La scelta

L’errore della scienza sta nel credere l’uomo razionale o sopra tutto razionale. Niente. Sbagliato. L’uomo è l’animale più istintivo di tutte le specie animate, anzi, lo era. Quando stabilì se stesso sulla razionalità, che avvenne? Afflisse gli istinti. E che avvenne affliggendo gli istinti? Ha perduto l’orientamento, la capacità di decisione, la ragione senza istinti non ha direzione, supporto, ragiona, quindi è nel dubbio, pertanto indecisa, si paralizza, brancola-barcolla, questo, no, anzi, però, e naufraga. La rappresentazione dell’intellettuale nella modernità è oscillante, questo, no, quello, tutto nel medesimo livello, no, scelgo, e perché devi scegliere e con quale criterio valutativo, e perché quello è buono, quello non buono, quello brutto, e bello quell’altro? Il volere non sa perché volere. Se il volere non affonda nel sentire, e la ragione non attinge al sentire, il sentire è considerato irrazionale, in quanto inficia la ragione strumentale, la quale ragione strumentale è quella in uso nei sistemi produttivi, usare mezzi acconci ai fini, obbligati, esterni, utilitaristici e soltanto utilitaristici. Ebbene, l’uomo si riduce una prosecuzione delle macchine, funzionale, fini-mezzi, mezzi-fini.

Ma l’uomo non è soltanto rapporto funzionante tra mezzi e fini, il residuo istintivo, vitalistico, rimosso, sussiste, e laboriosamente scava l’insorgenza, vuole vivere, rivivere, vuole la vita, e la vita per la specie uomo è un ideale, l’uomo è capace di vivere se ha per scopo non soltanto il calcolo utilitaristico mezzi-fini ma anche, o soprattutto, un ideale, simboli-sogni. E che è mai un ideale, un simbolo-sogno? Una meta? E che è “meta”? L’impossibile come possibile, la possibilità dell’impossibile. Uno scopo così spropositatamente romboide che a dirlo ci sgomentiamo, a compierlo scaraventa una forza atavica terremotosa da far tendere le forze ciclopiche incorporate nell’antica corteccia dell’umanità, l’uomo interiore non affidato ancora agli strumenti, natura incorporata nell’uomo, l’uomo capace, l’uomo sogno-simbolo: staccava le stelle dalla fronte del cielo. Ci rendiamo conto? Di che? Abbiamo compreso? Cosa?

Occorre tentare l’impossibile. Perché? Per non annoiarci e respirare nel focolare fumoso del tizzone bruciacchiato di casa nostra. Meno vasta è la pretesa, meno ardimentosa la potenza, massima estrema la pretesa, estrema l’energia. Più chiaramente: il crollo personale e sociale avviene quando non abbiamo scopi entusiasmanti, ma piccoli sacrifici all’ossicino, non scatenano tumulti dello spirito, le vicende non sentite ci fanno smorti, le difficoltà rimangono e pesano non esigendo un impegno sommo da giocare ogni nostro potere. Allora? Scopi solenni, il Giudizio universale, le torri di Babele, piramidi sopra piramidi, muraglie dopo muraglie, tanti San Pietro, ponti sullo Stretto siciliano, laggiù nel mare di ferro, voglio vederlo, il ponte, il Barone di Münchhausen mi accompagnerà, qualcosa, un arco, una freccia, un bersaglio, una cima, un impegno per le energie e per la mente, e per riattraversare gli istinti, e un sogno-simbolo, addirittura nell’intera umanità per l’intera umanità! La salvezza dalla caduta, così stenta che non sale all’onore della tragedia. E che dovremmo osare? Osare! Dove, che, quando?

L’umanità, infine, comprende di essere tutta insieme a rischio di rovina e tutta insieme. Ciascuno a modo proprio, tuttavia ha un immane scopo che esige la fatica di compiere imprese entusiasmanti, le quali distraggono dalla morte e dalla noia, dalla noia, ripeto, esistendo tragedie noiose, stiracchiate senza rasarsi le grinfie, tragedie arenate, un pesce gonfio a bocca larga. Non viviamo neanche la tragedia della tragedia, una tragedia tragica. Misurine, passettini, due per due fanno cinque, il tre entra nel nove tre volte, sei per sei trentotto, qui tolgo e là metto, spostati, i lacci ai polsi, comando io, il tutto in gomitoli di filo che paralizza i ragni. Non respiriamo. Il dottor Gulliver mi diceva che i lillipuziani erano di maggior vaglia. Che stiamo compiendo per la civiltà? L’incubo, che procediamo sui prati del niente, così, senza comprendere che sarebbe opportuno invocare un Dio, il quale, sporgendosi dal cielo, grida ai popoli ed ai pianeti: “Umanità, un gran sogno, che spinga la fantasia e dia valore alla vita traendola dalla morte noiosa. Radunati, considerati, valuta, decidi, vuoi, umanità, lasciare eredità di sogni, di arte, o meduse secche e cocci di cozze? Ma certo, l’umanità non è musica che accorda gli strumenti, e ciascuno, popolo o singolo, tenta la direzione. Almeno che qualcuno indichi un vertice armonioso. Capisci? Se un motivo può, potrebbe associare in un concerto colossale l’insieme umano! O che sia bello! Verrà il momento, sì, quel momento verrà, il momento dell’Apocalisse terrena, e l’umanità, l’umanità intera, sarà obbligata, sarà obbligata a decidere, o si distrugge o si costringerà a vivere con scopi differenti ma uno scopo comune, appunto: vivere! Preparati, consapevole, a quel giorno inevitabile. Io ti ho avvertito, io ti indicherei di scegliere lo scopo della vita e, nella vita, scopi memorabili che ritrovano ideali e istinti. Che farai?”.

Aggiornato il 21 dicembre 2022 alle ore 13:40