Autentici ossia individui

Esiste una vita vera che potremmo, dovremmo vivere per essere nella verità della vita? Una vita autentica, esiste la vita non alienata, e chi stabilisce la vita vera? È la vita che ciascuno sente come vera, va bene per la sua soggettività, addirittura con sprezzo o indifferenza alle scelte altrui ma nella differenza e non equiparazione, come se qualsiasi scelta va bene, tutte sullo stesso piano, interscambiabili? Taluni ritengono che l’uomo autentico è colui che oltrepassa la realtà sensibile e pone la questione dell’Essere, del Trascendente, di Dio, oltre la realtà sensibile. Svalutano la storia, svalutano anche la natura, a meno che, storia e natura, non si collochino in una totalità comprendente, l’Essere (che niente condivide con l’essere). L’Essere, maiuscolo, sarebbe un “oltre” l’essere, minuscolo, da investigare, l’Essere, dico, imprecisabile, enigmatico, una sorta di niente che esiste come niente, ma come niente esiste, dunque esiste!

Una assurdità da spanciarsi, giacché se l’essere (minuscolo, ciò che esiste, al dunque) è la totalità non può esservi né trascendente né niente di altro. Sicché l’austero Søren Kierkegaard che rende autentico esclusivamente l’uomo “metafisico”, vagheggia. La metafisica è inconcepibile, in quanto, ripeto, l’essere (ciò che esiste) colma la totalità, e non è concepibile alcunché oltre l’essere (oltre la totalità di ciò che esiste). Per dirla in italiano: Dio o è la realtà, l’essere (la totalità di quanto esiste), ed in tal caso noi saremmo in Dio, (nell’Essere/essere, Dio come Natura, dunque Natura. Quindi essere) o sarebbe oltre l’essere, ma oltre l’essere non vi è esistenza, dunque Dio non ha “luogo” di esistenza (dico, in termini razionali, la fede ha concezioni estranee alla logica).

Martin Heidegger non ebbe la passione metafisica di Kierkrgaard, che si annientava in Dio come nell’infinito possibile, la gigantesca totalità che racchiudeva il singolo e ad un tempo lo sconfinava al di là della “piccola” vicenda storico sociale in cui lo stringeva Hegel. Grandiosa concezione almeno quale “sogno” di infinito (interessantissimo cogliere l’infinito come Dio o come Nulla in Kierkegaard, Leopardi, Nietzsche, vedremo). Martin Heidegger non sentiva questa tragicità, ma non voleva rinunciare al respiro tragico della trascendenza, per mostrarsi sensibile, almeno, alla metafisica, a guardare oltre l’essere. Egli comprende che non è ragionevole affermare l’Essere (in termini ovvi: Dio) ma non rinuncia a sospirare l’oltre essere, una trascendenza che è il Niente. Come accennavo, tale l’argomento del Martino Heidegger: c’è l’essere, la realtà sensibile, ma noi, Lui, ci poniamo, si pone il problema: perché l’essere e non il nulla (in verità la domanda la pone Gottfried Wilhelm von Leibniz, Heidegger la copia)?

Questa domanda, sempre per il Martino Heidegger, oltrepassa il ridurci soltanto all’essere, al nudo prendere atto, e stabilisce … Che stabilisce? Il Niente prima dell’essere! E che sarebbe questo Niente prima dell’essere? Fumo di divinità! I nostalgici della Metafisica riconoscendo l’impossibilità di trascendere l’essere (la totalità esistente) che inventano? Il Niente prima dell’essere! Inconcepibilissimo. Un prima dell’essere è impensabile. Ma Heidegger lo suppone, e quindi avremmo l’oltre essere, la vera metafisica, la metafisica del prima dell’essere, la metafisica del Niente prima dell’essere. Il Niente esiste come Niente. Un equivoco dovuto ad una deliberata confusione. Una faccenda è riconoscere che nulla sappiamo sul come mai esiste l’essere, la realtà, ben altra ritenere esistente il Niente prima dell’essere.Allora, è improponibile la Metafisica?

No. Ma in questi termini: non sappiamo come mai esiste l’essere (Un mio libro ha per titolo: Oltre Dio, Metafisica del Nulla, dove il “nulla” non è il prima dell’essere, assurdità, ma il nulla sapere sul come mai esiste l’essere. La differenza è totale. Domandarsi “prima dell’essere” è inconcepibile, non esiste un “prima”, quindi non possiamo dire: esisteva il Niente, giacchè non esiste la base della domanda, il “prima”. Invece è realistica la domanda: come mai esiste l’essere?Alla quale domanda non sappiamo rispondere , quindi il Nulla sapere, non il Nulla come esistenza del Niente. Per dire anche la infondatezza del quesito di Leibniz. Perché l’essere e non il nulla? Una volta che c’è l’essere la domanda corretta è: come mai l’essere? Nulla sappiamo, dunque: metafisica del nulla (sapere).

Non esiste una teoria convincente sulla autenticità. Qualcuno ritiene che vivere secondo i principi dominanti della propria civiltà è il modo giusto, appropriato di vivere. È una vita autentica quella che vive un medievale secondo i valori della società medievale, un rinascimentale è autentico se vive i valori della società rinascimentale. Ogni epoca ha creato il suo modello, i comportamenti, tutte le pedagogie creano modelli di comportamento e tutti i filosofi sostanzialmente sono dei pedagoghi. Più complesse le soluzioni se ci distanziamo dalla storia storicizzata, le religioni pongono modelli soprastorici e soprannaturalistici (l’origine, l’Aldilà) ma rientrano nella Storia, giacché ogni epoca inventa variazioni. Allora, non vi è una autenticità assoluta? Non vi è.

Siamo autentici quando quel che vogliamo lo sentiamo e facciamo quel che sentiamo e vogliamo. Vuoi quel che fai e vuoi quel che senti. L’unità tra sentire pensare e volere e fare ci rende autentici. Un omicida che vuole e sente di uccidere è autentico, ma è autentico altrettanto chi gli impedisce di uccidere e avversa gli omicidi. Ciascuno di noi è autentico nel fare e sente e vuole ma gli altri possono apprezzare o negare secondo la personale autenticità. Non deve, non dovrebbe esistere una autenticità imposta, esiste una diversità di orientamenti che finisce con il determinare una convergenza, ma senza la pretesa di stabilire il comportamento autentico, vero, eccellente, dall’esterno, occorre consentire spazi estesi alla soggettività relativistica ma non indifferenziata.

Relativistica ma non indifferenziata. Altro è il relativismo, altro l’indifferenziato. Il relativista crede vere le sue opinioni e le difende, per l’indifferenziato l’uno vale l’altro. Per dire: il relativista può sostenere che in Italia preferisce vi siano italiani in maggior numero che stranieri, l’indifferenziato è indifferente, appunto. Per il relativista, che ci tiene alla personale opinione, all’opinione relativa a se stesso, personale, preferibile mangiare carne naturale non sintetica, l’indifferenziato è indifferente, mettetegli le due carni e le ingoia entrambe. Se l’Europa si salverà ciò avverrà per la soggettività relativistica che esalta la preferenzialità personale, l’arbitrio, io giudico da me.

L’autenticità imposta delle società totalizzanti si coniuga con l’indifferenziazione delle società di massa democratiche, il singolo che si totalitarizza fondendo questo e quello. No. Questo o quello, sì e no, accettare e non accettare, io e tu non “iotu”. Ah, come respiro quando sento quel che faccio e lo voglio! Come sono me stesso! Come apprezzo gli altri quando ciascuno è se stesso. Che bella società con tanti Io! Non accettare, condannare, anche, accettare. Ma che ciascun io sia un io. Che strano, tanti Io ma creiamo la società! Lascità dei tanti Io!

Vedete quell’ombra? Come non vederla, scurissima, atterra, si allarga nelle città, invade regioni e borghi, penetra nelle nazioni, naviga sui mari, si incima nei monti, colma i deserti, afferra i continenti, strangola gli individui, uno ad uno, non vuole individui, ecco, li ammonticchia, li stringe, li ammassa, li impostigli, un mescolume informe umanidale, impasto di postuomo, né carne, né pesce, né lisca, né ossa, molloide, tritato, un tocco di pollice e diventa quale vuoi. Io, tu, lui, uno, uno, uno, ciascuno, insieme ma ciascuno, individui, insieme ma individui, non vinceranno. L’esercito degli individui! Autentici. Singolarmente.

Aggiornato il 20 novembre 2022 alle ore 15:59