
Al Festival del Cinema di Venezia uno dei film protagonisti della rassegna è stato “Il signore delle formiche”, di Gianni Amelio. Con questa pellicola il cinema italiano recupera un filone che sembrava essersi smarrito: l’opera “civile” dei Marco Bellocchio e dei Damiano Damiani, dei Carlo Lizzani e dei Nanni Loy, degli Elio Petri, dei Francesco Rosi e dei Giuliano Montaldo.
Amelio con “Il signore delle formiche” racconta una storia radicale, e ci riporta alla fine degli anni Sessanta, quando si celebra un processo che fa scalpore. Un intellettuale, Aldo Braibanti, viene condannato a nove anni di carcere, accusato di “plagio”: aver cioè sottomesso alla sua volontà, in senso psicologico e fisico, un suo studente e amico da poco maggiorenne. La famiglia del ragazzo fa in modo che sia rinchiuso in un manicomio, sottoposto a una quantità di elettroshock, per “guarirlo” dall’influsso malefico e diabolico di Braibanti. La “colpa” vera dei due è quella di essere omosessuali, di volersi bene. La vicenda è il pretesto per imbastire un processo politico e una vera e propria caccia alle streghe.
Pochi hanno l’ardire e il coraggio di opporsi a quella deriva clerical-reazionaria; tra quei pochi “l’Astrolabio” di Ferruccio Parri e Mario Signorino, con i puntuali articoli di Giuseppe Loteta; e Marco Pannella, già allora leader e anima del Partito Radicale con “Notizie Radicali”.
Pannella in particolare con la sua martellante campagna su “Notizie Radicali” non solo segue, passo dopo passo, le udienze dei processi nei confronti di Braibanti; opera perché i magistrati, pesantemente chiamati in causa, lo citino in giudizio. E così ha luogo un ulteriore procedimento che, come da miglior tradizione radicale, “processa” a sua volta gli inquisitori.
In primo grado, Braibanti è condannato a nove anni. Pannella ci racconterà di aver avuto l’impressione di assistere a un processo dell’Inquisizione. Braibanti: intellettuale “disorganico”, tendenzialmente anarchico, con interessi più disparati, dalla poesia alla saggistica, dalla pittura al teatro, dalla lavorazione delle ceramiche allo studio della vita e dell’organizzazione sociale delle formiche. Soprattutto, è un omosessuale. È proprio questo che gran parte della società di allora, pienamente rappresentata dal tribunale romano, gli rimprovera. L’omosessualità non gli poteva essere contestata come reato. Dunque, lo si accusa di avere plagiato uno dei due giovani con cui vive e con cui ha un rapporto omosessuale.
Il vero artefice del processo è il pubblico ministero, Antonino Loiacono. Per tre anni e mezzo raccoglie pazientemente fatti e testimonianze, insegue una sua ricostruzione della personalità di Braibanti, da calzare poi sul reato di plagio. Mantiene sempre l’istruttoria sommaria, senza mai formalizzarla. La sua arringa è un atto d’accusa contro la diversità e l’omosessualità. L’imputato è preda di “pervertimento demoniaco… I negri, sono una razza che te la raccomando… Chiedo una pena esemplare, affinché nessun professoruncolo possa venire a togliere domani la libertà a un innocente”.
In Appello non cambia molto. La pena è ridotta a quattro anni per “meriti resistenziali”: il “diabolico professore”, infatti, è stato arrestato e torturato dai seviziatori della famosa “banda Carità”. Ma l’impianto accusatorio è pienamente confermato. Tra il primo e il secondo grado del processo, Pannella e Loteta sono denunciati dal Loiacono per diffamazione a mezzo stampa e calunnia. Il processo contro Pannella, Loteta e Signorino, direttore responsabile di “Astrolabio”, si svolge all’Aquila, nel 1972. Cade il reato di calunnia che non c’entrava proprio per nulla, e tuttavia i tre sono condannati a nove mesi di reclusione, confermati in appello e poi annullati in Cassazione. Ma è come riaprire il caso Braibanti. Riemerge così tutta la grottesca vicenda del “diabolico professore”.
Per avere un po’ di buon senso e di senso buono, si deve attendere l’8 giugno del 1981, quando la Corte costituzionale cancella il reato di plagio. La Consulta rileva “l’imprecisione e l’indeterminatezza della norma, l’impossibilità di attribuire ad essa in contenuto oggettivo, coerente e razionale”. Giustamente, concludono, “essa è stata paragonata ad una mina vagante nel nostro ordinamento”. Una mina che non esploderà più. Amelio con il suo film ci ricorda questa storia radicale.
Aggiornato il 09 settembre 2022 alle ore 10:43