Lettera al direttore

Gentile direttore Andrea Mancia,

voglio esprimerti le mie riflessioni all’indomani della vicenda del provvedimento della preside di Firenze e delle posizioni assunte dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Nei giorni scorsi davanti al Liceo Michelangiolo a Firenze si è verificata una rissa tra studenti, come purtroppo avviene di frequente e con conseguenze orrifiche e spaventose nelle piazze, nelle strade, davanti alle discoteche, in grandi città e città a rischio. Quella davanti al liceo a Firenze ha evocato i giorni bui delle violenze politiche. I pestaggi. La preside Liceo scientifico Leonardo da Vinci di Firenze, Annalisa Savino, è intervenuta con una lettera agli studenti e alle famiglie in cui ha evocato i retaggi delle epoche e l’importanza dell’antifascismo. Il ministro dell’Istruzione Valditara ha ritenuto di stigmatizzare l’iniziativa della dirigente definendo la lettera “impropria” poiché “non c’è alcuna emergenza fascismo”. Lascia basiti la posizione presa dal ministro su una dirigente scolastica, che suona come una censura, un’imposizione sull’autonomia del corpo docente italiano, tanto più che la Savino non intendeva chiaramente imputare un esistente rischio attuale, ma dare una lezione ai giovani rivolgendosi alle famiglie sull’importanza di non cadere nei retaggi del passato. Una scelta più che propria. Nelle polemiche scoppiate nessuno si è preoccupato di mettere al centro il fatto, la scena di violenza tra i ragazzi che si sono pestati davanti al liceo. Il ministro ha addirittura detto che “non spettava alla preside” poiché l’azione non si è svolta dentro il liceo. Basterebbe questo a suscitare amare marce indietro. Ma, ripeto, è scivolato addirittura sullo sfondo che quei giovani si stavano menando e che di questi fatti è piena la cronaca e che le conseguenze sono spesso letali, impressionantemente violente e dolorose per famiglie e per la società sconvolta in modo sempre più estremo.

Ti scrivo, direttore, perché questo è “il mio antifascismo”, per cui mi batto, mi sono battuta, assumendo fin dai miei anni di liceo, di professione, di vita, posizioni sempre più mature. Ti chiederai cosa intendo. Quello che commento quasi quotidianamente anche sulle tue pagine. Giorgia Meloni, come io stessa in una specie di “campagna personale” prima delle elezioni ho scritto che “non è una fascista” nel senso che la sinistra cerca, ha cercato di diffondere una altrettanto “propaganda” del “politicamente corretto”, di cui sulle pagine de L’Opinione si scrive spesso. Ma non è detto che non reiteri i retaggi dell’ideologia da cui viene. Dire che è “una bestialità” non basterebbe. È vero, come la stessa Meloni ha fatto innocentemente notare sempre, che non avrebbe manco l’età per incarnare quei prototipi. Ma i retaggi delle ideologie sono il tema stringente del presente. Nessuno nel Paese coltiva il pregiudizio, credo. Forse in qualche nicchia ancora buia e ignorante, in qualche consorteria dei tornaconti, in qualche occulto anfratto della Repubblica, dove forse si annidano ancora i deliranti sogni che hanno sconvolto un’era. Ma questo si può illuminare solo e soltanto con le posizioni che io stessa esprimo, con il dibattito aperto ma leale e vero, con l’iniziativa della preside “obbligatoria” di fronte all’accaduto e al montante clima di selvaggia violenza dei giovani. E tanto più di fronte alla scioccante e inaccettabile posizione del governo in numerosi passaggi e non solo relativi ai fatti di cronaca, ma di economia, di politica estera, culturali e di immagine in particolare.

Giorgia Meloni non è Hitler, ma da lei alla Thatcher ce ne passa. Perché i retaggi del passato sono i fantasmi, gli incubi e le voragini di tutti. Lo dimostrano i numeri, le statistiche, l’oggettività. Alle ultime elezioni politiche il 30 per cento degli elettori ha votato Fratelli d’Italia su un 60 e più per cento di aventi diritto al voto. Io compresa. E non alla Camera dei deputati, al Senato “per dare una mano” di stile, perché il Senato non è Montecitorio, dove si deve svolgere il confronto anche duro tra partiti e leader. Che cosa hanno fatto i Fratelli d’Italia con quel risultato, quel voto, con l’Italia, le emergenze, i provvedimenti necessari, Silvio Berlusconi, la comunicazione, il clima indispensabile, le tante questioni bollenti, immediate? La risposta sta nel voto delle Regionali. E il rischio, che esce fuori dal voto e dai seminati di un tempo, faziosi o datati, archiviati e storici, diventa il volto moderno della destra. Il suo nuovo autoritarismo, l’insofferenza democratica, il difetto culturale. Alle Regionali Fratelli d’Italia ha tenuto, mantenuto e ottenuto il 33 per cento sì, ma su “nessuno” che è andato a votare. Una provocazione, detta così. Il filosofo Massimo Cacciari, dopo che anche io ho ricordato come il partito di Benito Mussolini fosse passato da ciò che era a ciò che poi si è rivelato, ha scritto che quelle elezioni andavano annullate. Che maggioranza è da sbandierare e da ritenere di poter “decidere tutto” se il 33 per cento dei consensi è da considerarsi sul quasi 70 per cento dei non votanti? Non Mussolini stesso, ma lo stesso metodo. Questo è il mio antifascismo e l’antifascismo degli italiani onesti, che vengono da quei tempi e che sono figli di quegli avi, nonni e genitori.

Ma c’è dell’altro: la radice culturale. Perché ciò che inorridisce non sono solo le scelte assurde politiche, come tutti i dietrofront contro cui insorgono gli italiani, le accise, gli immigrati. E nemmeno le ridicole e impietose posizioni estere a nome di un Paese inventato che non c’è a sostenere, ritenere e interpretare siparietti da avanspettacolo di geopolitica, a cui perfino Silvio Berlusconi è stato costretto a cancellarsi pur essendo il leader a buon titolo “unico” fondatore e propulsore dell’alleanza di governo. Le armi. Abbiamo letto sfilze di nomi di attrezzi di distruzione sempre più specifici e devastanti in un clima da antico sogno degli idealisti nostalgici del “default tricolore”. Il default, non l’innovazione, la cultura, il progresso, la modernità, lo slancio che anche in tempi peggiori apre al futuro. E ciò, benché la destra abbia risorse enormi se si considera il passato e ottime se si volesse vedere il presente, invece di ucciderlo. Perché si può sterminare in tanti modi e “la risoluzione finale” di un coacervo di sangue e crimini non era certo la deflagrazione della nomenklatura nazista e non si è estinta con la fine impietosa di Benito Mussolini e la sua amante. Il metodo da solo va avanti e si affina. Perché poggia sui modelli. E per questa destra il passaggio dal superuomo alla superdonna, dal superomismo al super femminile che dir si voglia, è stato tutt’uno.

Eppure, la storia aveva concesso il beneficio della “prima leader donna” anche se con tutte le ambiguità del caso. I fatti lo dimostrano. La rabbia degli italiani traditi da vane e vuote promesse elettorali a scopo sondaggistico, senza un’idea concreta e un programma reale, la censura alla preside, gravissima, l’Italia in guerra solo per la vanagloria di una stretta cerchia e la vana gloria, letterale, di Giorgia Meloni, schiacciata tra l’impossibilità del domani e il baratro del passato. Oltre che dai vizi di forma e sostanza della politichetta domestica, le spese pazze, le incongruenze etiche, morali, religiose. Dov’è finita la “donna, la madre, la responsabile” contro i Gay pride? Alla Rai o da Volodymyr Zelensky, da Zelensky o al suo partito? O ha scoperto che i Gay pride non erano l’emergenza e il lato oscuro della società? Forse che il “pensati libera” di Chiara Ferragni ha conquistato anche Palazzo Chigi? E cosa sarà quando Giorgia Meloni, dopo le Europee, avrà anche messo a segno la sua Repubblichina presidenziale?

Si potrebbe continuare a iosa. Ma basta ciò che è già accaduto per impegnare italiani, genitori e chi ne fa le veci, famiglie, giovani e chi ne è responsabile, ambiti istituzionali, culturali soprattutto, economici, i partiti politici, le forze in campo al di là del governo a impegnarsi per una efficace e rapida azione che impedisca le escalation già viste e patite. Questo è il “per non dimenticare”. Pertanto, ha fatto bene, benissimo, la preside del liceo di Firenze. Non come dicono ancora taluni dalle parti della sinistra “Giorgia prendi posizione e condanna il pestaggio” tirandosi la ragione dalla propria parte alla vigilia del rinnovo della Segreteria. Perché poi viene il peggio e di più, come dire “Giorgia arresta” fascisti, anarchici. Si comincia così poi si passa dalla dirigente scolastica, chiunque la pensi diversamente, il politicamente corretto o scorrettissimo. C’è un caos anche in tema di giustizia e di magistratura. Questo accadde all’epoca delle persecuzioni razziali. Così si arrivò al mostruoso abominio democratico e ideologico. Le vie d’uscita sono culturali, solo le parole disegnano nuove epoche. La lettera della preside è un esempio giusto. Che cosa pensano gli altri presidi? Gli studenti, le famiglie? Chi gestisce questo dibattito, quali giornali, quali giornalisti, quali reti e programmi tivù? Per questo, dopo l’ultima eclatante assoluzione, io ho rivolto un appello a Silvio Berlusconi, manipolato a scagliarsi contro le Procure. No, contro i media! E lì se vuole può vincere come dice nei suoi spot. L’uomo, oggi, è dentro sé stesso che deve riscoprire le radici profonde dell’amore e del rispetto. Questo è il mio antifascismo, una speranza.

Aggiornato il 27 febbraio 2023 alle ore 17:04