Il nostro residuo aureo: l’uomo umanistico

Le prossime elezioni sono le più importanti del Dopoguerra. Siamo in una fase di mutamento antropologico. Occorre superare la cronaca, viviamo in piena storia, con mutamenti radicali e con le radici dell’uomo spiantate: nel campo sessuale, alimentare, della sovranità statale. Vi è anche il lavoro e l’immigrazione.

Osservando il campo sessuale, bisogna decidersi se “tutte” le forme vanno accolte. E se vanno accolte le prospettive transgeniche: un uomo che partorisce, un uomo con seni di donna, bisessuale anche organicamente. Non è soltanto l’orientamento sessuale a essere problematico ma la trasformazione fisiologica alla quale si tende. Siete o no a favore della transgenesi sessuale? Ben altro del matrimonio tra due donne o del matrimonio tra due uomini.

Stessa cosa in campo alimentare. Un conto è importare vermi, un’alterazione delle abitudini e della storia, perché il cibo oltre che natura è storia. Si tratta di alterare gli elementi naturali, l’alchimia degli elementi, la chimerizzazione degli alimenti, una neo-natura di laboratorio. Anche in tal caso, bisogna decidere: vogliamo una natura transgenizzata o no? Mi limito a queste situazioni. Servono decisioni esplicite da rappresentare al popolo che a sua volta sceglierà, sapendo.

Al dunque, che sta accadendo? Una dissoluzione delle nostre civiltà, mi riferisco a quelle europee. Le civiltà storiche sostituite da società non storiche, tecnologiche, transgeniche, robotiche. Alle società senza storia questa sostituzione è facile: non hanno un passato da perdere. Sono leggere, vuote. La tecnologia robotico-transgenica le pervade, in quanto non cancella accumoli storici millenari. È semplice liberarsi, quando non si ha un bagaglio culturale. Si vive in un perpetuo futuro: questo in primo momento avvantaggia, è dinamismo. Successivamente è il frettoloso passaggio delle onde prive di consistenza. Ecco il fondamento culturale di quanto sta accadendo. Il conflitto è tra società storiche e naturalistiche e società a-storiche tecnologiche, robotiche, transgeniche. È davvero uno scontro di civiltà. Ma non del genere democrazie/totalitarismo, oppure Islam/Cattolicesimo, capitalismo/statalismo. Niente di ciò. Piuttosto, società transgeniche robotiche a-storiche e società storico-naturalistiche.

Del resto, è conclamato, teorizzato, deliberato, voluto. Esiste ormai una letteratura e, a Davos, ne ascoltiamo le proclamazioni. L’uomo futuro, quello “nuovo”, dovrebbe essere un non-uomo, svuotato di soggettività. Un individuo non individualizzato, privo di elementi connotativi di identificazione da difendere (per questo la poli-sessualità, la snaturalizzazione dei cibi, la negazione del passato storico, nessun elemento che ci vincoli alla difesa. Siamo empatici ossia altro da sé, adattabili a ogni condizione. Nessun “sé” da preservare). Insomma, è la desertificazione della soggettività naturalistico-storica (in un mio libro l’ho denominata “eclissi dell’io”). Talché, la soggettività che rappresenta il sommo arrivo delle nostre civiltà passate dovrebbe cedere a questo soggetto non individualizzato, sbarazzino, farfallino. Uccidere la natura e la storia è lo scopo del potere odierno, per affermare il non-uomo robotico-transgenico. Ed è sulla buona (orribile) strada.

L’uomo sta diventando sempre meno disposto alla cultura, alla storia, all’arte bensì è volto alla tecnica, neutra e depersonalizzante. Allora? Ri-soggettivizzare il soggetto attraverso dei tratti identificativi. Ossia? Storia e arte, filosofia, filosofia e ancora: storia, arte, filosofia, e natura naturale, natura, non neo-natura. In tutte le scuole, in tutti i tipi di insegnamento.

Animali, piante: siamo natura nella natura. Bisogna familiarizzare con le piante e gli animali. Il bambino deve crescere conoscendo (soprattutto) la civiltà del proprio Paese e dell’Europa, non può vivere in uno Stato senza avvincersi. Poi sceglierà, ma deve conoscere il luogo dove risiede: non si difende ciò che non si conosce, non si ama quel che non si conosce. Nell’auspicio voluto che gli dei consentano un cambio “filosofico” di Governo e la fine della inconsistenza culturale fin qui desertificante.

Comunque, è ovvio che un ragazzino non si cura di salvare la nostra civiltà. La cura umanistica “deve” ritrovare uno spazio, anche nelle formazioni professionali. La scuola elabori uomini, cittadini di una civiltà non soltanto tecnici. Noi siamo italiani europei, non dei tecnici robotico-transgenici: cambiare l’orientamento governativo e la vittoria avrà un senso, in quanto muterà la mentalità. L’aridità recente è una cassa da morto. Sembra che la società sia diventata una somma algebrica di entità numeriche. Non è questa la nostra civiltà. La riforma della scuola come formazione dello studente alla nostra (italo-europea) civiltà deve precorrere tutti gli altri impegni. Se non formiamo chi conosce e ama la nostra civiltà nel deserto, non avremo niente da difendere. Perché il deserto è deserto, il robot transgenico entrerà senza sbarramenti, piantando le sue bandierine magari fotografato degli stranieri. Tanto, l’uno vale l’altro nel vuoto comune.

Come è noto, le cosiddette Agenzie di socializzazione erano rappresentate dalla famiglia, dalla parrocchia, dalla scuola. Nel bene e nel male, di recente, ha pesato l’informazione, specie visiva, sovente semplicistica ma rilevantissima. Occorre ridare alla scuola il primato della socializzazione, almeno culturale. E riportare l’arte e la storia come elementi essenziali per l’immedesimazione nella civiltà. Se non conoscono le nostre civiltà, i giovani non le difendono.

Quando nel XIX secolo qualche teorico ritenne che nel momento in cui il mercato diventava mondiale, ogni particella sovrana che intendeva mantenere la propria identità sarebbe stata polverizzata, non supponeva gli esiti categorici di tale convinzione. Cioè la sovranità, ossia la difesa della propria storia e soggettività, annientata dall’indifferenziato robotico-transgenico. Questo è lo scontro “reale” del XXI secolo. Sia come sia, non si lotta perché sicuri di vincere ma perché convinti di ciò che amiamo e vogliamo: l’uomo umanistico, non senza scienza e tecnica, ma non senza storia e arte proprie.

Occorre comprendere e affermare che una particella di sovranità è indispensabile per serbare un “noi”. Diversamente, siamo un albergo, una società talmente aperta che dentro...  manca di un quid. Se ha qualcosa di suo, non può non salvaguardarlo. L’uomo umanistico è il nostro “sé”. Il nostro residuo aureo.

Aggiornato il 29 luglio 2022 alle ore 13:30