a ogni piè sospinto. Ma anche il Winner Taco, il Bounty, l’effetto impastato che dava il Mars (la cui versione in crema spalmabile è stata ammirata tra gli scaffali di un supermercato, tra il serio e il faceto), il Raider/Twix, la Bomboniera – che terminava in un secondo – il Piedone (gelato per veri intenditori) o il Bubble O’Bill (gelato per cultori), il Cucciolone “dieci morsi, dieci”, la Coppa Rica e quella del Nonno, il Croccantino e molto altro. Roba seria, che mandavi giù con la One O One (una coca poco cola, ma non è da questi particolari che si giudica una bevanda) o il succo di frutta Billy. Anche la gassosa aveva il suo perché, soprattutto perché vergava nel palato una scia di glucide che lasciava il segno.

E poi dalla nonna, che con maestria consegnava la mancetta senza farsi notare, non potevano mancare le caramelle Rossana o le Valda, al gusto vagamente vicino al pino silvestre, che si appiccicavano ai denti ma che, per qualche strana ragione, venivano ingurgitate senza colpo ferire.

Insomma, per dirla alla Vasco, “sono ancora qua, eh già”. Forse un giorno il corpo chiederà il conto. Intanto, siamo vivi. Anzi, I’m still alive. Perché una spruzzata di Pearl Jam ha sempre il suo perché. Come un Sansonì: difficile da aprire, ma godurioso come un gol al novantacinquesimo.

Aggiornato il 18 marzo 2023 alle ore 11:31