Souad Sbai lancia l’allarme: “È preoccupante l’avanzata della legge islamica nel nostro ordinamento”.
La presidente dell’associazione Acmid Donna Onlus, già deputata in Parlamento e giornalista, non nasconde la sua amarezza. L’obiettivo è “voler avvertire il sistema giudiziario italiano di non processare l’islamismo. Eppure, Saman Abbas scappava proprio da quel mondo”. L’associazione è l’unica tra le 13 parti civili escluse dal Tribunale di Reggio Emilia, che si occupa direttamente di donne di cultura islamica vessate e private della libertà. Nello stesso tempo, però, il giudice ha ammesso come parti civili tre centri religiosi che rappresentano l’Islam in Italia in tutte le sue sfaccettature: l’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii), la Confederazione islamica italiana e la Grande moschea di Roma. L’Ucoii è la stessa che emanò la preoccupante Fatwa come condanna contro i matrimoni forzati a seguito dell’omicidio della giovane, una pratica da Stato islamico prevista dalla Sharia dietro la quale si nasconde il sistema normativo islamico. L’interrogativo che si pone Souad Sbai è chiaro: “A che titolo queste associazioni sono state ammesse come parte civile ed esclusa invece l’unica che denuncia proprio il tentativo di soffocare la libertà delle donne islamiche? E quanto ha influito nella decisione la fatwa emessa?”.
L’avvocato Riziero Angeletti, legale dell’Ucoii ha detto che “non potevano non essere ammesse proprio quelle associazioni che sostengono la necessità di una integrazione e di uno smussamento degli integralismi religiosi, che si sono manifestati pienamente in questa vicenda”. Smussamento? La parola non è piaciuta a Souad Sbai, che già in altre occasioni, a volte con il Ministero delle Pari opportunità, ha ottenuto di essere ammessa come parte civile, nei processi Shanhaz Begum, Rachida, Sana Dafali e Nosheen Butt e a udienza ancora in corso, ha tuonato sulla sua pagina Twitter definendo “vergognosa la decisione di escludere #Acmid Donne marocchine in #italia come parte civile nel processo a Reggio Emilia, mentre a essere ammessi sono gli islamisti che emettono fatwe e vengono ora legittimati da un tribunale italiano”.
Souad Sbai si è appellata direttamente al ministro della Giustizia Carlo Nordio affinché intervenga immediatamente per capire come e perché si è arrivati a questa decisione. “La nostra associazione – sostiene Sbai – è impegnata dal 1995 e siamo sempre stati accettati ne abbiamo mai lucrato, dato che in tutti i processi abbiamo sempre chiesto un risarcimento di un euro”. Simbolico, dunque, e così avrebbe fatto anche stavolta Acmid “per affermare che il problema dei matrimoni forzati deve essere affrontato con altri metodi, quali quelli dell’integrazione, della convivenza civile, del rispetto delle leggi. Non di “sentenze” o “scomuniche” religiose”. E ancora: “Sembra quasi che siano questi centri di cultura islamica le vittime, ma la vera vittima è Saman. Perché non è andata nelle moschee a farsi aiutare? La verità è che la moschea era un mondo che le era ostile perché permeato di cultura islamista. Mi auguro che il giudice abbia deciso in buona fede, in ogni caso noi assisteremo al processo e ci faremo sentire anche se non siamo stati ammessi come parte civile”.
Aggiornato il 24 febbraio 2023 alle ore 10:00