Febbre alta per l’informazione

Il termometro dell’informazione italiana segnala livelli negativi preoccupanti. Un trend che si sta trascinando da alcuni anni. Basti osservare l’andamento delle vendite cartacee e digitali sulla base dei dati dell’agenzia specializzata Ads. Nel 2020 erano 1.274.000 copie vendute nel mese di luglio, scese a 1.177.000 l’anno successivo e a poco più di un milione e 100mila quest’anno. Cosa sta succedendo nell’editoria? Sembrava ormai lontanissima la crisi degli anni Sessanta-Settanta con la ripresa spinta dalla legge sull’editoria del 1981 che ha consentito una ventina di anni virtuosi. Il problema è che si stanno perdendo circa 130mila copie all’anno. Se il trend continua così tra una decina di anni non ci saranno in edicola più copie cartacee.

Dall’analisi della diffusione e vendita dei quotidiani, anticipata dal magazine Primeonline, risulta un calo continuo di quasi tutti i quotidiani nonostante una piccola ripresa nel mese di luglio su quello di giugno. Rispetto però al luglio 2021 è un disastro. Anzi un dramma al quale né editoriGoverno sembrano in grado di porre rimedio. Per quanto riguarda poi i giornalisti le responsabilità di una errata gestione della Fnsi ha causato un’inefficace azione di difesa della categoria, costretta a svolgere un ruolo secondario nel sistema dell’editoria. Il disastro si è concluso con la scomparsa dell’Istituto di previdenza (Inpgi) incorporato all’Inps con tutti i debiti ma anche con tutto il patrimonio edilizio e gli investimenti.

Si avvicina, inoltre, a febbraio il Congresso di Levico terme. Sia il presidente Giuseppe Giulietti che il segretario Raffaele Lorusso terminano i due mandati previsti dallo statuto. Le trattative sono già in corso per i nuovi vertici, ma i meccanismi elettorali sono tali che difficilmente la maggioranza che ha guidato per decenni tutti gli organismi sindacali sarà sconfitta come avvenne al Congresso di Pugnochiuso sotto la spinta dell’Associazione stampa romana guidata da Arturo Diaconale, Guido Paglia, Giuliana Del Bufalo, Gilberto Evangelisti, Guglielmo Moretti, Giorgio Santerini, Marco Volpati, Maurizio Andreolo. Gruppo al quale si aggiunse al Congresso di Pescara Walter Tobagi, ucciso nel 1980 dalle Brigate rosse. In questi ultimi giorni prima delle elezioni politiche del 25 settembre l’informazione è sottoposta a fibrillazioni di ogni genere: dal dossier Usa sui soldi russi ai partiti dei paesi occidentali, ai legami di alcune imprese italiane con la Cina, da alcuni paladini delle “fake news” ai retroscena della crisi energetica (sistema di calcolo di Amsterdam, tasse extraprofitti).

I paradossi delle informazioni e delle comunicazioni esplodono poi nei tanti programmi di approfondimento dei vari canali (tre Rai, tre Mediaset, La 7, tivù private, radio). Gli scenari sono incerti e confusi. Cresce nell’opinione pubblica la sfiducia tanto che negli ultimi sondaggi non andrebbero alle urne oltre 12 milioni di italiani aventi diritto e già nei collegi all’estero sono emerse operazioni poco chiare. L’informazione italiana, soprattutto dei grandi quotidiani, non aiuta a fare chiarezza. Secondo alcuni osservatori la virulenza di alcune inchieste di Repubblica ha portato l’allora “giornale-partito” di Eugenio Scalfari a perdere decine di miglia di copie. Secondo i dati Ads riferiti alle vendite di luglio il Corriere della sera si attesta intorno alle 265mila copie, Repubblica supera appena le 140mila e La Stampa è scesa sotto le 100mila copie. Per l’editoria italiana (comprese le edicole che si reggono ormai in prevalenza con la vendita di giornaletti e giochi per bambini) occorre una cura ricostituente.

Aggiornato il 18 settembre 2022 alle ore 13:05