Il Crocifisso di Munster viene rimosso dalla Friedensaal del Municipio di Westfalia in occasione della conferenza sulla pace dei ministri degli Esteri del 3 e 4 novembre scorso. In Europa si litiga su tutto, ma sul Crocifisso l’accordo è totale: non va accolto. È così, nel luogo dove si pose fine alla guerra di religione nel 1648, si sancisce sbrigativamente l’esilio di quel che venne riconosciuto come fondamento della pace in Europa.
La rimozione del Crocifisso di Münster
I ministri degli Esteri del G7 (Germania, Francia, Italia, Giappone, Canada, Usa e Gran Bretagna) si sono incontrati nei giorni 3 e 4 novembre 2022 nella Città di Münster della Westfalia per una conferenza sulla pace organizzata dal Ministero Federale degli Esteri sotto la presidenza della ministra tedesca Annalena Baerbock, esponente del partito dei Grünen. L’incontro è avvenuto nella Friedenssaal dello storico municipio di Münster ove vennero siglati i Trattati di Westfalia che misero fine nel 1648 alla trentennale guerra di religione tra protestanti e cattolici consumatasi in larga parte dell’Europa. Il carattere simbolico della Friedenssaal dal punto di vista religioso è evidenziato dalla sporgenza nella sala di una parete rivestita di legno ove è situato un grande Crocifisso, il Ratskreuz del XVI secolo. Innanzi alla venerabile icona furono siglati i Trattati di pace del 1648. Ancora oggi gli eletti al Consiglio della Città, prima di assumere le funzioni di Consiglieri, prestano giuramento innanzi a questo Crocifisso, di inestimabile valore religioso e storico.
In occasione dell’incontro dei ministri degli Esteri del G7 il Crocifisso è stato rimosso. Il quotidiano tedesco Die Welt ha riportato in un primo momento tale notizia riferendo quanto dichiarato dal portavoce della Città di Münster, che la rimozione era stata richiesta dalla ministra in persona. La notizia è stata successivamente corretta. Alle critiche di alcuni deputati dei partiti cristiani Cdu e Csu ha fatto seguito una dichiarazione del Ministero degli Esteri, sulla circostanza che non era stato il desiderio della ministra a provocare la rimozione. La decisione non avrebbe avuto alcuna rilevanza politica, poiché era stata decisa dalla Divisione-protocollo del ministero previo accordo con la Città di Münster. Annalena Baerbock nel pomeriggio del 4 novembre ha soggiunto di aver appreso della rimozione allorché aveva fatto ingresso in mattinata nella Friedenssaal: “Il Crocifisso è anche parte della storia del luogo, perciò avrebbe anche potuto rimanerci”.
L’offesa al patrimonio religioso e culturale dell’Europa
L’episodio si rileva come segno della tendenza sempre più accentuata di cancellare dal territorio europeo i simboli cristiani e, in specie, la Croce su cui Nostro Signore Gesù Cristo è morto per riconciliare al Padre gli uomini e le donne di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Con la sua precisazione – non priva di ambiguità, poiché il sindaco di Münster Markus Lewe ha dichiarato: “Questa decisione non avrebbe dovuto essere presa e me ne rammarico” – la ministra ha inteso togliere rilievo politico al gesto. La ragione per cui ella ha dichiarato che il Crocifisso avrebbe potuto anche restare nella Friedenssaal – cioè che quell’icona costituisce una parte della storia del luogo – rivela anzitutto il suo ateismo: ella, allo stesso modo del cancelliere tedesco e del ministro dell’Economia, ha prestato giuramento, assumendo l’incarico di ministro, omettendo il richiamo a Dio presente nella formula prescritta dalla legge tedesca.
Ma la precisazione fatta mostra soprattutto la sua incomprensione profonda in ordine al significato degli eventi storici. Ella ha dichiarato che il Crocifisso avrebbe potuto rimanere nella Friedenssaal perché fa parte della storia del luogo, trascurando con ciò di ricordare che tutti gli eventi storici sono costituiti non soltanto da un supporto fisico-materiale, bensì soprattutto da un significato spirituale, che illumina di luce razionale il fine per cui gli uomini hanno tenuto determinate condotte. Il Crocifisso di Münster, nonché la sottoscrizione innanzi a esso dei Trattati di pace non sono un fatto storico muto che fa parte soltanto della storia di un luogo, ma costituiscono il patrimonio, anche culturale, che la generazione che stipulò la pace trasmise alla seguente, e così via, generazione per generazione. L’atto di trasmissione non è puramente meccanico, giacché incorpora il valore spirituale inerente agli atti compiuti dai protagonisti della pace del 1648.
La storia non è soltanto il passato, come sembra ritenere Annalena Baerbock. All’evento del 1648, celebrato innanzi al Crocifisso, ella amputa il valore spirituale che gli uomini dell’epoca ad esso assegnarono. Tale valore spirituale è il principio costitutivo concreto di una civiltà, di una società, di una nazione. Si tratta di ciò che rende possibile il progresso, l’educazione, la stessa vita della cultura, come vita di creazione e di assimilazione di un patrimonio realizzato dall’umanità. La trasmissione del valore spirituale sintetizza lo statuto concreto dell’uomo come spirito incarnato che vive nel tempo. La rimozione del Crocifisso dalla Friedenssaal – indipendentemente da chi ne sia stato l’autore materiale – costituisce un atto simbolico espressivo del rigetto del patrimonio spirituale comune ai popoli europei.
Il rancore contro lo statuto ontologico integrale dell’uomo, spirito incarnato
L’uomo è anche un ente spirituale, composto indissolubilmente di anima e di corpo. La sua spiritualità suscita in lui l’energia di superare i suoi limiti fisici e psicologici nella ricerca dell’essere, del bene e dell’unità. Questi beni costituiscono obiettivamente la dimensione che perfeziona in modo specifico la natura umana. La rimozione dei simboli religiosi – o la loro devastazione o imbrattamento, come accade sempre più spesso in Europa e nell’America del Nord – esprime, pertanto, un vero e proprio rancore contro la natura della persona e contro la sua tendenza intrinseca all’autotrascendimento e al perfezionamento della sua natura in Dio creatore e provvidente.
Quindi i gesti del tipo di quelli di Münster offendono la persona umana e il suo diritto alla libertà religiosa. Essa non consiste infatti soltanto nell’immunità dalla coercizione ad essere forzato ad agire secondo la coscienza, ma anche nella libertà positiva di proporre pubblicamente la fede, perché “le moltitudini hanno il diritto di conoscere le ricchezze del mistero di Cristo”. La cosiddetta Cancel culture della memoria religiosa e, in specie, della memoria dei popoli che hanno visto la nascita della loro civiltà sul fondamento della fede religiosa, costituisce anche una grave aggressione al diritto alla libertà religiosa, che “è la premessa e la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone e dei popoli”.
La sfida a Dio onnipotente
Né va dimenticato, infine e soprattutto, che per i cristiani la cancellazione di simboli religiosi e, in particolare, dell’icona di Nostro Signore Gesù Cristo che riconcilia gli uomini al Padre con il sacrificio della Croce, costituisce anche espressione di quel “Non serviam”, che fu pronunciato dall’Arcangelo ribelle nel tempo misterioso precedente alla creazione del mondo degli uomini. Il “Non serviam” si è ripetuto innumerevoli volte nella storia; oggi sembra essersi eretto come principio cardine della cancel culture, che intende strappar via la prima Tavola del Decalogo, in cui è scritto ciò che Dio per bocca di Mosè disse a Israele riunito in assemblea: “Io sono il Signore, tuo Dio… non avere altri dei di fronte a me”. Questa sfida rischia di far scomparire la nostra civiltà secondo l’ammonimento di Giambattista Vico nella Scienza Nuova, per cui tutte le nazioni sorsero e tutte si conservano o si distruggono a seconda che in esse siano venerate la religione, il matrimonio, e la tradizione.
(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino
Aggiornato il 15 novembre 2022 alle ore 10:26