Negli ultimi dieci anni sono quadruplicati: il primo censimento dell’Istat risale al 2021 quando i senzatetto italiani sono stati quantificati in 500mila. Ma è un popolo invisibile, per cui il numero degli sfortunati, dei deboli, degli abbandonati in cerca di un riparo è sicuramente più alto. Anche in Europa il fenomeno è in aumento: su 512 milioni di cittadini europei, 700mila persone ogni notte cercano un alloggio. Crisi economica, perdita del lavoro, emergenza abitativa, divorzio, disturbi psichici sono tra le principali cause. Le associazioni preposte agli aiuti segnalano anche la tendenza a scelte di vita estreme, che sempre più portano una quota dell’umanità a vivere sotto un cielo di stelle. Giovani, donne, non solo gli antichi clochard delle libere vite estetiche. Un salto all’indietro nella notte dei tempi: dai nomadi e camminatori dei primordi a una società che ha edificato città, metropoli e ora si trova a fare i conti con le emergenze abitative e la crescente povertà.

Il fenomeno ha svariate componenti e categorie, ma qui ci vogliamo occupare degli “homeless”, cioè di coloro che per scelta o per emergenza vivono senza casa. Con un termine spicciolo erano definiti “i barboni”, perché erano per lo più uomini, di età superiore ai 40, che avendo perso lavoro e famiglia, oppure erano scivolati nel disagio psicologico, finivano a dormire in strada. E la prima cosa che saltava era la cura del corpo, la possibilità di lavarsi regolarmente. Ma stranieri a parte, che rappresentano un’emergenza nell’emergenza, oggi vicino alle stazioni, sotto i portici, nei giardini troviamo un popolo assai più variegato, a cui si sono aggiunti giovani sbandati, donne sole, non raramente padri e madri disoccupati con figli. Sui lungotevere di Roma si è costituito un villaggio nella Città Eterna di precarissimi, attrezzati con casette di cartone, dove però violenza e indigenza tratteggiano spesso il male di queste esistenze.

Le città più colpite sono Milano (12mila), Roma (8mila), Palermo (3mila), Firenze e Torino (1.900). Ma il dilagare degli homeless è una questione mondiale, che dai paesi poveri e sottosviluppati si va estendendo alle aree più industrializzate. Al punto che l’artista californiano Jim Hager, nativo di Oakland (San Francisco) ma italiano di adozione (viene regolarmente in Italia dagli anni Settanta e ha stabilito il suo studio di scultore a Pietrasanta), ha dedicato al tema un’esposizione che racconta la condizione più estrema dell’uomo moderno. Perché “un uomo se perde la casa perde la civiltà”. La civiltà umana è quel percorso che inizia dall’alba della vita alla trasformazione di essa, con tutte le contraddizioni e le evoluzioni del caso.

La mostra di Jim Hager alla Sala delle Grasce di Pietrasanta, in Toscana, si intitola appunto Homeless. L’esposizione, che trasfonde sul marmo bianco di Carrara la lievità del cartone, degli stracci, delle coperte di fortuna, le rughe e la sofferenza dei senzatetto incrociati da questo singolare artista, è pronta a salpare nelle città italiane per dare testimonianza e narrare una storia odierna. Perché Jim Hager, americano innamorato dell’Italia, ha voluto creare un ponte tra la sua California e il nostro paese cogliendo il filo del disagio che, di qua e di là dell’oceano, ha creato questo popolo mondiale, “i nuovi homeless”.

Negli ultimi dieci anni anche la Silicon Valley da fucina di nuova occupazione della new economy si è trasformata in un cimitero di disoccupati, in cui tantissimi perdendo il lavoro hanno perso al tempo stesso l’abitazione e il decoro. Quindi, California come Italia e Milano, Roma, Firenze come San Francisco e Oakland, dove ogni notte le tende aumentano e un numero crescente di persone si trovano a sperimentare quell’esistenza “on the road” che sembrava appannaggio degli irregolari descritti nel 1951 da Jacques Kerouac nel suo romanzo autobiografico.

Lo scalpello di Jim Hager ha colto l’urlo di questi diseredati mondiali, piegando il marmo a cartone rigato, a pezze di stoffa raggrinzita, a volti solcati e scavati delle opere principali. Poi nelle diciannove iscrizioni lo scultore ha inciso frasi che sanciscono l’orgoglio ferito, il dolore, la preghiera, il pianto e il sorriso in espressioni simboliche ed evocative: I want you to care (prenditi cura di me), I get scared (mi spavento, ho paura), I am your neighbor (sono il tuo vicino), I need some help (ho bisogno di qualche aiuto) fino all’apoteosi I am human (io sono umano).

“Oggi negli Stati Uniti ci sono più mezzo milione di senzatetto e sono in aumento”, spiega Jim Hager, citando dati del Dipartimento Usa per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano e dunque costituendo un parallelo nella geografica sociale universale di fronte “all’emergenza casa” di milioni di individui. “Il problema mi ha così colpito che ho voluto documentarlo e la durezza del marmo mi è sembrata ideale per arrivare agli animi e testimoniare una sofferenza che non possiamo sfuggire”.

Al lavoro di Hager si è unita anche la macchina da presa di Paola Tazzini, che ha corredato l’esposizione delle sculture con una carrellata di scatti fotografici puntati sui volti, sugli sguardi, sullo spaccato di uomini e donne che a cielo aperto affrontano ogni giorno e ogni notte la fatica di vivere. Il sospiro dei marmi di Hager e le immagini penetranti di Paola Tazzini, oltre a un video-documentario, sono la narrazione di una denuncia attuale per sconfiggere l’indifferenza, testimoniare e informare. Le associazioni italiane che operano nel settore segnalano che “dare una casa e assicurare la sopravvivenza” è la sfida della modernità, nonostante il balzo tecnologico in cui siamo immersi. Una questione umana irrinunciabile che, per dirla con i versi di Sandro Penna, riguarda quegli ultimi che chiedono Io vorrei vivere addormentato, entro il dolce rumore della vita”.

Aggiornato il 03 novembre 2022 alle ore 09:42