Una donna al vertice di un sindacato di Carabinieri

Il Nuovo sindacato carabinieri, conosciuto anche come Nsc, è una delle prime associazioni professionali a carattere sindacale nate nell’Arma e in generale nelle Forze Armate: una novità storica nell’ambiente militare legato a tradizioni secolari ed una piramide gerarchica nettissima, in cui, spesso, chi rivendicava diritti veniva visto come una mosca bianca. La recente riforma ha, però, permesso la creazione di figure di rappresentanza molto simili a quelle dei sindacati definiti “civili” ovvero rappresentanti di lavoratori non militari.

Il Nuovo sindacato carabinieri è l’unico nell’Arma ad avere una donna presidente e anche lei, come tutte le persone all’interno di Nsc, è un’appartenente all’Arma. Lei, di origine toscana, è tra i fondatori di Nsc ed è una donna determinata, consapevole del ruolo che ricopre. L’abbiamo contattata e, per “LOpinione”, ha deciso di rilasciare questa intervista.

Presidente Monica Giorgi, grazie per aver accettato il nostro invito a rilasciare questa intervista. Qualche tempo fa sembrava impossibile che nell’Arma dei carabinieri nascesse un sindacato e, per giunta, guidato da una donna. Un evento storico?

Sì, la possibilità di fondare delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari è stata una svolta epocale per chi indossa le stellette, avvenuta grazie alla sentenza numero 120/2018 della Corte costituzionale. Ci tengo a precisare che con questa sentenza non ci è stato regalato nulla: è emerso semplicemente che per oltre quarant’anni cè stato compresso un diritto. Attualmente, i poteri che hanno i sindacati militari, per quanto limitati rispetto a quelli di un sindacato “civile”, sono comunque fondamentali: finalmente ci è stato concesso il diritto di parlare, di protestare, di obiettare. E questo nonostante nel codice penale militare di pace esistano reati “al limite” in tal senso. A oggi, il Nuovo sindacato carabinieri non si è mai tirato indietro quando c’è stato da farlo su alcuni argomenti. Se ci pensa, fino a qualche anno fa, quando mai si è visto un carabiniere rivolgersi alla stampa per dire cosa gli va bene e cosa non gli va bene? A un poliziotto questo sicuramente sembra poco, ma per i militari e per i carabinieri le assicuro che questo è già molto, perché avere la possibilità di accendere i riflettori su una possibile ingiustizia vuol dire davvero tanto.

Siete stati accolti favorevolmente nell’ambiente militare oppure siete stati osteggiati?

Sicuramente abbiamo costituito una grossa novità e in tal senso sarei ipocrita se negassi che, ancora oggi, c’è un po’ di diffidenza. Accogliere una realtà come quella sindacale, in ambito militare, significa introdurvi una componente culturale diversa. Il nostro è un ambiente in cui, fino al nostro arrivo, non era mai esistita una controparte del datore di lavoro. Inoltre, non dimentichiamoci che la possibilità di costituirci come sindacati, cioè come associazioni private di militari, è stata innanzitutto un adempimento imposto dalla sentenza numero 120/2018 della Corte costituzionale e poi un adempimento politico, ma non una decisione interna alle Forze Armate: fino a quel giorno tra la stragrande maggioranza dei militari, soprattutto ai vertici, era socialmente condiviso e culturalmente radicato il principio secondo il quale un sindacato militare sarebbe potuto essere non solo inutile, ma addirittura dannoso per il raggiungimento degli scopi organizzativi e operativi delle Forze Armate. Queste considerazioni non sono non molto distanti da quelle che fino al 2000 hanno riguardato un altro grande cambiamento avvenuto nelle Forze Armate, ovvero l’ingresso del personale femminile. Di per sé, nella stragrande maggioranza degli ambienti lavorativi vi è sempre un po’ di resistenza al cambiamento, figuriamoci pertanto se ciò non accade in un ambiente solidamente gerarchizzato come il nostro. Ma siamo fiduciosi, perché questo processo ormai è inarrestabile.

Quali sono le difficoltà maggiori che avete nel vostro ruolo di rappresentanza?

Attualmente, le nostre difficoltà riguardano soprattutto il tempo a disposizione da dedicare all’attività sindacale: sebbene quest’anno sia entrata in vigore la legge che regola il funzionamento dei sindacati militari, la numero 46/2022, di fatto non sono ancora validi tutti i relativi decreti attuativi, tra cui quelli inerenti i così detti “permessi sindacali”, prerogativa necessaria per garantire l’effettivo espletamento dell’attività sindacale. In pratica, dal 2019, svolgiamo una attività sindacale rigorosamente libera dal servizio, quasi sempre in licenza, ovvero in ferie, oppure a riposo, con il grande conseguente sacrificio delle nostre famiglie e del nostro tempo libero.

Qualche giorno fa avete tenuto un evento in diretta streaming dedicato al “mobbing nelle forze armate”. È ancora un tema che molti vorrebbero omettere di trattare?

È senza dubbio un tema tanto forte quanto attuale, attorno al quale c’è un grande silenzio, forse da alcuni ritenuto strategico. Ormai da diverso tempo ci dedichiamo all’ascolto dei colleghi e all’osservazione delle dinamiche di lavoro: tuttavia, ci siamo resi conto della necessità di avvalerci di professionisti che possano aiutarci in questo difficile ma importantissimo compito. E anche al preziosissimo dottor Enzo Cordaro, intervistato on-line qualche giorno fa dal vicepresidente di Nsc, Costantino Fiori, abbiamo chiesto di aiutarci a dare una mano ai nostri colleghi.

Le gerarchie dell’Arma dei carabinieri, quelle del ministero della Difesa, con quale atteggiamento vedono il vostro operato?

Se devo essere sincera, a me interessa soprattutto sapere con quale atteggiamento vedono il nostro operato i miei colleghi, più che le gerarchie, perché per quanto mi riguarda al primo posto ci sono loro: mi sono lanciata in questa “avventura” per rappresentare gli interessi dei nostri iscritti, tutelare i loro diritti e cercare, per quanto possibile, di migliorare la qualità della loro vita lavorativa. E l’ho vissuta da subito come la naturale “estensione” di quella che dovrebbe essere la “vocazione” di chi svolge la mia professione: aiutare coloro che sono prevaricati nel diritto.

Ha la possibilità di lanciare un messaggio alle donne e agli uomini che vestono la divisa dell’Arma dei carabinieri: cosa gli direbbe per fargli capire l’importanza della rappresentanza sindacale?

Lottare per i propri diritti (che non significa sottrarsi ai propri doveri), sentirsi più tutelati, può anche cambiare la percezione della propria qualità della vita. Ritengo sia un’azione che può avere effetti su molti più campi di quelli che si possono immaginare. Leggi come quella entrata in vigore quest’anno per i sindacati militari possono permettere di cambiare non solo le teste, ma anche il modo in cui si riproducono quei rapporti di potere nei quali, magari, vi sono stati degli abusi, a discapito di chi in quel momento si trovava non tutelato e in condizione di inferiorità. Possono farci riflettere e pensare che quella, forse, non è l’unica strada possibile. In più, i sindacati militari “possono fare gruppo”: il sistema sanzionatorio nella disciplina militare è fondamentalmente congegnato sulla repressione del singolo, pertanto un gruppo, soprattutto come lo è Nsc, diventa difficile da schiacciare. E non parliamo di azioni volte a ottenere dei favori, parliamo di azioni mirate a ottenere dei diritti. I diritti, più il gruppo, sono alla lunga pressoché invincibili. Iscrivetevi e uscite dalla logica di fare le cose solo per un tornaconto di convenienza: migliorare la qualità della vostra vita lavorativa non può dipendere solo da un egoistico opportunismo. E tutelare i propri diritti può voler dire guadagnare la libertà.

Aggiornato il 17 ottobre 2022 alle ore 10:51