Il caso israeliano della genitorialità indefinibile

Quando gli errori della procreazione medicalmente assistita denunciano gli orrori dell’uomo ridotto a cosa.

Da Israele è giunta la notizia tramite i consueti canali stampa secondo cui una coppia che ha fatto ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) ha scoperto che il feto non è geneticamente compatibile con loro stessi, dando vita ad un caso che da diversi giorni sta facendo discutere tutto il Paese intorno al seguente interrogativo: di chi è il figlio concepito?

In breve la vicenda.

Una coppia con problemi procreativi si è rivolta al reparto specifico dell’ospedale Assuta di Rishion Letzion per accedere alle tecniche di Pma che l’ordinamento israeliano consente, con copertura pubblica delle spese ad esse relative, perfino con fecondazione eterologa tramite donazione di ovociti.

La donna, dopo l’impianto dell’embrione, intanto, ha intrapreso la gravidanza e – successivamente a dei controlli – ha scoperto che né lei né il marito avevano un collegamento genetico con il feto poiché il Dna era del tutto differente.

In seguito a questa scoperta è stata nominata una commissione d’indagine da parte del ministero della Sanità di Tel Aviv che aveva nel frattempo individuato altri due probabili genitori con cui il feto, tuttavia, non risultava neanche realmente compatibile.

Intanto, la donna in attesa ha cominciato a rivendicare il figlio di imminente nascita come suo, invocando l’applicazione analogica della disciplina israeliana che consente la maternità surrogata purché vi sia un consenso espresso e scritto da parte di colei che mette a disposizione l’utero.

Per la risoluzione del caso è stato adito il Tribunale che ha a sua volta disposto nell’interesse del feto un nuovo test del Dna per stabilire chi siano realmente i genitori biologici del feto dato che quest’ultimo ha il diritto di conoscere un giorno le proprie origini naturali, anche per finalità mediche a tutela della sua stessa salute.

L’intera vicenda, che ovviamente non si è ancora conclusa, si offre quale occasione per alcune brevi riflessioni di carattere bio-giuridico.

In primo luogo: emerge con tutta evidenza l’insufficienza dell’autoreferenzialità del possibilismo tecnicistico che oggi consente di manipolare lo status personale attraverso le metodiche di procreazione medicalmente assistita le quali, proprio come tali, non sono e non possono essere considerate esenti da difetti o errori.

Gli errori, però, commessi sull’esistenza degli esseri umani, a discapito dei loro diritti, in violazione frontale della loro dignità in quanto reificati, non possono essere considerati semplicemente dei banali errori, come quando un meccanico ripara il freno destro invece del freno sinistro, ma dei veri e propri orrori che rivelano il lato oscuro della tecnica contemporanea poiché, come ha precisato Nikolaj Berdjaev, “la macchina storpia l’uomo e vuole plasmarlo a sua immagine e somiglianza”.

In secondo luogo: dalla vicenda israeliana si evince quanto pericolose siano o possano essere le tecniche di procreazione medicalmente assistita per la definizione dell’identità del nuovo soggetto umano, e ciò in almeno due sensi.

In senso stretto, poiché appunto rimane l’incertezza sull’origine biologica del nuovo essere umano che viene alla luce con possibile pregiudizio, un giorno, perfino della sua stessa salute; in senso lato, poiché il nascituro viene ordinato, trattato, rivendicato, trattenuto, alienato, ceduto, ripreso, conteso come fosse una mera “res” e non già un soggetto umano munito di una sua propria e specifica, inalienabile e inviolabile dignità.

Tutto ciò dovrebbe condurre ad una riflessione non soltanto sulla eticità e giuridicità intrinseche delle suddette tecniche di Pma, quanto soprattutto alla necessità che esse siano disciplinate giuridicamente e nel modo più stringente possibile, per esempio con il divieto di fecondazione eterologa (come appunto aveva previsto il legislatore italiano tramite la legge 40/2004 poi travolta dalle diverse stratificazioni delle pronunce della Corte Costituzionale che in questo caso ha deciso di seguire più il proprio “istinto sociale” che la propria “prudentia iuris”) o con il divieto di maternità surrogata.

In terzo luogo: la vicenda israeliana rivela un ultimo profilo problematico, per non dire giuridicamente tragico, cioè lo smembramento del concetto di genitorialità che proprio a causa delle tecniche di Pma rischia di depauperare il senso giuridico dello status familiare e soggettivo.

Tramite le tecniche di Pma e la maternità surrogata, infatti, la genitorialità invece di esprimere un centro in relazione ad un ruolo – quello genitoriale appunto – su cui si insediano per natura specifici diritti e soprattutto precisi doveri, diventa una adespotizzata – e adespotizzante – periferia giuridica in cui chiunque, o nessuno perfino, può rivendicare con un semplice consenso o dissenso la presa in carico o meno della nuova esistenza del nascituro, come se si trattasse di un qualunque bene o servizio di natura patrimoniale in relazione alla natura del quale è indifferente chi ne rivendica la titolarità legittima.

Dinnanzi a questi scenari si evince come la lesione della dignità del nascituro, che queste tecniche sempre più spesso rivelano, comporta inevitabilmente la lesione anche della realtà del diritto, causando ciò, una conseguente lesione di quel tessuto coesistenziale che, invece, dovrebbe essere garanzia di solidarietà e giustizia nell’alveo di un ordinamento di un autentico Stato di diritto. Cioè quello Stato in cui il diritto è strutturale limite, e non già catalizzatore, dell’arbitrio e della violenza, anche se questi ultimi sono soltanto ancora alla fase della semplice “provetta”.

Occorre, dunque, in conclusione, essere sempre giuridicamente vigili affinché la dimensione tecnica non prenda il sopravvento sulla dimensione giuridica annullando i diritti e i doveri che essa contempla ed esige e che, proprio per questo, rappresenta l’unico vero presidio di garanzia per l’umanità già data ad esistenza e per quella ancor più fragile, e quindi ancor più meritevole di tutela, che è da darsi nella figura del nascituro.

(*) Tratto dal Centro Studi Rosario Livatino

Aggiornato il 03 novembre 2022 alle ore 15:12