Aborto a San Marino, quando l’ideologia si mostra patetica

Nella serata di ieri, 31 agosto, la piccola Repubblica ha approvato la legge sull’aborto con 32 voti a favore, 7 contrari, 10 astenuti e 10 assenti. Essa in parte copia la 194, in parte la peggiora. Alla base di questa normativa non vi è alcuna esigenza, se non ideologica.

Da un angolo qualsiasi della Repubblica di San Marino fino all’ospedale di Rimini vi è una distanza (e un tempo di percorrenza) inferiore a quella da casa mia a Roma al Policlinico Gemelli. Nulla ha perciò impedito da quasi mezzo secolo, da quando cioè è in vigore la Legge 194, a nessuna abitante del piccolo Stato di entrare in territorio italiano e di abortire a richiesta nei primi tre mesi di gestazione, e con qualche contenuta limitazione nelle settimane successive: senza ostacoli di sorta, anche in virtù di accordi bilaterali in materia di sanità fra Italia e San Marino, rinnovati di triennio in triennio (l’ultimo risale al maggio 2021).

Quale assoluta necessità vi era allora di una legge interna sull’aborto, quella che ieri sera il Consiglio grande e generale ha approvato, dopo un voto positivo già espresso dalla IV Commissione del medesimo Consiglio (su di essa su questo sito)? La risposta viene dalla lettura del testo in discussione: 21 articoli, molti di quali con più commi, la cui caratteristica formale è la prolissità, una sorta di ansia da spiegazione, che mette insieme quello che in un testo normativo è ordinariamente distinto fra disposizioni di legge e relazione di accompagnamento.

Non è ovviamente solo un problema estetico, pur se nel diritto la forma è sostanza. È anche – soprattutto – questione di contenuti. Chi ha redatto questa legge ha preso come base la Legge 194, riproducendone più volte passaggi testuali, e poi o l’ha infarcita di disposizioni che poco hanno a che fare con l’Ivg, o è riuscito nell’ardua impresa di peggiorarla. Quanto alle prime, vi sono il riferimento al rispetto dell’orientamento sessuale, che non si comprende quale attinenza abbia col concepimento e con la gravidanza, e la previsione dell’educazione sessuale a scuola, che sarà impartita in evidente coerenza con le disposizioni di questa legge, senza di assensi o accordi con i genitori degli alunni, né la petizione dell’età da cui farla partire.

Quanto all’aggravamento della 194, la legge sammarinese divide la gravidanza in due periodi, prima e dopo le 12 settimane dal concepimento, e mentre per i primi tre mesi contiene una disciplina sostanzialmente sovrapponibile alla legge italiana, forse con minori ipocrisie, dal completamento della dodicesima settimana in poi allarga le “indicazioni” all’aborto rispetto alle norme in vigore da noi: permette infatti l’aborto “se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano accertate anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica o psichica della donna, o se la gravidanza sia il risultato di stupro od incesto”; in tesi, fino al nono mese di gestazione.

Non è posto alcun limite all’Ivg che non sia quello della vitalità del feto, riprendendosi l’espressione adoperata dall’articolo 7 della 194: “Possibilità di vita autonoma del feto”. Che al nascituro non venga dato scampo è però confermato dal fatto che – così prescrive la norma – “nei casi di pericolo per la vita della donna, qualora sussista la possibilità di vita autonome del feto, il medico interrompe la gravidanza con un parto e adotta ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”. È possibile “interrompere la gravidanza con un parto”? È possibile accelerare il parto, mettendo a rischio la vita del bambino e la salute della donna. La legge non dice poi che cosa accade al bambino: se si trattasse di un parto, se pure accelerato, e il bambino viene alla luce vivo, sarebbe logico attendersi una disciplina analoga alla dichiarazione di adottabilità, qualora la mamma persista nel rifiutarlo. Nel silenzio sul punto delle pur ciarliere nuove disposizioni, è da ritenere che comunque il bambino sia destinato alla soppressione: il che è confermato dall’uso dell’espressione “interrompe la gravidanza”. In italiano corrente l’eliminazione di un bambino vitale non si chiama aborto, bensì infanticidio: ritengo che sia così anche in sammarinese.

La disciplina dell’obiezione di coscienza è pur essa peggiorativa rispetto alla 194: diciamo che tiene conto di quanto stabilito dal Tar Lazio, in senso penalizzante per i medici obiettori, a proposto dei concorsi e delle assunzioni. Ci si può fermare qui. Richiamato quanto in premessa circa l’aborto praticato finora dalle sammarinesi che lo desideravano a pochi metri dall’ingresso in Italia, le considerazioni appena svolte forniscono una risposta univoca al quesito di partenza: qual è la necessità di una legge così fatta? È una “necessità” esclusivamente ideologica: serve a conclamare l’ingresso in quella che si ritiene essere la civiltà. Nella discussione di ieri più d’uno degli intervenuti ha contrapposto la nuova legge alle tenebre normative sull’Ivg che avvolgerebbero Malta, la Polonia e gli Usa, qui soprattutto dopo la pronuncia della Corte Suprema. Non vi è da dubitare che il presidente Joe Biden farà leva su quanto accaduto ieri sul monte Titano per contrastare con maggiore efficacia la sentenza Dobbs v. Jackson, in questa alleanza per il progresso fra San Marino e Washington.

Come tutte le pretese ideologiche, non vi è timore di apparire patetici. In tal senso, la legge raggiunge l’apice quando precisa che “l’interruzione volontaria di gravidanza è vietata se emergono elementi per ritenere che la stessa sia stata richiesta con riferimento al sesso del feto”. Rispetto al 1978, quando venne approvata la 194, le pari opportunità hanno compiuto passi da giganti, e l’esigenza di non discriminare in relazione al sesso lo testimonia al meglio. Peccato che fino alla dodicesima settimana la gestante chiede l’Ivg “senza obbligo di fornire alcuna motivazione a tale richiesta”, sì che è impossibile verificare la motivazione di un femminicidio anticipato; mentre per il periodo successivo sarà sufficiente che il sesso sgradito – che, per carità, può essere pure quello maschile – incida gravemente sulla salute psicologica della donna perché quest’ultima indicazione prevalga sull’impari opportunità. Le femministe si rassegnino: se sei così ostinatamente ostile alla vita, ti è poi difficile dire “Speriamo che sia femmina”. Non solo a Pechino, ma anche a San Marino.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 01 settembre 2022 alle ore 13:36