“Tangentopoli Nera”

La storia segue il suo percorso evolutivo come la stessa umanità, arricchendosi di rivelazioni e testimonianze storiografiche alquanto sorprendenti, tanto da indurre a riscrivere la stessa narrazione storica di riferimento. Questo è il caso che riguarda anche l’omicidio di Giacomo Matteotti, eseguito il 10 giugno del 1924, che fu la conseguenza di un’aggressione ordinata da Benito Mussolini, in quanto Matteotti era venuto a conoscenza di un giro di tangenti che la compagnia petrolifera Standard Oil versò al Duce. Alla pagina numero 205 del libro dell’autore americano Ray Moseley, intitolato Ciano, l’ombra di Mussolini è scritto: “Alcuni documenti conservati nell’Archivio nazionale degli Stati Uniti hanno rivelato che Galeazzo Galeazzo Ciano aveva nascosto milioni di pesos in Argentina e, assieme a Mussolini, aveva depositato segretamente altri fondi in Svizzera”. Quindi Mosley confermò che conosceva l’esistenza dei documenti che provavano questa verità, ma che non li aveva mai visti e non era riuscito ad entrarne in possesso.

A New York, d’accordo con il World Jewis Council furono ottenute le fotocopie delle carte più significative dei servizi segreti americani. L’attendibilità di questo materiale cartaceo, con il titolo di Flight of Italian Capital (Mussolini) è indiscutibile. Il Duce, secondo quanto sostengono gli americani, accumulò una fortuna all’estero, ma non ebbe modo di utilizzarla, né poterono farlo i suoi discendenti. Quindi il Duce avrebbe accumulato ingenti somme di denaro, provenienti da un’enorme “Tangentopoli Nera”, durante il ventennio. Insieme a lui ci furono nomi altisonanti della gerarchia fascista, come Dino Grandi, Roberto Farinacci e Franco Marinotti e della nobiltà nera e persino dei Savoia. Il Re Vittorio Emanuele III avrebbe nascosto la bellezza di 1.683 miliardi (valore di oggi).

Il documento, datato 23 gennaio 1945 e siglato J.S. recita così: “Il giornale Il lavoro Svizzero ha citato una dichiarazione del Bulletin de Crédit e de Finance, secondo il quale le banche svizzere hanno circa 300 milioni di franchi, appartenenti a 70 italiani, includendo 28 milioni del Re e 25 del Conte Volpi di Misurata”. Un altro rapporto dell’Oss, la Cia degli anni Quaranta, è ancora più preciso e indica le modalità utilizzate dal Duce per nascondere capitali all’estero assieme al genero, poi fucilato a Verona, il conte Galeazzo Ciano. Sotto l’intestazione Hjalmar Schacht, della Reichbank (la banca centrale tedesca sotto il nazismo), fu in segreto contatto tra 1937 e il 1941 con un avvocato, L.F. Meyer, i cui uffici sono in Aldigens-Wildertstrasse n.6 a Lucerna.

Il documento prosegue affermando che “Meyer fu usato come copertura da Castiglioni, un banchiere viennese, consigliere finanziario personale di Mussolini. Lo scopo di questa copertura fu quello di nascondere gli investimenti di danaro nella raffineria di petrolio grezzo (Ipsa) appartenente a Mussolini, Ciano e allo stesso Castiglioni”. Nel documento 650.3/SH-O del 4 aprile 1945, indirizzato al segretario di Stato americano sotto la voce “Fuga di Capitali italiani”, si legge: “Il Dipartimento ha ordinato una indagine per confermare un rapporto dell’agenzia sovietica Tass, riguardante una grossa somma di danaro e altri valori che sono stati trasferiti nelle banche svizzere da Mussolini e dai suoi complici”. Il professor Mauro Canali, autore di una ponderosa ricerca intitolata Il delitto Matteotti, è stato esplicito: “Il documento di cui mi parla, quello nel quale è citata la Ipsa, è di notevole importanza storica. Innanzitutto devo dire che questi documenti hanno un’attendibilità elevatissima, perché sono indirizzati al segretario di Stato americano da Allen Dulles, capo dell’Oss in Europa, che operava prevalentemente in Svizzera proprio in quegli anni.

Ma la cosa più sorprendente è che la Ipsa, nella quale Mussolini aveva forti interessi, altro non è che la Siap (anagramma di Ipsa, ndr), filiale italiana della Standard Oil americana, requisita dal Duce come bene appartenente a Paese nemico. “L’importanza storica di questa rivelazione sta nel fatto che viene dimostrata una inquietante continuità degli interessi personali di Mussolini, nel petrolio, che vanno dal delitto Matteotti alle ultime fasi della Repubblica di Salò”, ricorda lo studioso. “I figli di Matteotti riconoscevano valida l’ipotesi che, dietro l’omicidio del padre, vi fosse il timore che il deputato socialista stesse per rivelare i retroscena dello scandalo Sinclair Oil. Si trattava di una compagnia prestanome della Standard Oil, cui Mussolini aveva confermato il monopolio della commercializzazione in Italia dei prodotti petroliferi, ma cui aveva anche concesso i diritti esclusivi per lo sfruttamento dei giacimenti rinvenuti in Italia, accompagnando tutto ciò con una serie incredibile di agevolazioni fiscali. I familiari di Matteotti hanno sempre sospettato che mandante dell’omicidio fosse re Vittorio Emanuele, secondo loro proprietario di quote della Sinclair.

Il fatto che gli americani avessero individuato nella Ipsa la società con la quale Mussolini gestiva i profitti dell’estrazione del petrolio conferma un dato importante del consolidamento della sua posizione personale e del movimento fascista. Il “bottino” vero sarebbe al sicuro nei forzieri elvetici e in quelli argentini, si tratta di soldi dei cittadini italiani, una ricchezza che non ritornerà mai più nel nostro Paese e sulla quale nessuno potrà mai mettere le mani. Le somme custodite in conti cifrati, infatti, sono state assorbite dalle banche dove vennero depositate e dove nessuno potrà mai più reclamarne la proprietà. Ma tutta la vicenda ha fortissime connotazioni di intrigo internazionale. Nel ‘97, infatti, ben quattro incendi hanno distrutto buona parte dei documenti consegnati dagli svizzeri agli Stati Uniti e conservati negli archivi americani. E il sospetto fondato è che dietro gli incendi vi sia la mano delle banche elvetiche che, dopo aver mantenuto per anni un atteggiamento di durissima chiusura nei confronti di quanti chiedevano di conoscere i nomi degli intestatari dei conti correnti, erano state messe con le spalle al muro e avrebbero dovuto restituire il denaro ai legittimi proprietari (come accaduto per gli ebrei). Nel caso del Duce, allo Stato italiano. Gli incendi hanno distrutto ben ottomila casse di documenti; ne sono rimaste solamente 3.500. “Nel mio libro sulla genesi del delitto Matteotti”, precisa lo storico, “sono riuscito a dimostrare almeno tre tangenti sicure e non è certo facile trovare le prove materiali della corruzione. Una prima tranche di quasi 40 miliardi di lire attuali venne versata dalla Standard Oil ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce.

C’è poi una lettera del commissario straordinario delle Ferrovie, incaricato di vendere i residuati bellici della prima guerra mondiale, che scrive a Mussolini: “Le 250 mila lire che ebbi a consegnarvi poche sere or sono provengono da una vendita di materiali esistenti in magazzini di corpo d’armata” e Mussolini, sull’appunto, verga la parola “riservatissimo”. Vi sono poi altre sicure tangenti, come una di 750 mila lire, fatta passare per donazione a un istituto per ciechi”.

Nella nostra ricerca abbiamo rinvenuto un ultimo documento riservato, del dicembre 1944. Si tratta di un’informativa sui conti e gli investimenti in Argentina di esponenti di spicco dei regimi dell’Asse. Si fanno i nomi dei gerarchi nazisti Eckhart Neumann, Hermann Göring e Joachim von Ribbentrop, ma anche di Ciano e della figlia del Duce. Edda Mussolini: “Un ufficiale dell’ambasciata fu informato da una fonte attendibile che il governo argentino, nel corso di una indagine fiscale sulla società tessile Denubio, scoprì che il capitale della società era intestato a Galeazzo Ciano e al generale tedesco Guderian. Viene anche riferito che, sebbene il capitale fosse di 2 milioni di pesos la società ebbe poi un profitto di 9 milioni durante l’ultimo anno fiscale”. Ma perché sarebbe stata scelta l’Argentina per riciclare i soldi trafugati agli italiani? Probabilmente perché il Paese sudamericano, all’epoca così florido da ospitare milioni di nostri connazionali, era disponibile, oltre a dare asilo ai gerarchi nazisti fuggiti dalla Germania dopo il tracollo del regime, anche a reinvestire i capitali in fondi comuni che ne moltiplicassero il valore. David Berger, primo segretario dell’ambasciata di Washington in Argentina ed estensore del rapporto, rivela: “Un attendibile informatore ha affermato che Edda Mussolini sta cercando di andare in Argentina per incassare i beni del marito che sono presumibilmente in possesso di Victor Caldani, editore del quotidiano Il Mattino d’Italia”.

In Argentina andò a vivere anche Vittorio, figlio di Mussolini. L’ipotesi di un arricchimento del Duce è stata sempre respinta dalla famiglia che, in realtà, dopo la guerra non visse certo nell’agiatezza, tranne Edda, che ereditò dal marito ben 95 appartamenti a Roma. Donna Rachele ebbe la pensione di vedova di un presidente del Consiglio e solo dopo una lunga controversia legale con lo Stato italiano; Romano ha sempre vissuto del suo lavoro di stimato jazzista. La possibilità che la suddetta ingente quantità di denaro, trasferito illegalmente all’estero, possa ritornare in Italia è alquanto irrealizzabile, ma il tentativo di chiarire storicamente ciò che realmente è accaduto si sta rivelando attendibile.

Ciano L’Ombra di Mussolini di Ray Moseley, Mondadori 2000, pagine 336, 9 euro

Aggiornato il 13 dicembre 2022 alle ore 09:24