“Riforma sì, ma anche investimenti”

L’avvocato Antonino Galletti, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, inizia la nostra conversazione con una battuta che denota una buona dosa di umorismo pragmatico: “Sul tema della giustizia tutti i nostri politici mi sembra che siano un po’ rassegnati… come il traffico a Roma, non ci provano neanche più a combatterlo!”. Rido, di una risata amara.

Avvocato, secondo lei perché si è arrivati a questo punto?

Perché non c’è la reale volontà di destinare i soldi necessari per far funzionare il sistema giustizia. Sistema che è un apparato complesso, che ha necessità di uomini, mezzi e infrastrutture edilizie e tecnologiche per poter funzionare. Lo Stato italiano investe troppo poco: investe meno di quanto la giustizia produce come utile per lo Stato. Le somme che i cittadini e gli avvocati versano, per esempio, per le marche da bollo ed i contributi unificati, non vengono destinate per intero al comparto giustizia. Ad agosto a Roma ci sono state delle polemiche relative alla decisione, da parte del presidente del tribunale, di sospendere per sei mesi le assegnazioni delle udienze collegiali provenienti dal gip. Quel provvedimento, per quanto contestabile, fotografa una situazione comune in tutta Italia: la mancanza di personale a tutti i livelli. Carenza di organico di circa 1.500 magistrati e scoperture a livello amministrativo che vanno dal 40 al 60 per cento. In queste condizioni, qualsiasi organizzazione o attività non riuscirebbe funzionare. Tanto meno può funzionare il sistema giustizia. Oggi sono gli avvocati che cercano di portare avanti l’efficienza del sistema giustizia, talvolta consentendo di garantire i servi essenziali con personale offerto dalle istituzioni forensi.

C’è un abuso dello strumento giudiziario del processo civile da parte della società?

Il nostro ordinamento purtroppo ha da sempre dei tempi lunghi, ovviamente per la parte debitrice o quella che ha torto può essere conveniente sfruttare le lungaggini processuali per pagare il più tardi possibile. In ogni caso, i tempi lunghi dei processi sono un problema non solo per i cittadini coinvolti, ma per gli stessi avvocati: implicano un lavoro molto più lungo che difficilmente sarà adeguatamente remunerato. Questo vale anche per clienti grandi come le banche o le assicurazioni, oggi si va al ribasso nel riconoscere il giusto valore al lavoro dei professionisti. Tant’è che il Parlamento ha fatto una legge sull’equo compenso per garantire una soglia di sostentamento minima a tanti professionisti in difficoltà che non sono solo gli avvocati. Oggi la metà degli iscritti agli albi ha ricevuto il reddito di ultima istanza (Il Decreto Cura Italia – D.l. n. 18/2020 – ha istituito con l’articolo 44 il Fondo per il reddito di ultima istanza, con lo scopo di sostenere economicamente lavoratori autonomi e professionisti, iscritti a enti di previdenza obbligatoria di diritto privato, costretti a ridurre, sospendere o cessare la loro attività a causa dell’emergenza Covid-19, ndr). Nonostante ciò, da anni a Roma è l’ordine forense a fornire agli uffici giudiziari mezzi e personale per consentire alla giustizia di funzionare, per esempio al Tribunale civile, a quello dei Minori, al Giudice di Pace o all’ufficio liquidazioni; dunque, non solo gli avvocati non intralciano il funzionamento del sistema, ma pagano addirittura di tasca propria per consentire un migliore funzionamento che consenta di lavorare.

È chiaro che tutte queste storture vanno non solo a complicare il lavoro degli avvocati, ma contribuiscono a distorcere la percezione che l’opinione pubblica ha del sistema giustizia nel suo insieme.

“Purtroppo sì. Per fortuna oggi la maggior parte dei magistrati concordano con la posizione dell’avvocatura e per questo denunciamo le stesse storture: per prima cosa bisognerebbe ripianare le piante organiche del personale di magistratura e quello amministrativo. A quel punto servirebbe una verifica di almeno cinque anni, nei quali non andrebbero introdotte nuove riforme, per vedere in concreto se il sistema funziona e quali sono gli aspetti da migliorare ulteriormente. Solo dopo che si è messo il sistema in condizione di funzionare si possono fare eventualmente le riforme giuste e necessarie. Perché altrimenti il meccanismo si incepperà sempre. Basti pensare alle sedi giudiziarie. Io parlo di Roma, ma la Capitale ha il tribunale più grande d’Europa: dovrebbe rappresentare un fiore all’occhiello non solo a livello nazionale. Eppure, le nostre sedi giudiziarie sono fatiscenti, quando esistono. Il giudice di pace, per esempio, è ospitato in palazzine a via Teulada costruite per altre finalità; il giudice penale o il tribunale dei minori come quello ordinario hanno tutte sedi sparse sul territorio romano dove manca una vera e propria città giudiziaria. È un sistema fatiscente anche da un punto di vista meramente organizzativo. Sotto la pandemia, per esempio, tanti processi sono stati bloccati perché le sedi giudiziarie non sono ancora in grado di garantire un collegamento telematico adeguato.

Nel 2022 è abbastanza inquietante questo stato dell’arte….

Cosa ne pensa dei referendum sulla giustizia dello scorso giugno, anche se non è stato raggiunto il quorum?

Credo che sia un peccato che non siano passati. Sicuramente avrebbero meritato maggiore attenzione da parte di tutte le forze politiche. I problemi che denunciavano i quesiti referendari riguardano criticità reali: il referendum non è servito, ma si potrebbe porre rimedio con leggi ordinarie. Qualcuno ci deve pensare. Ma sono 20 anni che non si fanno investimenti a riguardo. Il problema reale e concreto sono sempre i soldi. Mi rendo conto che le spiegazioni filosofiche o ideologiche sarebbero più affascinanti. Ma la realtà dei fatti è questa: senza i fondi necessari, non si possono risolvere i problemi strutturali. E fino ad allora non sarà possibile migliorare il funzionamento del sistema giustizia nel suo complesso. Ci vorrebbe una presa di coscienza collettiva e un investimento da parte del nuovo Governo che si formerà. Altrimenti gli italiani saranno sempre più rassegnati e scarsamente considerati nel resto d’Europa e del mondo. Questo naturalmente ha delle ripercussioni anche sulla competitività del Paese: se un operatore economico sa che in Italia per ottenere un decreto ingiuntivo ci metterà almeno 4 mesi, e poi le lungaggini col processo ordinario in caso di opposizione possono protrarsi anche per più di dieci anni, non verrà certo ad investire più in Italia. Ciò penalizza tutti i settori economici e non solo il mondo della Giustizia”.

Il funzionamento del sistema giustizia influenza il funzionamento di tutto il sistema Paese. Eppure, per quanto lapalissiano, l’opinione pubblica non riesce a percepire questa interdipendenza.

Nella maggior parte dei casi, il cittadino non lo concepisce fino a che non gli capita di trovarsi alle prese con qualsiasi problema giudiziario. Purtroppo, la situazione è drammatica e noi avvocati cerchiamo di svolgere un grande lavoro di mediazione anche per aiutare il cittadino a districarsi tra le lungaggini processuali e burocratiche. Gli stessi magistrati hanno difficoltà a lavorare. Tra l’altro le poche misure che sono state prese nell’ultimo periodo hanno un’utilità a breve termine. Per esempio, l’ultima misura per aumentare il personale, misura possibile grazie al Pnrr, è totalmente insufficiente perché a tempo determinato (nel 2026 scadranno i contratti) e perché ha previsto assunzioni nel ruolo di funzionari, non tenendo conto delle reali professionalità che servirebbero per sopperire alle mancanze sistemiche. Per dare dei numeri, a Roma manca il 15 per cento dei magistrati ordinari, su 202 giudici di Pace ce ne sono solo 62. Su 197 magistrati onorari ce ne sono 99. Manca più del 50 per cento del personale. Sono numeri impressionanti. Ribadisco: per capire la situazione basta pensare che a Roma il presidente del Tribunale è stato costretto a bloccare per sei mesi l’assegnazione dei processi penali di competenza collegiale. La situazione è drammatica, ma la soluzione della maggior parte dei problemi sarebbe a portata di mano, se solo ci fosse la volontà di investire realmente.

Qual è la sua valutazione sulla riforma Cartabia?

Innanzitutto, è una riforma ancora monca perché mancano i decreti attuativi. Poi bisogna vederla alla prova dei fatti. Credo che senza investimenti su personale e infrastrutture qualsiasi riforma sia destinata a naufragare. Servirebbero delle procedure straordinarie di reclutamento del personale amministrativo, di cancelleria e ufficiali giudiziari. Poi, in realtà, si dovrebbe anche rivedere il concorso in magistratura per rendere più veloce ed ugualmente selettivo il sistema di accesso. Servirebbe investire nell’edilizia giudiziaria per creare strutture adeguate e moderne. Stesso discorso vale per il carcere. La riforma Cartabia in questo senso ha fatto qualche passo in avanti per quanto riguarda la giustizia riparativa, ma non si è mai proceduto ancora ad un processo più ampio di depenalizzazione. Questo crea un sovraffollamento di giudizi e di processi che intasa inutilmente un sistema già in sofferenza. Sarebbe interessante fare una comparazione e vedere quante sono le fattispecie di reato in Italia in confronto a quelle dei Paesi del resto d’Europa. Sono convinto che il dato sarebbe impressionante: non basta introdurre una fattispecie di reato per risolvere un problema e non si ottengono cittadini virtuosi inasprendo il sistema sanzionatorio.

Tra l’altro, nel resto d’Europa l’ergastolo non può durare più di 35 anni, in Italia invece un ergastolano ha il fine pena mai.

Sì, come se ciò avesse in concreto disincentivato il crimine, invece non solo non è così ma si va ad inficiare il valore rieducativo previsto dalla nostra stessa Costituzione. Non c’è una spiegazione logica. Purtroppo, nel nostro Paese la giustizia non ha l’attenzione che merita, viene strumentalizzata a livello politico, ma non c’è la volontà di provare a risolvere i problemi. Io, da ottimista di natura, credo che riusciremo a risalire la china. Paradossalmente, il fatto positivo è che sta aumentando la percezione del malfunzionamento della giustizia in capo ai singoli cittadini. Non riguarda più solo gli operatori del settore: la necessità di cambiamenti si sta diffondendo a livello generale. E questo può portare ad un reale processo di cambiamento. Siamo ai limiti dello Stato di diritto, ma se i cittadini aumentano la propria consapevolezza possono influenzare anche il dibattito politico e spingere il Governo ad occuparsi del tema giustizia nel suo complesso”.

Aggiornato il 12 settembre 2022 alle ore 10:35