1268 giorni in carcere da innocente, nessun risarcimento

Si possono invocare i massimi sistemi, pronunciare nobili e appassionati discorsi, una quantità di assicurazioni e promesse… Alla fine della fiera, un fatto è un fatto; e sono i fatti che anche nel mondo della Giustizia valgono. Un fatto concreto è che la destra non liberale, anche nel campo della giustizia, fa la destra non liberale. Non è una notizia, non c’è da stupirsene. Sarebbe una notizia, ci sarebbe da stupirsene facesse il contrario. Il Governo Meloni fa quello che ha sempre detto di voler fare. Chi non l’ha capito, la prossima volta presti maggiore attenzione. Chi a suo tempo poteva fare altro e non l’ha fatto, ecco è quella parte politica che dovrebbe spiegare e magari anche chiedere scusa.

Un “fatto” molto concreto è che secondo la Procura generale, IV Sezione della Corte di Cassazione, ritiene che si possa trascorrere 1.268 giorni, cioè circa 168 settimane, ovvero circa 42 mesi, insomma quasi quattro anni, accusati di omicidio, risultare innocenti, e non aver diritto ad un centesimo di risarcimento. Questo perché ci si è avvalsi della facoltà di non rispondere. Ormai sembra acquisito che non sia il Pubblico ministero che deve provare la colpevolezza di una persona, ma è l’inquisito che deve dimostrare la sua innocenza.

I fatti risalgono al gennaio del 1987. Un signore di cui si omette il nome perché ha avuto anche troppa pubblicità negativa, è accusato del delitto di una ragazza; viene assolto, ma non ha diritto a un risarcimento di 300mila euro per l’ingiusta detenzione (e già qui: ogni giorno di detenzione vale meno di 25 euro), perché “con i suoi silenzi avrebbe contribuito all’errore della sua carcerazione”.

Qui sarebbe legittimo attendersi una sorta di rivolta da parte dei giuristi e degli studiosi del diritto: a nostra insaputa è stato abolito il diritto dell’indagato di potersi avvalere della facoltà di non rispondere? Esiste una norma secondo la quale chi per qualsivoglia ragione decide di tacere, non ha diritto a una riparazione pecuniaria nel caso risulti estraneo alle accuse che gli sono mosse e comunque patisce una ingiusta detenzione? La IV Sezione della Cassazione ritiene che “la condotta mendace” dell’imputato negli interrogatori (avvalersi della facoltà di non rispondere secondo questo nuovo diritto equivale a mendacio) costituisca “condotta fortemente equivoca”, tale da creare concorso nell’errore. Così, per questo forte “equivoco”, in primo grado la condanna all’ergastolo; in Appello e Cassazione assoluzione. In attesa che l’iter si esaurisse, in carcere.

Dopo la condanna in primo grado, l’assoluzione da parte della Corte d’assise d’appello di Milano. Nelle motivazioni si parla di “vero e proprio deserto probatorio”. Come si possa in primo grado condannare una persona al fine pena mai, poi in un successivo processo stabilire che quella condanna si basa su un “vero e proprio deserto probatorio”, è cosa che dovrebbe incuriosire il ministro della Giustizia, il Consiglio superiore della magistratura, l’Associazione nazionale dei magistrati; che questa curiosità non l’abbia un senatore o un deputato, e l’abbia trasformata in almeno un’interrogazione scritta per avere chiarimento e spiegazione, fa pensare.

Questa la situazione, questi i fatti

Aggiornato il 02 novembre 2022 alle ore 10:55