Caro lettore, dedico queste mie parole ai ragazzi. Quelli che per strada ti vedi passare davanti agli occhi, come fossero rapidi istanti di vita. Quelli che vanno quasi sempre di fretta, fuggenti e sfuggenti, a volte con la testa bassa o con il cappuccio in testa, intimoriti, e smargiassi quando sono insieme, quando sono almeno in due. Si cercano. Non si fanno trovare. Eccoli, in gruppo o in coppia, comunque soli, impacciati e sorridenti, perduti e vincenti, ad affrontare il mondo di fuori, dopo aver combattuto con il loro mondo di dentro.
Osserva quello che i ragazzi non dicono a parole. Quello che non fanno. Guardali, questi giovani. Costretti a essere omologati eppure tutti così diversi. Uno per uno. Ciascuno a modo suo. Spesso lontani dalla politica, lontani dai partiti, distanti da tutto. In fuga dal presente per paura del futuro. Fragili, ma generosi. Vogliono farsi notare e si nascondono, si vestono come per darsi un tono o per farsi accettare e poi, “che ansia!”, corrono via, ma non sanno con chi parlare, eppure avrebbero molto da dire a chi fosse disposto ad ascoltarli, a chi fosse capace di ascoltare invece che giudicare. Ecco perché la priorità politica del nostro Paese e per l’Europa, dal mio punto di vista, oggi ancor più di ieri, si può riassumere in tre parole, che poi sono tre parti di un unico discorso: scuola, università e ricerca.
Il centro di una tale questione così nevralgica c’è il futuro, c’è la nostra volontà politica d’investire sul domani, ma soprattutto ci sono loro, ragazze e ragazzi del 2022, che sono la vera forza del nostro presente, la nostra possibilità per il futuro. Purtroppo, negli ultimi trent’anni, i giovani sono stati anche derubati del loro futuro, della loro voce e della parola. Restano perciò muti. E non per scelta. Eppure, vorrebbero parlare, vorrebbero esprimersi, chiedono la parola. Silenzio. Si sottovaluta spesso il dialogo come se fosse astratto, come se la parola non avesse peso, come se fosse niente, come se non avesse anima, come se non agisse. Poi ci lamentiamo delle conseguenze. Va ascoltata, va sentita dentro di noi. La parola è viva, è concreta. Altrimenti, è chiacchiera.
Ecco perché ripeto le tre parole chiave della nostra proposta culturale: scuola, università e ricerca. Anche se, al giorno d’oggi, molti sono soliti affermare che le parole sono niente, che valgono poco, che servono soltanto per fare filosofia. Alla fine, però, vediamo tutti quanti dove siamo arrivati con questo modo sprezzante di ragionare. Del resto, se ci pensiamo un attimo, nel bene e nel male, quelle che restano sono proprio le parole. Caro lettore, da questo momento in poi mi rivolgo sempre e comunque a te, ovviamente, ma soprattutto ai ragazzi e agli studenti che stanno leggendo questa mia lettera aperta.
Siamo d’accordo che il comune senso del potere ha ampliato le distanze tra i cittadini e la politica, ha disseminato quasi ovunque un senso di sfiducia, amarezza, disillusione. C’è un vuoto culturale che fa spavento, che ha prodotto un terribile vuoto esistenziale, soprattutto tra i giovani. Ma la politica dovrebbe vivere di idee antiche e nuove, d’incontro, dialogo, discussione e progetti innovativi. Perché la Politica è impegno civile e civico, è socialità e socievolezza, perfino lotta, ma nel senso inteso da Luigi Einaudi con l’espressione “bellezza della lotta”.
La Politica, con la maiuscola, è memoria, intuizione, proposta, reciprocità, costruzione del futuro. È apertura mentale, visione, lungimiranza. La politica è cultura. La cultura è politica. La politica è il governo delle cose. E governare significa soprattutto prevenire e prevedere. Se non si sa prevedere, si finisce con l’inseguire gli eventi invece che governarli. Si finisce con il seguire le tendenze sui social-network, invece che trainare con la forza delle idee verso il nuovo possibile.
Se tutto si riduce al tornaconto personale, all’affarismo di parte o di partito, alla spartizione sottobanco delle candidature blindate e dei collegi elettorali sicuri, cioè alla conservazione del potere, allora siamo a un passo dal salto nel buio. L’argine a tutto questo è ancora una volta la scuola, è l’università, è la ricerca. Finanche la ricarica della e delle verità. Penso alla stupidità, alla mancanza d’ascolto, alla resa e alla rendita, a chi si rifiuta di capire, a chi, invece, ha ben capito. A chi affronta la giornata, dopo aver affrontato la nottata. Penso agli sguardi reciproci, alle carezze d’un vento mai dimenticato, ai baci che durano un attimo e quelli che restano sulle labbra per una vita intera. Forse potrei dire semplicemente: Vivo. Invece, irrimediabilmente, ti scrivo. Parliamone.
Caro lettore, caro studente, la fantasia non è una fuga dalla realtà, ma una ricerca di verità.
Aggiornato il 29 agosto 2022 alle ore 16:17